x

x

Accordi stragiudiziali validi tra coniugi in sede di separazione o divorzio

Vincent van Gogh, Notte stellata, 1889, New York, Museum of Modern Art
Vincent van Gogh, Notte stellata, 1889, New York, Museum of Modern Art

Abstract

Anche in tema di divorzio gli accordi di natura negoziale tra coniugi non sono da ritenersi di per sé contrari all’ordine pubblico e ad essi sono sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici, quali ad esempio quelli relativi ai vizi di volontà.

È ragionevole dunque “…ritenere che tali accordi non producano effetti vincolanti tra le parti solo laddove contengano clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all’ordine pubblico: in mancanza di tali circostanze, l’accordo transattivo produce effetti obbligatori per le parti, e ciò anche se il suo contenuto non venga recepito in un provvedimento dell’autorità giudiziaria”.

Questa interpretazione, però, non nasconde le insidie e le intuibili difficoltà di una regolamentazione pattizia che deve rispettare le condizioni e i limiti alla cui sola sussistenza essa lega la propria legittimità e fa riflettere il fatto che la vicenda giudiziaria in commento sia sorta a fronte di un accordo negoziale addirittura seguito e rispettato da entrambi i coniugi per vari anni ma nonostante ciò diventato poi oggetto di contestazione proprio per la determinazione della sua efficacia e del suo contenuto.

Questi accordi, pertanto, non devono mai costituire una pericolosa deroga ai diritti e ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, ma devono essere “piuttosto una puntualizzazione e una ridefinizione in senso migliorativo di quanto stabilito in precedenza in sede di separazione e successivamente con la sentenza di divorzio”.

 

La vicenda

La questione sottoposta al vaglio della Corte Suprema si fonda sulla impugnativa della sentenza con la quale il Giudice di appello aveva confermato l’accoglimento di una opposizione al precetto intimato dalla moglie nei confronti del marito per il lamentato pagamento di arretrati dell’assegno divorzile che in realtà risultavano essere stati corrisposti dal padre direttamente in favore del figlio come stabilito tra essi coniugi sulla base di accordi stragiudiziali intercorsi.

La ricorrente impugnava tale decisione sostenendo come i Giudici di appello non avessero ritenuto nullo l’accordo dei coniugi in vista del futuro divorzio per illiceità della causa perché idoneo a comprimere la libertà di difesa del coniuge economicamente più debole nel giudizio di divorzio e stante il carattere assistenziale e, quindi, indisponibile, dell’assegno divorzile. La stessa si doleva anche del fatto che la Corte non avesse considerato che la scrittura privata posta a fondamento dell’opposizione fosse precedente di ben due anni rispetto all’udienza nella quale erano stati raggiunti accordi differenti poi recepiti nella sentenza di divorzio, avente natura precettiva e quindi, a dire della stessa, esclusiva fonte di obbligazione relativa al pagamento dell’assegno divorzile e legittimo titolo posto a base del precetto opposto.

 

La decisione

Con l’ordinanza in commento (Sezione Prima, Ordinanza n. 5065 del 24 febbraio 2021) la Corte di Cassazione ha anzitutto precisato che anche in tema di divorzio gli accordi di natura negoziale tra coniugi non sono da ritenersi di per sé contrari all’ordine pubblico e come agli stessi siano sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici, quali ad esempio quelli relativi ai vizi di volontà.

I Giudici di legittimità hanno altresì aggiunto che le modificazioni di tali accordi “… successive all’omologazione della separazione ovvero alla pronuncia presidenziale di cui all’articolo 708 Codice Procedura Civile, trovando legittimo fondamento nel disposto dell’articolo 1322 Codice Civile, devono ritenersi valide ed efficaci a prescindere dall’intervento del giudice ex articolo 710 Codice Procedura Civile, qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’articolo 160 Codice Civile e, in particolare, quando non interferiscano con l’accordo omologato, ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi ivi tutelati ...”.

La Corte Suprema dunque ha statuito che “ …I criteri, quindi, che devono essere seguiti dal giudice nell’interpretazione di detti accordi sono due: la non interferenza rispetto all’accordo omologato o assunto in sede di divorzio; la specificazione del contenuto dell’accordo e la posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato ...”.

Nell’acclarare, pertanto, nel caso specifico come l’accordo raggiunto dalle parti in causa regolamentasse unicamente le modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento da versarsi direttamente al figlio la Corte rigettava il ricorso e confermava la sentenza di appello.

 

Le riflessioni conclusive e la disciplina degli accordi negoziali in tema di divorzio

La Corte di Cassazione con questa significativa ordinanza detta alcuni importanti e decisivi principi di diritto in materia di limiti e modalità dell’esercizio del potere negoziale comunque riconosciuto ai coniugi in sede di separazione o divorzio.

La pronuncia in commento, infatti, si sottopone alla nostra attenzione poiché nella stessa è contenuto un breve, ma quanto mai chiaro ed esaustivo, excursus sul percorso interpretativo che la stessa Corte ha intrapreso in materia e perché conferma come la problematica in questione si sia evoluta nel tempo fornendo ai coniugi un valido ed efficace strumento di negoziazione privatistica sia pure con alcuni limiti a tutela del superiore ordine pubblico e della legge nonché degli interessi particolari dei minori o della persona economicamente più debole del rapporto.

Così, appunto, notiamo anzitutto sancito il criterio secondo il quale negli accordi tra i coniugi in sede di separazione e di divorzio sia ravvisabile “un contenuto necessario (attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole) ed uno eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi)” (1).

La precisazione dei Giudici di legittimità non è di poco conto perché già di per sé attribuisce analogo valore giuridico agli accordi negoziali tra i coniugi sia che intervengano in sede di separazione, e quindi in una fase delle dinamiche familiari ancora per c.d. “ fluida “ e certamente non definitiva della rottura coniugale, sia che si inseriscano nella fase del divorzio, laddove i provvedimenti giudiziali assumono una efficacia ed una validità giuridica e sostanziale ben diverse soprattutto sotto il profilo economico e patrimoniale.

La conclusione, pertanto, alla quale perviene la Corte e che trova la sua ennesima conferma in questa ordinanza è quella della legittimità ed ammissibilità di tali accordi nell’esercizio, pertanto, di un potere negoziale dei coniugi che incontra il suo unico limite solo nella necessità di non contrastare “con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli (Cass., 3 dicembre 2015, 24621)”.

I Giudici di legittimità, invero, in questa occasione non hanno mancato di ricordare come nel tempo la propria giurisprudenza sia stata caratterizzata da un iniziale orientamento secondo il quale tutti i patti intercorsi tra i coniugi in vista della separazione, anteriori, coevi o successivi, indipendentemente dal loro contenuto, dovessero essere sottoposti al controllo del giudice in sede di decreto di omologa e, successivamente, da posizioni diverse secondo le quali, invece, si dovesse operare sempre una distinzione tra il sopra ricordato “contenuto necessario”, come tale riservato al controllo del giudice, e quello “eventuale o relativo” che almeno tendenzialmente veniva lasciato alla determinazione discrezionale ed autonoma di essi coniugi fino poi ad arrivare a sostenere l’autonomia negoziale dei genitori, anche nel rapporto con i figli, purché migliorativa degli assetti concordati davanti al giudice (2).

Secondo la Corte, dunque, è ragionevole “…ritenere che tali accordi non producano effetti vincolanti tra le parti solo laddove contengano clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all’ordine pubblico: in mancanza di tali circostanze, l’accordo transattivo produce effetti obbligatori per le parti, e ciò anche se il suo contenuto non venga recepito in un provvedimento dell’autorità giudiziaria”.

Pertanto, è estremamente significativo il fatto che la Corte Suprema riprenda e ribadisca ancora una volta il proprio indirizzo giurisprudenziale di totale apertura alla validità di questi accordi tra coniugi e che ciò faccia senza distinzioni di sorta che si tratti, come detto, di negozi che intervengano nella fase della separazione o in quella, successiva, del divorzio, ponendo come unico baluardo a difesa dei principi imperativi di legge e delle tutele dei soggetti deboli il rispetto comunque delle prescrizioni intercorse in sede di omologa giudiziale o di sentenza di divorzio del cui contenuto essi siano soltanto una specificazione condivisa tra le parti.

In verità anche per la più autorevole Dottrina l’autonomia privata nelle procedure di definizione della crisi familiare è sempre stata ritenuta la “fonte prevalente” perché capace di dettare al meglio le condizioni per una soluzione concordata del conflitto, esattamente come avviene nello svolgimento ordinario della vita familiare (3) per cui era in un certo senso logico e naturale attendersi che anche per la giurisprudenza di legittimità cadesse il dogma dell’interesse superiore della famiglia e del matrimonio in favore di quelli, personali e ben più concreti, dei coniugi.

È un aspetto, questo, di fondamentale importanza perché rimette alla volontà dei coniugi la possibilità di regolamentare al meglio le condizioni stabilite dal Giudice e contenute nei provvedimenti giudiziali emessi, senza la necessità, ovviamente laddove siano rispettate le condizioni ed i limiti sin qui precisati, di ricorrere all’intervento in modifica ex articolo 710 Codice Procedura Civile.

Non è, del resto, una posizione di poco conto, sol che si consideri l’enorme vantaggio, in termini di tempo e costi, che una negoziazione privatistica di tal genere naturalmente comporta per le parti, ma la stessa non nasconde nemmeno le insidie e le intuibili difficoltà di una regolamentazione pattizia che deve rispettare le condizioni ed i limiti alla cui sola sussistenza essa lega la propria legittimità.

La vicenda giudiziaria oggi in commento, infatti, conferma questa amara riflessione poiché non è un caso che essa sia sorta a fronte di un accordo negoziale addirittura seguito e rispettato da entrambi i coniugi per vari anni ma nonostante ciò diventato poi oggetto di contestazione proprio per la determinazione della sua efficacia e del suo contenuto ed induce a valutare la necessità di utilizzare sì questo utile “ strumento “ pattizio ma sempre con l’accortezza di non travalicare mai i poteri e le facoltà di cui dispongono le parti e, soprattutto, di non abusarne per compromettere o pregiudicare i diritti dei soggetti più deboli (in primis i figli) che ne sono parti per così dire “indotte”.

È tuttavia pur vero, e ciò rappresenta un margine di garanzia per gli interessi superiori della Giustizia, che detti accordi transattivi rimangono comunque soggetti al controllo del Giudice cui spetta anche il potere di delibarli e di interpretarli persino secondo equità laddove taluni aspetti non siano stati esplicitamente disciplinati dalle parti (4), ma è una magra consolazione, oltretutto scontata secondo il nostro ordinamento giuridico, poiché, se attuata, dimostra ancora di più il fallimento del potere decisionale autonomo rimesso ai coniugi in un momento del loro rapporto coniugale in cui troppo spesso gli egoismi e le rivendicazioni personali hanno il sopravvento rispetto a valori ben più alti e superiori quali il bene e l’interesse dei figli o la giusta considerazione delle necessità della parte più debole.

Certamente poi il caso sottoposto oggi alla nostra attenzione amplifica ancora di più questi dubbi e perplessità perché pensare che la controversia in questione sia sorta unicamente a fronte di un accordo negoziale che regolamentava soltanto le modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento e che, quindi, individuava nel figlio della coppia il beneficiario diretto dell’assegno di mantenimento in luogo del genitore, deve farci riflettere sull’incidenza distorsiva che assumono le reali dinamiche tra i coniugi e che sono, purtroppo, ben note a noi operatori del diritto.

Ecco dunque perché la “raccomandazione”, giusta e condivisibile, che si ricava da questa pronuncia deve essere sempre tenuta in debita considerazione per far sì che questi accordi non pervengano mai a costituire una pericolosa deroga ai diritti e ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, ma siano “piuttosto una puntualizzazione e una ridefinizione in senso migliorativo di quanto stabilito in precedenza in sede di separazione e successivamente con la sentenza di divorzio”.

Piuttosto, un aspetto pratico di non trascurabile entità che deve essere annotato è quello relativo alla forma da riconoscere a questi accordi poiché la Corte parla indifferentemente di scrittura privata o atto pubblico, ma è evidente, anche alla luce di quanto appena evidenziato, come sia più opportuno renderli ricevibili nella forma dell’atto pubblico con testimoni, sia perché essi producano effetti reali e non meramente obbligatori, come avverrebbe con una semplice scrittura privata, sia perché gli stessi siano opponibilità anche verso i terzi mediante le annotazioni sui registri dello stato civile o la trascrizione presso i registri immobiliari (5).

 

(1) Vedi Cass. Civ. n. 16909 del 19 agosto 2015

(2) Vedi Cass. Civ. n. 657 del 22 gennaio 1994; Cass. Civ. n. 23801 dell’8 novembre 2006; Cass. Civ. n. 22329 del 24 ottobre 2007 e Cass. Civ. n. 298 del 12 gennaio 2016

(3) Letture consigliate: P. Rescigno “ Interessi e conflitti nella famiglia: l’istituto della mediazione familiare “ in Matrimonio e Famiglia, Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, 2000, pag. 343: A. Liserre, Autonomia negoziale ed obbligo di mantenimento del coniuge separato, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1975, pp. 474 ss; G. Doria, Convenzioni traslative in occasione della separazione personale e l’interesse del coniuge, in Dir. Fam. E pers., 1992, p. 219 ss; A. Morace-Pinelli, Separazione consensuale e negozi atipici familiari, in Giur. It., 1994, I, 1, c. 304

(4) Vedi Cass. Civ. n. 23566 del 18 novembre 2016

(5) Letture consigliate: M.C. Andrini, Forma e pubblicità delle convenzioni matrimoniali e degli accordi di separazione tra coniugi, in Familia, Riv. Dir. Fam. E succ. in Europa, Milano, 2001, pag. 33 ss.