Agency fee corrisposte a UK companies per le sfilate in Italia di modelle non sono imponibili in Italia
Abstract
Una recente ordinanza della Suprema Corte spiega il percorso da seguire per individuare correttamente la tipologia di reddito conseguita e stabilire lo Stato di tassazione di compensi corrisposti a UK companies per l’attività di intermediazione.
La disciplina domestica deve essere coordinata con le “speciali” e prevalenti discipline convenzionali tenuto conto che l’ordinamento tributario italiano ha codificato in modo esplicito la prevalenza del diritto convenzionale (pattizio) su quello nazionale, stabilendo che nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia (articolo 75 del DPR n. 600/1973) e che le disposizioni del TUIR si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione (articolo 169 del TUIR).
Indice:
1. Casus belli: agency fee corrisposte a soggetti UK
2. Principi elaborati dalla Corte di Cassazione
3. Valutazioni finali: percorso da seguire
1. Casus belli: agency fee corrisposte a soggetti UK
La recente giurisprudenza di legittimità ci dà l’occasione di verificare la corretta applicazione delle norme domestiche e di quelle convenzionali a fronte di un caso di fiscalità internazionale inerente il regime fiscale dei compensi corrisposti da società residenti per le prestazioni di servizi rese da modelle, parrucchieri, stilisti e truccatori non residenti, nonché per i relativi servizi di intermediazione resi da agenzie non residenti.
Il caso oggetto del giudizio della Suprema Corte si riferisce a una casa di moda residente in Italia che, avendo acquisito tramite l’intermediazione di alcune agenzie residenti nel Regno Unito le prestazioni di modelle, parrucchieri, stylist e truccatori non residenti in Italia per l’organizzazione di sfilate, nel corso del periodo d’imposta 2005 aveva corrisposto a tali agenzie somme comprensive dei compensi per la fruizione delle prestazioni così individuate, nonché delle commissioni per la relativa intermediazione, senza assoggettarle a ritenuta, avendole considerate non imponibili in Italia.
Ma andiamo per gradi: dall'avviso di accertamento, ritualmente trascritto dalla società nel ricorso per cassazione, oltre che dalla sentenza del giudice d'appello, emerge che la società dovendo organizzare una sfilata di moda in Italia, ha incaricato alcune società del Regno Unito di fornire specifici servizi: alcune società hanno fornito consulenze stilistiche, altre hanno fornito numerosi modelli, altra ancora ha fornito servizi di trucco ed acconciatura per tali modelli.
Con riferimento a tali prestazioni sono state emesse fatture che, in parte, erano riferite ai servizi di Agenzia, e in parte, erano relative alle prestazioni rese da stilisti, parrucchieri, truccatori e modelli.
Elemento dirimente è costituito dalla circostanza che le società avevano sede a Londra ("le società con sede a Londra hanno fornito, nel corso dell'anno di imposta 2005, in qualità di agenti intermediari, l'opera di alcuni professionisti per la realizzazione delle sfilate di moda") e non avevano in Italia alcuna base fissa ("né risulta che le società intermediarie o le persone fisiche che hanno effettuato tali prestazioni abbiano in Italia una base fissa"); anche le persone fisiche che avevano concretamente erogato le prestazioni non avevano in Italia una base fissa.
L'Agenzia delle Entrate ha effettuato la ripresa fiscale in quanto ha ritenuto che le società inglesi avessero svolto il ruolo di mere intermediarie, mentre le prestazioni fossero state rese dai singoli professionisti; di qui l'obbligo per la società contribuente, quale sostituto d'imposta, di operare la ritenuta con aliquota del 30%, ai sensi dell'art. 25, secondo comma, del DPR n. 600/1973.
Con l’avviso di accertamento notificato alla predetta società l’Agenzia delle Entrate aveva contestato che tali somme erano comunque assoggettabili alla citata ritenuta alla fonte del 30 per cento in quanto risultavano configurabili come redditi di lavoro autonomo e pertanto aveva recuperato a suo carico le ritenute omesse, gli interessi e le sanzioni.
Nei due gradi di giudizio tributario innanzi alla CTP di Milano e alla CTR della Lombardia le Commissioni hanno integralmente confermato tale avviso di accertamento sostenendo che le agenzie “sono società intermediarie e che i soggetti intervenuti alle sfilate (stilisti, parrucchieri, truccatori, modelle) sono lavoratori autonomi, per cui i compensi da essi percepiti” rientrerebbero “ai fini della loro tassazione, nel disposto del citato art. 25” del d.P.R. n. 600, avendo la Corte di Cassazione chiarito che “le prestazioni del settore moda sono riconducibili ‘ai canoni dell’attività artistica e/o di spettacolo”.
Inoltre, a suo dire, per quanto attiene all’invocata applicazione delle convenzioni fiscali sarebbe stata “non probante la documentazione prodotta dalla parte, atteso che i certificati prodotti si riferiscono, per lo più, ad annualità diverse da quella in esame” e che “non si ha la certezza che il percepito sia stato tassato nel paese di origine”.
2. Principi elaborati dalla Corte di Cassazione
La Suprema Corte (ordinanza 3 marzo 2022, n. 7108) ha ritenuto che le commissioni corrisposte alle agenzie per l’intermediazione nell’acquisizione dei servizi di modelli, parrucchieri, truccatori e stylist non siano assoggettabili alla ritenuta alla fonte prevista dall’art. 25 del DPR n. 600 /1973 ai sensi dell’art. 7 della convenzione fiscale conclusa dall’Italia con il Regno Unito, laddove stabilendo che “gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata”, stabilisce l’imponibilità esclusiva di tali utili nello Stato contraente di residenza dell’impresa che li abbia conseguiti a condizione che tale impresa sia priva di stabile organizzazione nell’altro Stato contraente.
La Corte ritiene che i compensi così individuati sono qualificabili come utili d’impresa non solo perché “l’attività di intermediazione … rientra … all’interno del perimetro dell’art. 2195 cod. civ., al n. 2 ove si fa riferimento ad “un’attività intermediaria nella circolazione dei beni”, o comunque nel n. 5 (“altre attività ausiliarie delle precedenti”)”, ma anche perché “l’organizzazione manifestata dalle società, in grado di fornire personale altamente qualificato per lo svolgimento della sfilata di moda, comporta la sussistenza di una attività organizzativa in forma di impresa, per le attività che non rientrano nell’art. 2195 cod. civ..”.
Pertanto tali compensi non devono ritenersi imponibili in Italia in forza della predetta disposizione convenzionale tenuto conto del fatto che tutte le agenzie erano residenti nel Regno Unito e prive di stabile organizzazione in Italia.
Il ragionamento della Corte va oltre e statuisce che la non imponibilità di tali utili possa ritenersi in alcun modo subordinata ai sensi dell’art. 7 delle convenzioni fiscali alla condizione che siano stati assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza del percipiente per il fatto che “la nozione di persona fisica residente in uno Stato contraente… deve essere intesa nel senso di potenziale assoggettamento della stessa ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza, indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subìto, essendo lo scopo delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 19 novembre 2009, n. 540 (Cass., sez. 5, 17 aprile 2019, n. 10706; Cass., 29 gennaio 2020, n. 1967, al paragrafo 3.8.)”.
Come a dire che la non imponibilità degli utili conseguiti da un’impresa residente in altro Stato contraente priva di stabile organizzazione in Italia non può ritenersi i n alcun modo subordinata alla loro imponibilità nel suo Stato di residenza.
Ulteriore principio fissato dalla Suprema Corte è quello che i compensi corrisposti a talune modelle, alla truccatrice e ad un parrucchiere non sono soggetti alla ritenuta alla fonte del 30 per cento prevista dall’art. 25 del DPR n. 600 ai sensi dell’art. 14 delle convenzioni fiscali concluse dall’Italia, laddove, statuendo che “i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività”, sancisce l’imponibilità esclusiva di tali redditi nello Stato di residenza del percipiente, ogniqualvolta non disponga di una base fissa nell’altro Stato contraente.
Detto diversamente, i compensi così individuati sono riconducibili fra i redditi derivanti dall’esercizio di attività di carattere indipendente e, come tali, non possono essere ritenuti imponibili in Italia in forza della predetta disposizione convenzionale poiché tutti i professionisti così individuati non erano residenti nel territorio dello Stato e non disponevano in Italia di una base fissa.
A ciò si aggiunge che la Corte ha negato che i compensi corrisposti per i servizi resi da modelli, parrucchieri, truccatori e stylist siano riconducibili fra i redditi degli artisti dello spettacolo che ai sensi dell’art. 17 delle convenzioni fiscali concluse dall’Italia, possono essere tassati, oltre che nello Stato di residenza del percipiente, anche in quello di residenza dell’erogante: la Corte di Cassazione sancendo che “l’art. 17 del modello di convenzione OCSE non è applicabile all’attività di modelli e modelle … trattandosi di attività destinata alla realizzazione di video pubblicitari e non di spettacoli artistici … in realtà … di carattere personale, propria dei prestatori autonomi, con conseguente applicazione dell’art. 14 del modello OCSE” no ha configurato come prestazioni artistiche le prestazioni di consulenti, stilisti, parrucchieri e truccatori.
3. Valutazioni finali: percorso da seguire
I compensi di agenzia erogati in favore delle società del Regno Unito devono essere inquadrati come “utile di impresa” e, quindi, in ambito di normativa domestica nel reddito di impresa di cui all'art. 55 del TUIR che considera “redditi di impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per l'esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 del codice civile e delle attività indicate alla lettera b) e e) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzata in forma di impresa".
Lo stesso articolo stabilisce che "sono inoltre considerati redditi di impresa: i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzata in forma di impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.".
L'attività di intermediazione svolta dalle UK Companies, rientra al n. 2 dell'art. 2195 del Codice civile, ove si fa riferimento ad "un'attività intermediaria nella circolazione dei beni", o comunque nel n. 5 ("altre attività ausiliarie delle precedenti"). Peraltro, l'organizzazione manifestata dalle società, in grado di fornire personale altamente qualificato per lo svolgimento della sfilata di moda, comporta la sussistenza di una attività organizzativa in forma di impresa, per le attività che non rientrano nell'art. 2195 cod. civ.
Nel diritto convenzionale i citati compensi sono disciplinati dall’art. 7 della Convenzione tra Italia e Regno Unito (Utili delle imprese), in base al quale "gli utili di un'impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l'impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili dell'impresa sono imponibili nell'altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione".
Pertanto, alla stregua della disciplina della Convenzione ItaliaRegno Unito, sulla doppia imposizione, l'art. 7 della Convenzione prevale sulla normativa nazionale e, quindi, sull'art. 25, comma 2, del DPR n. 600/1973: la norma convenzionale stabilisce l’imponibilità esclusiva di tali utili nello Stato contraente di residenza dell’impresa che li abbia conseguiti a condizione che tale impresa sia priva di stabile organizzazione nell’altro Stato contraente.
L’esatta individuazione dello Stato in cui il percettore del reddito deve essere tassato si attua contrapponendo quella che è la disciplina domestica con la disciplina prevista nelle singole convenzioni contro le doppie imposizioni. In generale, si contrappongono due principi di tassazione: il worldwide taxation principle e il source-based taxation principle.
Tuttavia, queste regole generali di tassazione domestica vanno coordinate con le “speciali” e prevalenti discipline convenzionali tenuto conto che l’ordinamento tributario italiano ha codificato in modo esplicito la prevalenza del diritto convenzionale (pattizio) su quello nazionale, stabilendo che nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia (articolo 75 del DPR n. 600/1973) e che le disposizioni del TUIR si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione (articolo 169 del TUIR).