Alcune disattenzioni redazionali sulle firme elettroniche

1. La firma elettronica avanzata

Una delle novità più importanti del nuovo Codice dell’amministrazione digitale, come modificato e integrato dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, riguarda la reintroduzione della firma elettronica avanzata.

Abbiamo già commentato la cosa come inserita in armonia con quanto previsto dal dettato comunitario in materia e, in particolare, dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 13 dicembre 1999, n. 1999/93/CE.

Tuttavia, una redazione disattenta del nuovo testo in alcuni passi ha mantenuto la dicitura di “firma elettronica qualificata” quando invece, in ragione della nuova versione del CAD, avrebbe dovuto essere definita come “avanzata”.

Analizziamo le due ricorrenze.

L’art. 22, comma 1 (come modificato dall’art. 15 del D.Lgs. 235/2010), infatti, recita:

1. I documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata. La loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale.

La disgiuntiva “o altra firma elettronica qualificata” riferita alla firma digitale non è più corretta, perché nel nuovo CAD la firma digitale si è tra-sformata in un particolare tipo di firma elettronica avanzata.

Medesima sorte, inoltre, si riscontra nell’art. 47, comma 2, lett. a) del nuovo CAD, come modificato dall’art. 32 del D.Lgs. 235/2010. Riferendosi alla trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni, il testo non è stato adeguato alla nuova formulazione e ora recita:

2. Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b) ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all’articolo 71;

d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

Con ogni evidenza, alla lettera a) si doveva fare riferimento non più a quella “qualificata” ma a quella “avanzata”. Invece, il legislatore ha lasciato immodificata la lettera a), che invece avrebbe dovuto essere, come va di moda dire, “attualizzata” al nuovo quadro italiano in materia di firme elettroniche.

La buona notizia, invece, giunge sul fronte della verifica della provenienza di un documento. Il nuovo testo, infatti, novella tra gli strumenti di verifica anche la segnatura di protocollo.

È stata, pertanto, correttamente cassata la dicitura di “protocollo informatizzato”, che mai era esistita prima nel nostro ordinamento, la cui denominazione corretta, fin dal 1998, è di “protocollo informatico”. Dunque, la formulazione previgente del 2005 e del 2006, frutto di una svista, nulla avrebbe significato, men che meno ai fini della verifica della provenienza. Su questo è stato finalmente posto rimedio.

Non è stato, infine, aggiornato l’art. 17, comma 1, lett. j) che, tolta la parola “sicurezza”, ora recita:

j) pianificazione e coordinamento del processo di diffusione, all’interno dell’amministrazione, dei sistemi di posta elettronica, protocollo informatico, firma digitale e mandato informatico, e delle norme in materia di accessibilità e fruibilità

Il testo fa riferimento esclusivo alla firma digitale, quando invece avrebbe dovuto essere esteso a tutti i quattro tipi di firma, scrivendo in maniera omnicomprensiva, “firme elettroniche”. Infatti la firma digitale è diventata residuale dopo le prospettive che si aprono con la corretta gestione dei siti web, ai quali pure sarebbe stato opportuno fare riferimento nel testo legislativo.

2. La firma elettronica autenticata

Un solo accenno a un’altra disattenzione redazionale, stavolta piuttosto grave. Riguardo alla firma elettronica autenticata, l’art. 25, comma 4, riportando concetti già introdotti con la modifica della legge 16 febbraio 1913, n. 89, cioè della c.d. “legge notarile”, avvenuta con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110, recita:

Se al documento informatico autenticato deve essere allegato altro documento formato in originale su altro tipo di supporto, il pubblico ufficiale può allegare copia informatica autenticata dell’originale, secondo le disposizioni dell’articolo 23, comma 5.

Come visto, il comma rinvia alle disposizioni contenute nell’art. 23, comma 5, che però non esiste.

Al di là della infelice confusione tra “conformità” e autenticità” e tra “copia” e “riproduzione” disseminata in tutto il Codice, l’art. 23 è stato infatti interamente riformulato dall’art. 17, comma 2, del D.Lgs. 235/2010. Esso ora contiene solo due commi. Il comma 5 a cui si rinvia, dunque, non c’è più. In una battuta, si è “dematerializzato”.

3. Togliamo qualche refuso dal CAD

Per concludere, esaminiamo alcuni refusi disseminati nel testo, che dovrebbero essere corretti come meri errori materiali.

L’art. 22, comma 6, riformulato, novella:

Fino alla data di emanazione del decreto di cui al comma 5r per tutti i documenti analogici originali unici permane l’obbligo della conservazione dell’originale analogico oppure, in caso di conservazione sostitutiva, la loro conformità all’originale deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato con dichiarazione da questi firmata digitalmente ed allegata al documento informatico.

È rimasta appesa una “r”, ora da cancellare: “5”, in luogo di “5r”.

Completiamo il discorso ancora sul travagliato art. 23, comma 2, che recita:

Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loto conformita’ non e’ espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l’obbligo di conservazione dell’originale informatico.

Il testo riporta “loto” in luogo del corretto “loro”, dovuto sicuramente alla vicinanza nella tastiera qwerty.

È stato poi riscritto l’art. 47, comma 3, che ora novella:

art. 47, comma 3

Le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, provvedono ad istituire e pubblicare nell’Indice PA almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo. La pubbliche amministrazioni utilizzano per le comunicazioni tra l’amministrazione ed i propri dipendenti la posta elettronica o altri strumenti informatici di comunicazione nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati.

La seconda ricorrenza di “pubbliche amministrazioni” contiene un refuso sull’articolo al singolare invece che al plurale “La pubbliche amministrazioni”.

Inoltre, l’art. 58, comma 3, che già era stato modificato dall’art. 24 del D.Lgs. 159/2006 e ora sostituito dall’art. 41, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 235/2010, recita:

DigitPA provvede al monitoraggio dell’attuazione del presente articolo, riferendo annualmente con apposita relazione al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità del-le amministrazione pubbliche di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

In questo caso “amministrazione pubbliche” va corretto in “amministrazioni pubbliche”.

All’art. 68, comma 2-bis, inserito dall’art. 49, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 235/2010, n. 235, ora si legge:

2-bis. Le amministrazioni pubbliche comunicano tempestivamente al DigitPA l’adozione delle applicazioni informatiche e delle pratiche tecnologiche, e organizzative,adottate, fornendo ogni utile informazione ai fini della piena conoscibilità delle soluzioni adottate e dei risultati ottenuti, anche per favorire il riuso e la più ampia diffusione delle migliori pratiche.

Come si può notare alle parole così scritte “organizzative,adottate” bisogna togliere la virgola, aggiungere uno spazio e probabilmente poco prima togliere una congiunzione di troppo.

Si riscontrano, inoltre, delle varianti per un sintagma che dovrebbe essere cristallizzato nella formulazione, come per gli algoritmi, ma che si suddivide in due versioni sia nel testo del 2005 che in quello del 2010:

a) “per via telematica” (art. 45, comma 2; art. 46, comma 1; art. 48, comma 2; art. 49, commi 1 e 2, più la rubrica; art. 52, comma 1; art. 57, comma 1: art. 58, comma 2; art. 59, comma 7-bis; art. 65, commi 1 e 4, più rubrica; art. 66, comma 8)

b) “in via telematica” (art. 10, comma 1; art. 12, comma 5-bis; art. 27, comma 3; art. 29, comma 6; art. 38, comma 1; art. 41, commi 2 e 2-quater; art. 50, comma 3; art. 54, comma 1-bis; art. 55, comma 2; art. 82, comma 2)

Da ultimo, va normalizzato il modo con cui viene richiamato DigiPA, perché a volte si usa la preposizione articolata secondo l’uso popolare lombardo (“al DigitPA”, art. 68, comma 2-bis), mentre le altre ricorrenze riportano l’uso corretto (“da DigitPA”, art. 69, comma 2).

In definitiva, si tratta di piccole cose, per le quali qualcuno ci chiederà di supercilium ponere? In ogni caso, non resta che ammettere che non ci sono più i correttori di bozze di una volta o, più semplicemente, non ci sono più.

Può essere anche accaduto che non sia stato possibile completare il lavoro di revisione e di labor limae, a causa della ben nota “urgenza”, che però mal si concilia con la solennità di un testo che deve essere pubblicato in Gazzetta ufficiale. E male fa chi considera questi refusi solo piccole cose o banalità, perché l’assuefazione o l’indifferenza ai particolari è la cosa peggiore per chi si occupa di innovazione. Il rigore metodologico, nel limite del possibile, richiede di correggere anche le virgole. Sono minuti ma significativi dettagli, commessi in sole 15 pagine, che nascondono errori redazionali più importanti, come quelli appena esaminati nei primi due paragrafi sulle firme elettroniche.

1. La firma elettronica avanzata

Una delle novità più importanti del nuovo Codice dell’amministrazione digitale, come modificato e integrato dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, riguarda la reintroduzione della firma elettronica avanzata.

Abbiamo già commentato la cosa come inserita in armonia con quanto previsto dal dettato comunitario in materia e, in particolare, dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 13 dicembre 1999, n. 1999/93/CE.

Tuttavia, una redazione disattenta del nuovo testo in alcuni passi ha mantenuto la dicitura di “firma elettronica qualificata” quando invece, in ragione della nuova versione del CAD, avrebbe dovuto essere definita come “avanzata”.

Analizziamo le due ricorrenze.

L’art. 22, comma 1 (come modificato dall’art. 15 del D.Lgs. 235/2010), infatti, recita:

1. I documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata. La loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale.

La disgiuntiva “o altra firma elettronica qualificata” riferita alla firma digitale non è più corretta, perché nel nuovo CAD la firma digitale si è tra-sformata in un particolare tipo di firma elettronica avanzata.

Medesima sorte, inoltre, si riscontra nell’art. 47, comma 2, lett. a) del nuovo CAD, come modificato dall’art. 32 del D.Lgs. 235/2010. Riferendosi alla trasmissione dei documenti attraverso la posta elettronica tra le pubbliche amministrazioni, il testo non è stato adeguato alla nuova formulazione e ora recita:

2. Ai fini della verifica della provenienza le comunicazioni sono valide se:

a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

b) ovvero sono dotate di segnatura di protocollo di cui all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

c) ovvero è comunque possibile accertarne altrimenti la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche di cui all’articolo 71;

d) ovvero trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

Con ogni evidenza, alla lettera a) si doveva fare riferimento non più a quella “qualificata” ma a quella “avanzata”. Invece, il legislatore ha lasciato immodificata la lettera a), che invece avrebbe dovuto essere, come va di moda dire, “attualizzata” al nuovo quadro italiano in materia di firme elettroniche.

La buona notizia, invece, giunge sul fronte della verifica della provenienza di un documento. Il nuovo testo, infatti, novella tra gli strumenti di verifica anche la segnatura di protocollo.

È stata, pertanto, correttamente cassata la dicitura di “protocollo informatizzato”, che mai era esistita prima nel nostro ordinamento, la cui denominazione corretta, fin dal 1998, è di “protocollo informatico”. Dunque, la formulazione previgente del 2005 e del 2006, frutto di una svista, nulla avrebbe significato, men che meno ai fini della verifica della provenienza. Su questo è stato finalmente posto rimedio.

Non è stato, infine, aggiornato l’art. 17, comma 1, lett. j) che, tolta la parola “sicurezza”, ora recita:

j) pianificazione e coordinamento del processo di diffusione, all’interno dell’amministrazione, dei sistemi di posta elettronica, protocollo informatico, firma digitale e mandato informatico, e delle norme in materia di accessibilità e fruibilità

Il testo fa riferimento esclusivo alla firma digitale, quando invece avrebbe dovuto essere esteso a tutti i quattro tipi di firma, scrivendo in maniera omnicomprensiva, “firme elettroniche”. Infatti la firma digitale è diventata residuale dopo le prospettive che si aprono con la corretta gestione dei siti web, ai quali pure sarebbe stato opportuno fare riferimento nel testo legislativo.

2. La firma elettronica autenticata

Un solo accenno a un’altra disattenzione redazionale, stavolta piuttosto grave. Riguardo alla firma elettronica autenticata, l’art. 25, comma 4, riportando concetti già introdotti con la modifica della legge 16 febbraio 1913, n. 89, cioè della c.d. “legge notarile”, avvenuta con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110, recita:

Se al documento informatico autenticato deve essere allegato altro documento formato in originale su altro tipo di supporto, il pubblico ufficiale può allegare copia informatica autenticata dell’originale, secondo le disposizioni dell’articolo 23, comma 5.

Come visto, il comma rinvia alle disposizioni contenute nell’art. 23, comma 5, che però non esiste.

Al di là della infelice confusione tra “conformità” e autenticità” e tra “copia” e “riproduzione” disseminata in tutto il Codice, l’art. 23 è stato infatti interamente riformulato dall’art. 17, comma 2, del D.Lgs. 235/2010. Esso ora contiene solo due commi. Il comma 5 a cui si rinvia, dunque, non c’è più. In una battuta, si è “dematerializzato”.

3. Togliamo qualche refuso dal CAD

Per concludere, esaminiamo alcuni refusi disseminati nel testo, che dovrebbero essere corretti come meri errori materiali.

L’art. 22, comma 6, riformulato, novella:

Fino alla data di emanazione del decreto di cui al comma 5r per tutti i documenti analogici originali unici permane l’obbligo della conservazione dell’originale analogico oppure, in caso di conservazione sostitutiva, la loro conformità all’originale deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato con dichiarazione da questi firmata digitalmente ed allegata al documento informatico.

È rimasta appesa una “r”, ora da cancellare: “5”, in luogo di “5r”.

Completiamo il discorso ancora sul travagliato art. 23, comma 2, che recita:

Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loto conformita’ non e’ espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l’obbligo di conservazione dell’originale informatico.

Il testo riporta “loto” in luogo del corretto “loro”, dovuto sicuramente alla vicinanza nella tastiera qwerty.

È stato poi riscritto l’art. 47, comma 3, che ora novella:

art. 47, comma 3

Le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, provvedono ad istituire e pubblicare nell’Indice PA almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo. La pubbliche amministrazioni utilizzano per le comunicazioni tra l’amministrazione ed i propri dipendenti la posta elettronica o altri strumenti informatici di comunicazione nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati.

La seconda ricorrenza di “pubbliche amministrazioni” contiene un refuso sull’articolo al singolare invece che al plurale “La pubbliche amministrazioni”.

Inoltre, l’art. 58, comma 3, che già era stato modificato dall’art. 24 del D.Lgs. 159/2006 e ora sostituito dall’art. 41, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 235/2010, recita:

DigitPA provvede al monitoraggio dell’attuazione del presente articolo, riferendo annualmente con apposita relazione al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità del-le amministrazione pubbliche di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

In questo caso “amministrazione pubbliche” va corretto in “amministrazioni pubbliche”.

All’art. 68, comma 2-bis, inserito dall’art. 49, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 235/2010, n. 235, ora si legge:

2-bis. Le amministrazioni pubbliche comunicano tempestivamente al DigitPA l’adozione delle applicazioni informatiche e delle pratiche tecnologiche, e organizzative,adottate, fornendo ogni utile informazione ai fini della piena conoscibilità delle soluzioni adottate e dei risultati ottenuti, anche per favorire il riuso e la più ampia diffusione delle migliori pratiche.

Come si può notare alle parole così scritte “organizzative,adottate” bisogna togliere la virgola, aggiungere uno spazio e probabilmente poco prima togliere una congiunzione di troppo.

Si riscontrano, inoltre, delle varianti per un sintagma che dovrebbe essere cristallizzato nella formulazione, come per gli algoritmi, ma che si suddivide in due versioni sia nel testo del 2005 che in quello del 2010:

a) “per via telematica” (art. 45, comma 2; art. 46, comma 1; art. 48, comma 2; art. 49, commi 1 e 2, più la rubrica; art. 52, comma 1; art. 57, comma 1: art. 58, comma 2; art. 59, comma 7-bis; art. 65, commi 1 e 4, più rubrica; art. 66, comma 8)

b) “in via telematica” (art. 10, comma 1; art. 12, comma 5-bis; art. 27, comma 3; art. 29, comma 6; art. 38, comma 1; art. 41, commi 2 e 2-quater; art. 50, comma 3; art. 54, comma 1-bis; art. 55, comma 2; art. 82, comma 2)

Da ultimo, va normalizzato il modo con cui viene richiamato DigiPA, perché a volte si usa la preposizione articolata secondo l’uso popolare lombardo (“al DigitPA”, art. 68, comma 2-bis), mentre le altre ricorrenze riportano l’uso corretto (“da DigitPA”, art. 69, comma 2).

In definitiva, si tratta di piccole cose, per le quali qualcuno ci chiederà di supercilium ponere? In ogni caso, non resta che ammettere che non ci sono più i correttori di bozze di una volta o, più semplicemente, non ci sono più.

Può essere anche accaduto che non sia stato possibile completare il lavoro di revisione e di labor limae, a causa della ben nota “urgenza”, che però mal si concilia con la solennità di un testo che deve essere pubblicato in Gazzetta ufficiale. E male fa chi considera questi refusi solo piccole cose o banalità, perché l’assuefazione o l’indifferenza ai particolari è la cosa peggiore per chi si occupa di innovazione. Il rigore metodologico, nel limite del possibile, richiede di correggere anche le virgole. Sono minuti ma significativi dettagli, commessi in sole 15 pagine, che nascondono errori redazionali più importanti, come quelli appena esaminati nei primi due paragrafi sulle firme elettroniche.