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Angelo Maria Ripellino: una poesia sulla vita

dalla raccolta "Poesie. 1952-1978" edita da Einaudi nel 1990
Angelo Maria Ripellino
Angelo Maria Ripellino

Oggi vogliamo parlarvi di Angelo Maria Ripellino, grande scrittore, poeta e critico nato a Palermo nel 1923 e morto a Roma nel 1978.

Abbiamo scelto una sua magnifica poesia senza ditolo tratta dalla raccolta pubblicata per Einaudi nel 1978 nella raccolta Poesie. 1952-1978.

Per raccontarvi la vita e la poetia di Angelo Maria Ripellino, abbiamo scelto le parole di Davide Puccini, tratte dal sito La presenza di Èrato.

 

Angelo Maria Ripellino, una vita per la poesia

Illustre slavista, critico teatrale dell’ Espresso, autore di prose tra il romanzo e il saggio, Angelo Maria Ripellino poeta esige una considerazione che, pur non potendo prescindere da questa sua varia attività, penetri in profondità le caratteristiche peculiari della sua originale elaborazione di significanti e significati.

Del resto se, come appare ovvio, non possono mancare punti di contatto tra il saggista e il poeta, è poi anche vero che può esserci una sorta di antagonismo: ” Per anni e anni ho scritto e stracciato poesie, vergognandomi di scrivere. Il mio mestiere di slavista, la mia etichetta depositata mi relegarono sempre in una precisa dimensione, in un ranch, da cui m’era rigorosamente vietato di evadere“.

La citazione ci avvia anche a comprendere la ragione della maturità della non precoce raccolta d’esordio, Non un giorno ma adesso (1960), dove – a parte una minore densità di linguaggio, una musicalità più facile e piana – sono già reperibili le linee portanti del discorso poetico di Ripellino: la riflessione sulla fragilità della vita intaccata dalla malattia e il potere salvifico della poesia, a cui è affidato il compito di esorcizzare la morte, continuamente revocato in dubbio e sempre risorgente.

Ma è con le tre raccolte successive che si entra nel nucleo più compatto (anche da un punto di vista cronologico non c’è quasi soluzione di continuità) della poesia di Angelo Maria Ripellino: La fortezza d’Alvernia (1967), Notizie dal diluvio (1969) e Sinfonietta (1972). Non ci sono sensibili spostamenti dell’oggetto dell’indagine poetica, ma l’aggressione linguistica si fa violenta, e lo stratificarsi espressivo di aree semantiche diversissime dà origine ad una straordinaria complessità.

Elementi entrano in relazione con termini di provenienza slava, con altri desunti dall’attualità, dando luogo ad un impasto linguistico irripetibile. Versi come: Truncioli truci di tralci intrecciano croci” sono forse un caso limite, ma non un’eccezione. Per il titolo, Notizie dal diluvio può essere avvicinato alle poesie Il diluvio e Il segnale del diluvio del ceco Halas, che Angelo Maria Ripellino ha fatto conoscere in Italia; ma è comunque certo il riferimento all’invasione della Cecoslovacchia nel ’68: il dolore individuale diviene dolore collettivo di una nazione che per il poeta è una seconda patria. In Notizie dal diluvio e Sinfonietta (il titolo rimanda ancora a Janàcek), che formano corpo unico, continua il gioco dei bisticci sillabici, e ormai non ci stupiamo di trovare versi che sembrano un concentrato di retorica, come ” folli ofelie feline ofelie folli“, o che il violino della poesia d’apertura sia prima violaceo e poi svilito, o ancora che gli alibi della seconda siano abili.

L’ultimo tempo della poesia di Angelo Ripellino è costituito da due raccolte: Lo splendido violino verde (1976) e Autunnale barocco (1977).  I titoli sono molto significativi ed evidenziano, nella prima, lo strumento virtuosistico e funambolico per eccellenza, che sebbene tarlato e tartassato continua a far sentire la sua voce; nella seconda, la disposizione barocca della scrittura di Ripellino, ma – appunto – di un barocco autunnale, in cui concetti e metafore convergono verso l’inesorabile avvicinarsi della fine e del silenzio, o all’opposto tentano disperatamente di travestirlo e di dimenticarlo.

Angelo Maria Ripellino, un poeta dalle parole difficili, di tutti, ma non per tutti.


Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sé sempre il meglio,
e non essere scaltri.

Vivere è amare la vita
con i suoi funerali e i suoi balli,
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.

Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta,
schivare le gonfie parole,
vestite con frange di festa.

Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l’autunno
e non stancarsi d’amare.

Angelo Maria Ripellino, Poesie. 1952-1978, Torino, Einaudi, 1990, p. 21