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Apartheid tutelativo

violenza di genere
violenza di genere

Nel 1791, con la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe De Gouges[1], iniziò a svilupparsi il tema dei diritti delle donne.

La rivendicazione dei diritti civili, della condizione economica femminile e dei diritti politici, nonché il miglioramento della condizione femminile costituiscono la base del femminismo a partire dal XIX secolo …come non ricordare Winnifred Banks, madre dei due bimbi accuditi da Marry Poppins e suffragetta a tempo pieno!

Eppure, nonostante siano trascorsi oltre 200 anni, nonostante l’evoluzione socio-culturale, la forza bruta dell’uomo continua a colpire ancora.

A parte quel galantuomo di Dante Aligheri, che considerava la donna una donna-angelo da “amare in modo gentile e cortese”, la storia narra di soprusi e sopraffazioni nei confronti delle donne in tutte le epoche da oriente ad occidente. Dal ratto delle Sabine alla lapidazione delle donne adultere nel mondo islamico, dal rogo all’annientamento psicologico.

Il motivo?

Quell’insensata concezione di considerare la donna, sin dai tempi di Aristotele, inferiore all’uomo sol perché donna!

In realtà, studi psicologici e criminologici hanno ampiamente affermato l’esatto contrario, in quanto dietro ogni atto di violenza risiede la fragilità del medesimo aggressore, fragilità che per essere celata assume la veste della prepotenza.

A prescindere da quale sia il reale motivo, nessuna spiegazione può giustificare un tale comportamento, che sempre più spesso integra un delitto.

Difatti, ogniqualvolta un uomo intimorisce, aggredisce e/o violenta una donna svaniscono nel nulla gli innumerevoli sforzi che hanno sdoganato preconcetti e dogmi sul gentil sesso.

 Ogniqualvolta un uomo intimorisce, aggredisce e/o violenta una donna lede la libertà di autodeterminazione della medesima, libertà costituzionalmente e convenzionalmente tutelata.

Il sostantivo libertà è una delle parole più belle, ma non perché fulcro di Carte Costituzionali, Convenzioni o Trattati Internazionali ma, perché significa poter scegliere senza alcun condizionamento.

Poter scegliere di affermarsi in ambito socio-familiare, lavorativo, politico ma soprattutto scegliere di indossare ciò che si desidera, con accessori più o meno stravaganti, raffinati o provocanti senza essere giudicate e senza essere oggetto di attenzioni non gradite.

Poter scegliere di viaggiare da sole, per piacere e/o dovere, in qualunque momento della giornata senza il timore e la paura di condividere il mezzo pubblico con qualche violento di troppo.

Purtroppo, non è così e a dimostrarlo sono i numerosi fatti di cronaca.

In particolare, a causa dei continui tagli di investimento sulla sicurezza degli utenti, nel Sistema Ferroviario Italiano si è registrato un calo di contributi di circa il 70%, da Euro 220 mila nel 1986 ad Euro 70 mila nel 2016.

 Questo ha creato un’inevitabile carenza di sicurezza nelle stazioni e sui treni, facendo aumentare gli abusi verbali e/o le molestie fisiche nei confronti delle donne, specialmente nelle ore serali quando il numero dei passeggeri diminuisce ed i vagoni sono semi-deserti.

Sulla base di tali indici, in Italia alla fine del 2021, in seguito ad un’aggressione ed una violenza a due giovani donne su un treno regionale della tratta Milano –Varese e nella sala d’aspetto della stazione di Venegono Inferiore, è stata lanciata una petizione per chiedere al Servizio Ferroviario di adibire su ogni treno una carrozza alle sole viaggiatrici, cc.dd. women-only carriages.

Da questa richiesta è sorto un intenso dibattito, segnato dallo scontro ideologico tra due diversi fronti di pensiero.

Un primo fronte afferma che una tale politica incoraggerebbe le donne ad utilizzare con più frequenza i treni, migliorando il loro stato di salute psicofisico durante il viaggio e la loro percezione della sicurezza personale. Non a caso, la petizione ha raggiunto in poco più di un mese oltre 40 mila firme.

Inoltre, la petizione ha lo scopo di applicare una politica simile a quella che viene attuata, ormai da anni, in molte parti del mondo, come Malesia, Thailandia, Egitto ed India.

Proprio in quest’ultimo Paese, il problema delle violenze delle donne sui convogli aveva raggiunto dimensioni tali che nel 2009, oltre alle carrozze dedicate già presenti per legge da due anni, l’allora neo ministra Mamata Banerje aveva istituito i Ladies Special, treni interamente interdetti alla salita di uomini, che collegavano le periferie ai centri città di Nuova Delhi, Calcutta, Mumbai e Chennai.

Ancor prima, nel 2005, il Giappone, a causa di un drammatico aumento di episodi di violenza contro le viaggiatrici sui mezzi pubblici, aveva deciso di adottare i women-only carriages su 87 linee di 32 compagnie ferroviarie.

Dopo un anno dall’introduzione dei vagoni per sole donne, è stato rilevato che i casi di abusi sulle donne erano diminuiti a Tokyo solo del 3%. In termini di utilizzo, solo il 4% ne aveva fatto un uso quotidiano, il 46,5% un uso saltuario e il restante 35,9% delle donne Giapponesi non aveva mai utilizzato i women-only carriages[2].

Nella capitale del Brasile, San Paolo, si assiste all’introduzione di tale politica sin dalla fine degli anni ’90, tra il 1995 e il 1997. Poco dopo, la Metropolitan Trains Company, in virtù del principio di eguaglianza tra uomo e donna (art. 5 della Costituzione Brasiliana), ha aspramente criticato tale politica in quanto, in tal modo, è la vittima ad essere isolata e non l’aggressore.

Di contro, un incremento dei vagoni rosa si è registrato a Rio de Janeiro dal 2006, nei giorni feriali, nelle ore mattutine e serali.

Tuttavia, per 7 anni, i women-only carriages non hanno modificato i dati sulle molestie.

Al di là delle statistiche e degli episodi di violenza che spesso rimangono invariati, il secondo fronte afferma che la scelta di adibire alcuni vagoni solo alle donne rischierebbe di ecclissare il vero problema di fondo, ovvero la violenza contro le donne.

Non sono mancati, infatti, pareri contrari alla petizione, tra cui quello di Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, e del Dipartimento delle Pari Opportunità della Liguria, i quali hanno affermato che limitare le donne in un luogo “protetto”, oltre ad essere discriminatorio, rappresenta una sconfitta per l’intera società.

Si tratterebbe, infatti, di un “apartheid” che se, da una parte, potrebbe far diminuire i casi di violenza, dall’altro, renderebbe maggiormente insicure le donne nei luoghi in cui mancherebbe questa forma di protezione e, velatamente, renderebbe “lecito” il comportamento aggressivo dell’uomo in posti accessibili ad ambedue i sessi.

Conseguentemente, si trasmetterebbe l’idea che l’unico modo per impedire violenze e molestie sia rinchiudere le donne in gabbie dorate non accessibili all’uomo-orco.

Forse, però, il vero fulcro della questione e, dunque, la risoluzione radicale al problema risiede nella corretta educazione dell’uomo, un’educazione incentrata sul concetto di donna come essere umano a 360⁰ e sull’uguaglianza tra uomo e donna.

Purtroppo, però, la società, prettamente patriarcale, continua a non voler recepire questa concezione. Non a caso, sempre più spesso i genitori raccomandano alle loro figlie di non di frequentare determinati luoghi o di non frequentarli in determinate fasce orarie, ma al contempo, non sempre inculcano ai loro figli il rispetto incondizionato dell’altro sesso, senza se e senza ma, senza un torna conto personale e senza un do ut des, insegnamento che dovrebbe essere trasmesso sin dalla tenera età.

Come recita uno dei Testi Sacri dell’Ebraismo, il Talmud, “State molto attenti a far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime!

La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere calpestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale, un po’ più in basso del braccio per essere protetta, dal lato del cuore per essere amata”.

 

[1] Olympe De Gouges (Montauban, 7 maggio 1748 – Parigi, 3 novembre 1793) è stata una drammaturga e attivista francese.

[2] Chiara Ricchetti, “ I vagoni riservati solo alle donne sono davvero utili? Il caso del Giappone” su ilcaffegeopolitico.net.