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Appellabilità della sentenza di proscioglimento per vizio totale di mente nel giudizio abbreviato

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 29 ottobre 2009, n.274

 

La Corte Costituzionale è stata investita del giudizio di legittimità in via incidentale proposto dalla Corte d’appello di Napoli dell’art. 443 comma 1 c.p.p. nella parte in cui esclude che nel giudizio abbreviato l’imputato possa proporre appello contro le sentenze di assoluzione pronunziate ai sensi dell’art. 88 c.p. ossia sentenze di proscioglimento per vizio totale di mente.

La questione di costituzionalità è posta riguardo agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione; in particolare la corte rimettente reputa che l’art. 24 della Costituzione sia violato in quanto l’imputato viene privato della possibilità di far valere le doglianze avverso una sentenza che presuppone l’avvenuto accertamento del fatto di reato e della sua riferibilità all’autore oltre all’applicazione di misure particolarmente afflittive in quanto la loro durata è prefissata nel minimo, ma non nel massimo; tale compressione non può essere giustificata dalla scelta del rito abbreviato.

Per quanto riguarda l’art. 111 della Costituzione esso verrebbe violato nella parte in cui assegna parità delle parti nel processo, dal momento che all’imputato verrebbe ridotta la possibilità di appellare nonostante a seguito delle pronunce n. 26 e n. 320 del 2007 sia stata sancita la possibilità di appellare contro sentenze emesse tanto nel giudizio ordinario che nel giudizio abbreviato.

Infine l’art. 3 della costituzione a detta della remittente, risulterebbe violato quale fonte del principio di ragionevolezza poiché le sentenze di condanna ad una ammenda sono appellabili, mentre la sentenza di assoluzione per vizio totale di mente no.

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione proposta, in particolare ha avuto modo di osservare che la scelta del rito abbreviato e l’esigenza di economia processuale non possono comportare l’annullamento della facoltà di appello che è espressione del fondamentale diritto alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione.

Il giudice delle leggi ha altresì applicato il principio di ragionevolezza delle norme penali laddove ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 della Costituzione per il seguente motivo: l’imputato può appellare nel merito per una condanna alla pena della multa mentre non può appellare l’assoluzione per vizio totale di mente ala quale venga applicata una misura di sicurezza che limiti la sua libertà personale.

La Corte Costituzionale ha quindi rilevato che nel caso concreto il tipo di sentenza emessa dal tribunale sia equiparabile, quanto alle sue conseguenze, ad una sentenza di condanna. Infatti, i pregiudizi morali e giuridici posti a carico della persona condannata sono notevolissimi. In particolare, accertata la pericolosità sociale ed applicata una misura di sicurezza ex art. 222 c.p., tale misura è limitativa della libertà personale ed ha una durata non predeterminata nel massimo risultando potenzialmente più afflittiva di una sentenza di condanna tout court.

La Corte costituzionale ha avuto quindi modo di sottolineare la natura essenzialmente afflittiva delle misure di sicurezza recependo le osservazioni della dottrina circa la posizione ambigua che assumono nel nostro ordinamento. Da un lato, infatti, esse sono ritenute distinguibili dalle pene in quanto hanno una finalità terapeutica e riabilitativa, dall’altro lato però non sfugge che nella realtà dei fatti le misure di sicurezza risultano essere degli strumenti punitivi ancora più incisivi delle pene e criticabili in quanto la loro durata massima non viene predeterminata dalla legge, ma affidata ad una valutazione da operarsi a scadenze predefinite.

Per i motivi sopra esposti la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma di cui all’art. 443 c.p.p. nella parte in cui esclude che l’imputato possa proporre appello contro le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente.

La sentenza si inserisce nel filone delle sentenze con cui il giudice delle leggi ha avuto modo di influire in maniera forte sul diritto penale sostanziale e processuale, in quanto non si limita a sancire la illegittimità costituzionale di una norma, ma entra anche in un terreno che alla luce del principio di legalità dovrebbe essere ad appannaggio del solo Legislatore.

 

La Corte Costituzionale è stata investita del giudizio di legittimità in via incidentale proposto dalla Corte d’appello di Napoli dell’art. 443 comma 1 c.p.p. nella parte in cui esclude che nel giudizio abbreviato l’imputato possa proporre appello contro le sentenze di assoluzione pronunziate ai sensi dell’art. 88 c.p. ossia sentenze di proscioglimento per vizio totale di mente.

La questione di costituzionalità è posta riguardo agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione; in particolare la corte rimettente reputa che l’art. 24 della Costituzione sia violato in quanto l’imputato viene privato della possibilità di far valere le doglianze avverso una sentenza che presuppone l’avvenuto accertamento del fatto di reato e della sua riferibilità all’autore oltre all’applicazione di misure particolarmente afflittive in quanto la loro durata è prefissata nel minimo, ma non nel massimo; tale compressione non può essere giustificata dalla scelta del rito abbreviato.

Per quanto riguarda l’art. 111 della Costituzione esso verrebbe violato nella parte in cui assegna parità delle parti nel processo, dal momento che all’imputato verrebbe ridotta la possibilità di appellare nonostante a seguito delle pronunce n. 26 e n. 320 del 2007 sia stata sancita la possibilità di appellare contro sentenze emesse tanto nel giudizio ordinario che nel giudizio abbreviato.

Infine l’art. 3 della costituzione a detta della remittente, risulterebbe violato quale fonte del principio di ragionevolezza poiché le sentenze di condanna ad una ammenda sono appellabili, mentre la sentenza di assoluzione per vizio totale di mente no.

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione proposta, in particolare ha avuto modo di osservare che la scelta del rito abbreviato e l’esigenza di economia processuale non possono comportare l’annullamento della facoltà di appello che è espressione del fondamentale diritto alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione.

Il giudice delle leggi ha altresì applicato il principio di ragionevolezza delle norme penali laddove ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 della Costituzione per il seguente motivo: l’imputato può appellare nel merito per una condanna alla pena della multa mentre non può appellare l’assoluzione per vizio totale di mente ala quale venga applicata una misura di sicurezza che limiti la sua libertà personale.

La Corte Costituzionale ha quindi rilevato che nel caso concreto il tipo di sentenza emessa dal tribunale sia equiparabile, quanto alle sue conseguenze, ad una sentenza di condanna. Infatti, i pregiudizi morali e giuridici posti a carico della persona condannata sono notevolissimi. In particolare, accertata la pericolosità sociale ed applicata una misura di sicurezza ex art. 222 c.p., tale misura è limitativa della libertà personale ed ha una durata non predeterminata nel massimo risultando potenzialmente più afflittiva di una sentenza di condanna tout court.

La Corte costituzionale ha avuto quindi modo di sottolineare la natura essenzialmente afflittiva delle misure di sicurezza recependo le osservazioni della dottrina circa la posizione ambigua che assumono nel nostro ordinamento. Da un lato, infatti, esse sono ritenute distinguibili dalle pene in quanto hanno una finalità terapeutica e riabilitativa, dall’altro lato però non sfugge che nella realtà dei fatti le misure di sicurezza risultano essere degli strumenti punitivi ancora più incisivi delle pene e criticabili in quanto la loro durata massima non viene predeterminata dalla legge, ma affidata ad una valutazione da operarsi a scadenze predefinite.

Per i motivi sopra esposti la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma di cui all’art. 443 c.p.p. nella parte in cui esclude che l’imputato possa proporre appello contro le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente.

La sentenza si inserisce nel filone delle sentenze con cui il giudice delle leggi ha avuto modo di influire in maniera forte sul diritto penale sostanziale e processuale, in quanto non si limita a sancire la illegittimità costituzionale di una norma, ma entra anche in un terreno che alla luce del principio di legalità dovrebbe essere ad appannaggio del solo Legislatore.