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Il dragaggio dei sedimenti nella legge n. 84/1994 e nel d.m. 7 novembre 2008

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione[1] i sedimenti dragati sono rifiuti; il legislatore però, con le modifiche apportata dalla legge n. 264/2006 (finanziaria per il 2007) alla legge n. 84/1994 e con il d.m. 7.11.08, ha introdotto un’eccezione per i soli Siti di bonifica di Interesse Nazionale di cui all’art. 252 d.lg. n. 152/2006 (ed il cui perimetro comprenda in tutto o in parte la circoscrizione dell’Autorità portuale). Per effetto di questa nuova disciplina tali sedimenti, a determinate condizioni (prima fra tutte la non pericolosità), sono materiali che possono essere dragati e poi utilizzati (per formare terrapieni costieri o per il ripascimento degli arenili) oppure collocati in strutture di contenimento. Va precisato che la nuova direttiva in materia di rifiuti 2008/98/CE (da recepire entro il 12.12.2010) tra le esclusioni prevede proprio (fatti salvi gli obblighi risultanti da altre normative comunitarie pertinenti) «i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli, se è provato che i sedimenti non sono pericolosi» (art. 2 comma 3).

La ratio della legge e del regolamento è ravvisabile nella volontà di rendere compatibili le operazioni di dragaggio con gli interventi di bonifica; la legge prevede, infatti, che le operazioni di dragaggio possano essere svolte anche contestualmente alla predisposizione del progetto di bonifica e in modo tale da evitare che ad essa arrechi pregiudizio (art. 5 comma 11 bis l.n. 84/1994; cfr. anche l’art. 3 comma 1 del d.m. 7.11.08). Si ricorda inoltre che questa particolare disciplina avrà anche l’effetto di semplificare i dragaggi portuali e potrà così rimuovere ciò che eventualmente ostacola gli interventi di ristrutturazione e ampliamento dei porti stessi.

Venendo al procedimento, il progetto può essere presentato dall’Autorità portuale (o, laddove non istituita, dall’ente competente, art. 5 comma 11 bis l.n. 84/1994) al Ministero delle infrastrutture che dovrà approvarlo entro trenta giorni sotto il profilo tecnico-economico e lo trasmetterà poi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per l’approvazione definitiva. Il decreto di approvazione del Ministero dell’ambiente dovrà intervenire entro trenta giorni dalla suddetta trasmissione (art. 5 comma 11 bis l.n. 84/1994).

Il progetto di dragaggio dovrà contenere (art. 1 comma 3 del decreto) «i risultati della caratterizzazione delle analisi del materiale da dragare, condotta ai sensi dell’Allegato "A" del presente decreto, le tecniche idonee per la rimozione e il trasporto del materiale nonchè le modalità per l’immersione in mare, per formare terrapieni costieri o per il ripascimento degli arenili, ovvero per il conferimento presso strutture di contenimento».[2]

Restando alla destinazione dei materiali dragati, la loro immissione/refluimento in mare, così come l’utilizzo per la formazione di terreni costieri o per interventi di ripascimento, possano essere autorizzati[3] solo qualora i materiali presentino caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche, analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo e idonee con riferimento al sito di destinazione ed a patto che non esibiscano positività a test ecotossicologici (art. 5 comma 11 ter l.n. 84/1994).

Quanto invece alla loro collocazione in strutture di contenimento poste in ambito costiero (quali casse di colmata e vasche di raccolta[4]) essa è riservata ai soli materiali non pericolosi (art. 5 comma 11 quater l.n. 84/1994), vale a dire che non presentano valori superiori a quelli indicati in Allegato D, parte quarta del d.lg. n. 152/2006 (art. 2 co. 2 d.m. 7.11.08).

Ai sensi dell’art. 5 comma 11 quinquies «l’idoneità del materiale dragato ad essere gestito secondo quanto previsto ai commi 11-ter e 11-quater viene verificata mediante apposite analisi da effettuare nel sito prima del dragaggio sulla base di metodologie e criteri stabiliti con apposito decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione»; di questo si occupa infatti l’Allegato A del decreto.

Il punto 2 dell’Allegato A prevede che si proceda con la caratterizzazione «dell’intera superficie e dell’intero volume oggetto di intervento»; il punto 3 dell’Allegato A si occupa dello “Schema di campionamento” e definisce le dimensioni della maglia (50x50, 100x100, 200x200); il punto 4 della “Profondità del campionamento” e il punto 5 della “Scelta dei campioni”. Il punto 6 contiene le “Metodiche di campionamento”, il punto 7 il “Subcampionamento e preparazione dei campioni” e il punto 8 il “Trattamento e conservazione dei campioni”. Nel punto 9 sono indicati i “Criteri per la scelta dei laboratori incaricati per le analisi”.

Le “Analisi previste” sono riportate al punto 10; si tratta di analisi fisiche (tabella A1) e di analisi chimiche (tabella A2 contenente i valori di quantificazione cui riferirsi). Sempre al punto 10 troviamo la tabella A3, dove sono riportate le analisi microbiologiche da eseguire ai fini della collocazione prevista dall’art. 5 comma 11 ter (immissione/refluimento in mare e utilizzo per la formazione di terreni costieri o per interventi di ripascimento) e la tabella A4 contenente le modalità di applicazione dei saggi biologici ai sedimenti (analisi ecotossicologiche) sempre ai fini della medesima destinazione. Il punto 11 contiene le “Modalità di restituzione dei risultati”; infine il punto 12 si occupa della “Elaborazione e valutazione dei risultati”.

Ai sensi dell’art. 2 comma 3 del decreto «qualora i risultati delle analisi di cui al comma 1 individuino nei materiali dragati, anche a seguito del trattamento di cui al comma 2, livelli di contaminazione superiori ai limiti stabiliti dalla tabella 1, allegato 5, parte quarta, titolo V del decreto legislativo n. 152/2006 ma inferiori a quelli previsti dall’Allegato D, l’Autorità portuale, ovvero, laddove non costituita, l’Ente competente, può chiedere al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell’ambito del medesimo progetto di dragaggio di cui all’art. 5, comma 11-bis della legge n. 84 del 1994, anche l’autorizzazione a refluire detti materiali tal quali o a seguito di trattamenti finalizzati alla riduzione degli inquinanti in strutture di contenimento sulla base di una valutazione chimico-fisica ed ecotossicologica dell’accettabilità delle concentrazioni di inquinanti eccedenti i suddetti limiti. Il Ministero, avvalendosi del parere dell’ISPRA, deve provvedere al riguardo nell’ambito del procedimento di cui all’art. 5, comma 11-bis. La predetta autorizzazione vale anche ai sensi di quanto previsto al successivo art. 7».

Ci si domanda come verrà eseguita questa “valutazione chimico-fisica ed ecotossicologica” (di fatto, un’analisi di rischio eseguita, però, dopo la rimozione ed a seguito di trattamento) ed in particolare se si potrà fare riferimento alla tabella A4, ancorché prevista ai soli fini del riutilizzo di cui all’art. 5 comma 11 ter. Se le concentrazioni risultassero inaccettabili? Ai sensi del comma 11 sexies si applicheranno « le previsioni della vigente normativa ambientale nell’eventualità di una diversa destinazione e gestione a terra dei materiali derivanti dall’attività di dragaggio».

L’unico trattamento ammesso è quello che mira alla rimozione degli inquinanti; non sono previsti processi che abbiano come obiettivo l’immobilizzazione degli inquinanti, quali, ad esempio, il processo di solidificazione o di stabilizzazione (art. 5 comma 11 quater l.n. 84/1994)[5].

Ai sensi dell’art. 4 del decreto ministeriale è possibile la miscelazione dei materiali refluiti nelle strutture di contenimento, ancorché aventi caratteristiche diverse «ferme restando le esclusioni di cui all’art. 4, al fine di raggiungere i limiti previsti dalla normativa vigente in materia di bonifica per la specifica destinazione d’uso. La miscelazione deve essere finalizzata anche al miglioramento delle caratteristiche di stabilità dell’intero ammasso dei materiali refluiti»[6].

Con riferimento alle caratteristiche delle strutture di contenimento esse debbono «presentare un sistema di impermeabilizzazione naturale o completato artificialmente al perimetro e sul fondo, in grado di assicurare requisiti di permeabilità almeno equivalenti a: K minore o uguale 1,0 x 10-9 m/s e spessore maggiore o uguale a 1 m.» (art. 5 comma 11 quater).

E’ ammesso il deposito temporaneo dei materiali, per un tempo massimo di trenta mesi, senza limiti quantitativi, prima della loro collocazione definitiva e purchè avvenga all’interno di strutture appositamente adibite che assicurino il non trasferimento degli inquinanti agli ambienti circostanti (art. 5 comma 11 quinquies)[7].

E’ inoltre prevista una verifica dei materiali dopo la loro collocazione con possibilità di aprire un procedimento di bonifica dell’area derivante dall’attività di colmata in relazione alla destinazione d’uso «nel caso in cui al termine delle attività di refluimento, i materiali di cui sopra presentino livelli di inquinamento superiori ai valori limite di cui alla tabella 1, allegato 5, parte quarta, titolo V, del decreto legislativo n. 152 del 2006» (art. 5 comma 11 quater). Non si comprende se il riferimento sia ad un’area, come potrebbe essere il fondale al termine del refluimento (e come l’espressione “attività di refluimento” fa pensare) o se si tratti invece della struttura di contenimento, come l’espressione “attività di colmata” porterebbe a ritenere. Medesime perplessità si pongono con riferimento al decreto (art. 6) la cui rubrica è però più chiara (“bonifica delle strutture di contenimento”): «Nel caso in cui al termine dell’attività di refluimento, i materiali presentino valori di concentrazione superiori ai limiti fissati dalla vigente normativa in materia di bonifica per la specifica destinazione d’uso della struttura di contenimento, se ne attiva la procedura di bonifica. Per la verifica dei suddetti valori di concentrazione si tiene conto del contenuto dell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 5, comma 11-bis. Nel caso di permanenza in sito di concentrazioni residue degli inquinanti eccedenti i predetti valori limite, devono essere adottate misure di sicurezza che garantiscono comunque la tutela della salute e dell’ambiente. L’accettabilità delle concentrazioni residue degli inquinanti eccedenti i valori limite deve essere accertata attraverso una metodologia di analisi di rischio con procedura diretta riconosciuta a livello internazionale, che assicuri per la parte di interesse il soddisfacimento dei «Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi di rischio sanitaria ai siti contaminati» elaborati dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, dall’Istituto superiore di sanità e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. I principali criteri di riferimento per la conduzione dell’analisi di rischio sono riportati nell’Allegato "B". Per la valutazione dell’accettabilità delle concentrazioni residue degli inquinanti si tiene conto del contenuto dell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 5, comma 11-bis».

Aspetti da chiarire sono: (1) ammissibilità di un’analisi di rischio sulle strutture di contenimento diversa da quella prevista in materia di bonifica dei siti contaminati; (2) singolarità della scelta di non procedere con l’analisi di rischio prima di rimuovere i sedimenti e si ritenga invece corretto farla dopo; (3) il percorso che porta all’analisi di rischio è del tutto nuovo: dopo che i materiali sono stati immessi nelle strutture di contenimento si valuterà se rispettano i limiti di CSC; in caso di superamento – prevede la norma – si attiverà la procedura di bonifica e se ciò nonostante dovessero permanere superamenti, si dovrà procedere con le misure di sicurezza, previa determinazione dell’accettabilità dei valori residui secondo un’analisi di rischio. Questo iter è diverso sia da quello previsto dal d.m. n. 471/1999 (dove avevano rilevanze le BAT in sede progettuale) che da quello dettato dal d.lg. 152/2006 (perché l’analisi di rischio è prevista a valle della bonifica).

Infine, quanto alla verifica dei fondali dragati (tema non affrontato nella legge), l’art. 5 del decreto così dispone: «al termine delle operazioni di dragaggio, si procede all’analisi del fondale dragato da effettuarsi ai sensi dell’allegato "A" limitatamente allo strato superficiale e per i parametri che superano i valori di intervento. Nel caso i valori di concentrazione misurati nei sedimenti di detto strato superino i limiti di intervento individuati dall’ISPRA per ciascun sito di interesse nazionale, si deve attivare la procedura di bonifica». La disposizione lascia perplessi in quanto gli interventi di rimozione, di fatto, altro non sono che una bonifica realizzata attraverso l’asporto del materiale contaminato. Ci si domanda cos’altro si possa attivare che non sia già stato attivato e per quale ragione i valori limite siano quelli individuati (sito per sito?) da parte dall’ISPRA e non già quelli di legge.

[L’autore del presente articolo può essere contattato all’indirizzo federico.peres@buttiandpartners.com. Per ogni altra eventuale informazione in materia di diritto dell’ambiente e sicurezza sul lavoro, potete rivolgervi ad Andrea Martelli (andrea.martelli@buttiandpartners.com), responsabile delle relative sezioni di Filodiritto]



[1] Corte di Cassazione sez. III penale, 21.07.2006 n. 21488: «Il materiale di dragaggio dei porti marittimi non rientra nell’ipotesi di esclusione dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti dei “materiali litoidi” di cui all’art. 185 comma primo del D.Lgs. n. 152/2006». V. anche Corte di Cassazione sez. III penale, ordinanza 14.01.2005 n. 4883: «deve escludersi che i fanghi di dragaggi, nella specie contenenti mercurio, siano assimilabili agli inerti, trattandosi invece di rifiuti aventi diverse caratteristiche e diversi codici CER», nonché T.A.R. Campania, Salerno, sez. I 08.10.2004 n. 1867: «i fanghi di dragaggio (12.2 All. 1 D.M. 5.2.1998 – rifiuti non pericolosi da recuperare con le procedure semplificate) non sono equiparabili alle terre e rocce da scavo (lett. f bis art. 8 D.Lgs. n. 22/97). L’interpretazione autentica fornita dal legislatore con l.n. 443 del 21.12.2001, con la quale è stato chiarito che “le terre e rocce da scavo … non costituiscono rifiuti” non può estendersi oltre i casi da essa espressamente chiariti».

[2] Cfr. anche art. 2 comma 2 del decreto: «Sulla base dei risultati delle analisi di cui al comma 1, il decreto di autorizzazione di cui all’art. 5, comma 11-bis della legge n. 84 del 1994 determina altresì gli utilizzi dei materiali dragati ai sensi dell’art. 5, commi 11-ter e 11-quater».

[3] Ai sensi dell’art. 5 comma 11 ter per questo tipo di intervento occorre un’autorizzazione specifica del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che provvede nell’ambito del procedimento di cui al comma 11-bis, pur restando salve le eventuali competenze della regione territorialmente interessata.

[4] Il cui progetto è approvato dal Ministero delle infrastrutture, d’intesa con il Ministero dell’ ambiente e della tutela del territorio e del mare (art. 5 comma 11 quater).

[5] Questo divieto è confermato dall’art. 2 comma 2 del decreto: «E’ fatto salvo ai sensi dell’art. 5, comma 11-quater il caso in cui i materiali stessi siano sottoposti a trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti tali da raggiungere valori limite di concentrazione inferiori a quelli indicati nel predetto Allegato D, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006».

[6] Il riferimento all’art. 4 è un refuso, trattandosi dell’art. 3 secondo il quale «E’ vietata la miscelazione tra i materiali classificati come pericolosi ai sensi dell’Allegato D, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006 e quelli non pericolosi e la miscelazione tra materiali non pericolosi al solo fine di raggiungere valori di concentrazione idonei agli utilizzi previsti all’art. 5, comma 11-ter.»

[7] Anche il decreto ministeriale si occupa, all’art. 3, del deposito e chiarisce che «in funzione degli impieghi di cui all’art. 5, commi 11-ter e 11-quater, della legge n. 84 del 1994, i materiali derivanti dall’attività di dragaggio possono essere depositati all’interno di strutture adibite, realizzate ai sensi dell’art. 5, comma 11-quinquies, della medesima legge. E’ vietata la miscelazione tra i materiali classificati come pericolosi ai sensi dell’Allegato D, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006 e quelli non pericolosi e la miscelazione tra materiali non pericolosi al solo fine di raggiungere valori di concentrazione idonei agli utilizzi previsti all’art. 5, comma 11-ter».

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione[1] i sedimenti dragati sono rifiuti; il legislatore però, con le modifiche apportata dalla legge n. 264/2006 (finanziaria per il 2007) alla legge n. 84/1994 e con il d.m. 7.11.08, ha introdotto un’eccezione per i soli Siti di bonifica di Interesse Nazionale di cui all’art. 252 d.lg. n. 152/2006 (ed il cui perimetro comprenda in tutto o in parte la circoscrizione dell’Autorità portuale). Per effetto di questa nuova disciplina tali sedimenti, a determinate condizioni (prima fra tutte la non pericolosità), sono materiali che possono essere dragati e poi utilizzati (per formare terrapieni costieri o per il ripascimento degli arenili) oppure collocati in strutture di contenimento. Va precisato che la nuova direttiva in materia di rifiuti 2008/98/CE (da recepire entro il 12.12.2010) tra le esclusioni prevede proprio (fatti salvi gli obblighi risultanti da altre normative comunitarie pertinenti) «i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli, se è provato che i sedimenti non sono pericolosi» (art. 2 comma 3).

La ratio della legge e del regolamento è ravvisabile nella volontà di rendere compatibili le operazioni di dragaggio con gli interventi di bonifica; la legge prevede, infatti, che le operazioni di dragaggio possano essere svolte anche contestualmente alla predisposizione del progetto di bonifica e in modo tale da evitare che ad essa arrechi pregiudizio (art. 5 comma 11 bis l.n. 84/1994; cfr. anche l’art. 3 comma 1 del d.m. 7.11.08). Si ricorda inoltre che questa particolare disciplina avrà anche l’effetto di semplificare i dragaggi portuali e potrà così rimuovere ciò che eventualmente ostacola gli interventi di ristrutturazione e ampliamento dei porti stessi.

Venendo al procedimento, il progetto può essere presentato dall’Autorità portuale (o, laddove non istituita, dall’ente competente, art. 5 comma 11 bis l.n. 84/1994) al Ministero delle infrastrutture che dovrà approvarlo entro trenta giorni sotto il profilo tecnico-economico e lo trasmetterà poi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per l’approvazione definitiva. Il decreto di approvazione del Ministero dell’ambiente dovrà intervenire entro trenta giorni dalla suddetta trasmissione (art. 5 comma 11 bis l.n. 84/1994).

Il progetto di dragaggio dovrà contenere (art. 1 comma 3 del decreto) «i risultati della caratterizzazione delle analisi del materiale da dragare, condotta ai sensi dell’Allegato "A" del presente decreto, le tecniche idonee per la rimozione e il trasporto del materiale nonchè le modalità per l’immersione in mare, per formare terrapieni costieri o per il ripascimento degli arenili, ovvero per il conferimento presso strutture di contenimento».[2]

Restando alla destinazione dei materiali dragati, la loro immissione/refluimento in mare, così come l’utilizzo per la formazione di terreni costieri o per interventi di ripascimento, possano essere autorizzati[3] solo qualora i materiali presentino caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche, analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo e idonee con riferimento al sito di destinazione ed a patto che non esibiscano positività a test ecotossicologici (art. 5 comma 11 ter l.n. 84/1994).

Quanto invece alla loro collocazione in strutture di contenimento poste in ambito costiero (quali casse di colmata e vasche di raccolta[4]) essa è riservata ai soli materiali non pericolosi (art. 5 comma 11 quater l.n. 84/1994), vale a dire che non presentano valori superiori a quelli indicati in Allegato D, parte quarta del d.lg. n. 152/2006 (art. 2 co. 2 d.m. 7.11.08).

Ai sensi dell’art. 5 comma 11 quinquies «l’idoneità del materiale dragato ad essere gestito secondo quanto previsto ai commi 11-ter e 11-quater viene verificata mediante apposite analisi da effettuare nel sito prima del dragaggio sulla base di metodologie e criteri stabiliti con apposito decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione»; di questo si occupa infatti l’Allegato A del decreto.

Il punto 2 dell’Allegato A prevede che si proceda con la caratterizzazione «dell’intera superficie e dell’intero volume oggetto di intervento»; il punto 3 dell’Allegato A si occupa dello “Schema di campionamento” e definisce le dimensioni della maglia (50x50, 100x100, 200x200); il punto 4 della “Profondità del campionamento” e il punto 5 della “Scelta dei campioni”. Il punto 6 contiene le “Metodiche di campionamento”, il punto 7 il “Subcampionamento e preparazione dei campioni” e il punto 8 il “Trattamento e conservazione dei campioni”. Nel punto 9 sono indicati i “Criteri per la scelta dei laboratori incaricati per le analisi”.

Le “Analisi previste” sono riportate al punto 10; si tratta di analisi fisiche (tabella A1) e di analisi chimiche (tabella A2 contenente i valori di quantificazione cui riferirsi). Sempre al punto 10 troviamo la tabella A3, dove sono riportate le analisi microbiologiche da eseguire ai fini della collocazione prevista dall’art. 5 comma 11 ter (immissione/refluimento in mare e utilizzo per la formazione di terreni costieri o per interventi di ripascimento) e la tabella A4 contenente le modalità di applicazione dei saggi biologici ai sedimenti (analisi ecotossicologiche) sempre ai fini della medesima destinazione. Il punto 11 contiene le “Modalità di restituzione dei risultati”; infine il punto 12 si occupa della “Elaborazione e valutazione dei risultati”.

Ai sensi dell’art. 2 comma 3 del decreto «qualora i risultati delle analisi di cui al comma 1 individuino nei materiali dragati, anche a seguito del trattamento di cui al comma 2, livelli di contaminazione superiori ai limiti stabiliti dalla tabella 1, allegato 5, parte quarta, titolo V del decreto legislativo n. 152/2006 ma inferiori a quelli previsti dall’Allegato D, l’Autorità portuale, ovvero, laddove non costituita, l’Ente competente, può chiedere al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell’ambito del medesimo progetto di dragaggio di cui all’art. 5, comma 11-bis della legge n. 84 del 1994, anche l’autorizzazione a refluire detti materiali tal quali o a seguito di trattamenti finalizzati alla riduzione degli inquinanti in strutture di contenimento sulla base di una valutazione chimico-fisica ed ecotossicologica dell’accettabilità delle concentrazioni di inquinanti eccedenti i suddetti limiti. Il Ministero, avvalendosi del parere dell’ISPRA, deve provvedere al riguardo nell’ambito del procedimento di cui all’art. 5, comma 11-bis. La predetta autorizzazione vale anche ai sensi di quanto previsto al successivo art. 7».

Ci si domanda come verrà eseguita questa “valutazione chimico-fisica ed ecotossicologica” (di fatto, un’analisi di rischio eseguita, però, dopo la rimozione ed a seguito di trattamento) ed in particolare se si potrà fare riferimento alla tabella A4, ancorché prevista ai soli fini del riutilizzo di cui all’art. 5 comma 11 ter. Se le concentrazioni risultassero inaccettabili? Ai sensi del comma 11 sexies si applicheranno « le previsioni della vigente normativa ambientale nell’eventualità di una diversa destinazione e gestione a terra dei materiali derivanti dall’attività di dragaggio».

L’unico trattamento ammesso è quello che mira alla rimozione degli inquinanti; non sono previsti processi che abbiano come obiettivo l’immobilizzazione degli inquinanti, quali, ad esempio, il processo di solidificazione o di stabilizzazione (art. 5 comma 11 quater l.n. 84/1994)[5].

Ai sensi dell’art. 4 del decreto ministeriale è possibile la miscelazione dei materiali refluiti nelle strutture di contenimento, ancorché aventi caratteristiche diverse «ferme restando le esclusioni di cui all’art. 4, al fine di raggiungere i limiti previsti dalla normativa vigente in materia di bonifica per la specifica destinazione d’uso. La miscelazione deve essere finalizzata anche al miglioramento delle caratteristiche di stabilità dell’intero ammasso dei materiali refluiti»[6].

Con riferimento alle caratteristiche delle strutture di contenimento esse debbono «presentare un sistema di impermeabilizzazione naturale o completato artificialmente al perimetro e sul fondo, in grado di assicurare requisiti di permeabilità almeno equivalenti a: K minore o uguale 1,0 x 10-9 m/s e spessore maggiore o uguale a 1 m.» (art. 5 comma 11 quater).

E’ ammesso il deposito temporaneo dei materiali, per un tempo massimo di trenta mesi, senza limiti quantitativi, prima della loro collocazione definitiva e purchè avvenga all’interno di strutture appositamente adibite che assicurino il non trasferimento degli inquinanti agli ambienti circostanti (art. 5 comma 11 quinquies)[7].

E’ inoltre prevista una verifica dei materiali dopo la loro collocazione con possibilità di aprire un procedimento di bonifica dell’area derivante dall’attività di colmata in relazione alla destinazione d’uso «nel caso in cui al termine delle attività di refluimento, i materiali di cui sopra presentino livelli di inquinamento superiori ai valori limite di cui alla tabella 1, allegato 5, parte quarta, titolo V, del decreto legislativo n. 152 del 2006» (art. 5 comma 11 quater). Non si comprende se il riferimento sia ad un’area, come potrebbe essere il fondale al termine del refluimento (e come l’espressione “attività di refluimento” fa pensare) o se si tratti invece della struttura di contenimento, come l’espressione “attività di colmata” porterebbe a ritenere. Medesime perplessità si pongono con riferimento al decreto (art. 6) la cui rubrica è però più chiara (“bonifica delle strutture di contenimento”): «Nel caso in cui al termine dell’attività di refluimento, i materiali presentino valori di concentrazione superiori ai limiti fissati dalla vigente normativa in materia di bonifica per la specifica destinazione d’uso della struttura di contenimento, se ne attiva la procedura di bonifica. Per la verifica dei suddetti valori di concentrazione si tiene conto del contenuto dell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 5, comma 11-bis. Nel caso di permanenza in sito di concentrazioni residue degli inquinanti eccedenti i predetti valori limite, devono essere adottate misure di sicurezza che garantiscono comunque la tutela della salute e dell’ambiente. L’accettabilità delle concentrazioni residue degli inquinanti eccedenti i valori limite deve essere accertata attraverso una metodologia di analisi di rischio con procedura diretta riconosciuta a livello internazionale, che assicuri per la parte di interesse il soddisfacimento dei «Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi di rischio sanitaria ai siti contaminati» elaborati dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, dall’Istituto superiore di sanità e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. I principali criteri di riferimento per la conduzione dell’analisi di rischio sono riportati nell’Allegato "B". Per la valutazione dell’accettabilità delle concentrazioni residue degli inquinanti si tiene conto del contenuto dell’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 5, comma 11-bis».

Aspetti da chiarire sono: (1) ammissibilità di un’analisi di rischio sulle strutture di contenimento diversa da quella prevista in materia di bonifica dei siti contaminati; (2) singolarità della scelta di non procedere con l’analisi di rischio prima di rimuovere i sedimenti e si ritenga invece corretto farla dopo; (3) il percorso che porta all’analisi di rischio è del tutto nuovo: dopo che i materiali sono stati immessi nelle strutture di contenimento si valuterà se rispettano i limiti di CSC; in caso di superamento – prevede la norma – si attiverà la procedura di bonifica e se ciò nonostante dovessero permanere superamenti, si dovrà procedere con le misure di sicurezza, previa determinazione dell’accettabilità dei valori residui secondo un’analisi di rischio. Questo iter è diverso sia da quello previsto dal d.m. n. 471/1999 (dove avevano rilevanze le BAT in sede progettuale) che da quello dettato dal d.lg. 152/2006 (perché l’analisi di rischio è prevista a valle della bonifica).

Infine, quanto alla verifica dei fondali dragati (tema non affrontato nella legge), l’art. 5 del decreto così dispone: «al termine delle operazioni di dragaggio, si procede all’analisi del fondale dragato da effettuarsi ai sensi dell’allegato "A" limitatamente allo strato superficiale e per i parametri che superano i valori di intervento. Nel caso i valori di concentrazione misurati nei sedimenti di detto strato superino i limiti di intervento individuati dall’ISPRA per ciascun sito di interesse nazionale, si deve attivare la procedura di bonifica». La disposizione lascia perplessi in quanto gli interventi di rimozione, di fatto, altro non sono che una bonifica realizzata attraverso l’asporto del materiale contaminato. Ci si domanda cos’altro si possa attivare che non sia già stato attivato e per quale ragione i valori limite siano quelli individuati (sito per sito?) da parte dall’ISPRA e non già quelli di legge.

[L’autore del presente articolo può essere contattato all’indirizzo federico.peres@buttiandpartners.com. Per ogni altra eventuale informazione in materia di diritto dell’ambiente e sicurezza sul lavoro, potete rivolgervi ad Andrea Martelli (andrea.martelli@buttiandpartners.com), responsabile delle relative sezioni di Filodiritto]



[1] Corte di Cassazione sez. III penale, 21.07.2006 n. 21488: «Il materiale di dragaggio dei porti marittimi non rientra nell’ipotesi di esclusione dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti dei “materiali litoidi” di cui all’art. 185 comma primo del D.Lgs. n. 152/2006». V. anche Corte di Cassazione sez. III penale, ordinanza 14.01.2005 n. 4883: «deve escludersi che i fanghi di dragaggi, nella specie contenenti mercurio, siano assimilabili agli inerti, trattandosi invece di rifiuti aventi diverse caratteristiche e diversi codici CER», nonché T.A.R. Campania, Salerno, sez. I 08.10.2004 n. 1867: «i fanghi di dragaggio (12.2 All. 1 D.M. 5.2.1998 – rifiuti non pericolosi da recuperare con le procedure semplificate) non sono equiparabili alle terre e rocce da scavo (lett. f bis art. 8 D.Lgs. n. 22/97). L’interpretazione autentica fornita dal legislatore con l.n. 443 del 21.12.2001, con la quale è stato chiarito che “le terre e rocce da scavo … non costituiscono rifiuti” non può estendersi oltre i casi da essa espressamente chiariti».

[2] Cfr. anche art. 2 comma 2 del decreto: «Sulla base dei risultati delle analisi di cui al comma 1, il decreto di autorizzazione di cui all’art. 5, comma 11-bis della legge n. 84 del 1994 determina altresì gli utilizzi dei materiali dragati ai sensi dell’art. 5, commi 11-ter e 11-quater».

[3] Ai sensi dell’art. 5 comma 11 ter per questo tipo di intervento occorre un’autorizzazione specifica del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che provvede nell’ambito del procedimento di cui al comma 11-bis, pur restando salve le eventuali competenze della regione territorialmente interessata.

[4] Il cui progetto è approvato dal Ministero delle infrastrutture, d’intesa con il Ministero dell’ ambiente e della tutela del territorio e del mare (art. 5 comma 11 quater).

[5] Questo divieto è confermato dall’art. 2 comma 2 del decreto: «E’ fatto salvo ai sensi dell’art. 5, comma 11-quater il caso in cui i materiali stessi siano sottoposti a trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti tali da raggiungere valori limite di concentrazione inferiori a quelli indicati nel predetto Allegato D, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006».

[6] Il riferimento all’art. 4 è un refuso, trattandosi dell’art. 3 secondo il quale «E’ vietata la miscelazione tra i materiali classificati come pericolosi ai sensi dell’Allegato D, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006 e quelli non pericolosi e la miscelazione tra materiali non pericolosi al solo fine di raggiungere valori di concentrazione idonei agli utilizzi previsti all’art. 5, comma 11-ter.»

[7] Anche il decreto ministeriale si occupa, all’art. 3, del deposito e chiarisce che «in funzione degli impieghi di cui all’art. 5, commi 11-ter e 11-quater, della legge n. 84 del 1994, i materiali derivanti dall’attività di dragaggio possono essere depositati all’interno di strutture adibite, realizzate ai sensi dell’art. 5, comma 11-quinquies, della medesima legge. E’ vietata la miscelazione tra i materiali classificati come pericolosi ai sensi dell’Allegato D, parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006 e quelli non pericolosi e la miscelazione tra materiali non pericolosi al solo fine di raggiungere valori di concentrazione idonei agli utilizzi previsti all’art. 5, comma 11-ter».