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Il rispetto del principio di equilibrio di genere nelle società a controllo pubblico

Il rispetto del principio di equilibrio di genere nelle società a controllo pubblico
Il rispetto del principio di equilibrio di genere nelle società a controllo pubblico

Indice:

1. Inquadramento normativo

2. L’applicabilità della disciplina quando il controllo è esercitato da più pubbliche amministrazioni e nelle società miste

3. Le criticità e la soluzione della normativa

 

1. Inquadramento normativo

Il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (decreto legislativo 175/2016, art. 11) prevede che:

  • nella scelta degli amministratori delle società a controllo pubblico le amministrazioni assicurano il rispetto del principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d'anno;
  • qualora la società abbia un organo amministrativo collegiale, lo statuto prevede che la scelta degli amministratori da eleggere sia effettuata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 12 luglio 2011, n. 120

In particolare, la legge 120/2011, nel recare modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, all’articolo 1 (equilibrio tra i generi negli organi delle società quotate) stabilisce che, qualora il consiglio di gestione sia costituito da un numero di componenti non inferiore a tre, lo statuto prevede che “il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi. Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi” (art. 147-ter, commi 1-bis e 1-ter).

La predetta legge 120/2011 - oltre a prevedere che le disposizioni della medesima si applicano “a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore” della legge, riserva “al genere meno rappresentato, per il primo mandato in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti” (art. 2) – all’articolo 3 ha esteso l’applicazione delle disposizioni previste anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 2359, commi primo e secondo codice civile, e non quotate in mercati regolamentati, demandando ad un successivo regolamento, da adottarsi entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge, termini e modalità di attuazione della stessa.

Il primo comma dell’articolo 2359 codice civile stabilisce che “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”. Il secondo comma dell’articolo estende la nozione di controllo di cui ai n. 1) e 2) a quello esercitato in via indiretta, cioè computando i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta.

Il 12 febbraio 2013, con decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251 è entrato in vigore il Regolamento concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione e controllo nelle società costituite in Italia, controllate “ai sensi dell’articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile” dalle pubbliche amministrazioni indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad esclusione delle società con azioni quotate. Il predetto regolamento stabilisce che:

  • le società a gestione pubblica prevedono nei propri statuti che la nomina degli organi di amministrazione e di controllo, ove a composizione collegiale, sia effettuata secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo;
  • ove sia previsto per la nomina degli organi sociali il meccanismo del voto di lista, gli statuti disciplinano la formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalità di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge. Gli stessi statuti non possono prevedere il rispetto del criterio di riparto tra generi per le liste che presentino un numero di candidati inferiore a tre;
  • se dall'applicazione di dette modalità non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al genere meno rappresentato, tale numero è arrotondato per eccesso all'unità superiore;
  • le predette società prevedono modalità di sostituzione dei componenti dell'organo di amministrazione venuti a cessare in corso di mandato, in modo da garantire il rispetto della quota come sopra indicato;
  • la quota si applica anche ai sindaci supplenti, nel senso che se nel corso del mandato vengono a mancare uno o più sindaci effettivi, subentrano i sindaci supplenti nell'ordine atto a garantire il rispetto della stessa quota;
  • le società assicurano il rispetto della composizione degli organi sociali, anche in caso di sostituzione, per tre mandati consecutivi a partire dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente regolamento;
  • solo per il primo mandato la quota riservata al genere meno rappresentato è pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell'organo.
  • le società a controllo pubblico sono tenute a comunicare al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione in caso di modificazione della composizione in corso di mandato ed è fatto obbligo all'organo di amministrazione e all'organo di controllo delle medesime società di comunicare (al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità) la mancanza di equilibrio tra i generi, anche quando questa si verifichi in corso di mandato. Tale segnalazione può essere altresì fatta pervenire da chiunque vi abbia interesse;

nei casi in cui il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità accertino il mancato rispetto della quota, viene diffidata la società a ripristinare l'equilibrio tra i generi entro sessanta giorni e, in caso di inottemperanza alla diffida, viene fissato un nuovo termine di sessanta giorni ad adempiere, con l'avvertimento che, decorso inutilmente detto termine, i componenti dell'organo sociale interessato decadono e si provvede alla ricostituzione dell'organo nei modi e nei termini previsti dalla legge e dallo statuto.

2. L’applicabilità della disciplina quando il controllo è esercitato da più pubbliche amministrazioni e nelle società miste

Dal tenore dell’articolo 3 della legge 12 luglio 2011, n. 120 e dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica. 30 novembre 2012, n. 251, non appariva chiaro se in tale disciplina normativa rientrassero anche le società a capitale pubblico o misto in cui il controllo ai sensi dell’articolo 2359 codice civile non è esercitato da una singola pubblica amministrazione. Conseguentemente, sull’interpretazione della citata normativa, il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha richiesto un parere al Consiglio di stato, che si è espresso nell’Adunanza della I Sezione il 16 aprile 2014 ed ha affermato l’irrilevanza della circostanza che il controllo pubblico operi singolarmente o in modo congiunto.

 Tale esegesi appare possibile perché consentita dal testo della norma richiamata: difatti, nel rinviare all’art. 2359 c.c. per definire la nozione di controllo, l’articolo 3 della legge n. 120/2011 postula che al concetto di società si sostituisca quello di pubblica amministrazione. Il Consiglio di stato ha spiegato in proposito che, sul piano letterale non ci sono ostacoli a intendere il riferimento alle «pubbliche amministrazioni» (“… alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati”) come comprensivo di tutti i soggetti pubblici titolari del capitale sociale. Pertanto, anche quando a detenere il controllo non è un ente pubblico da solo, ma una pluralità di enti pubblici complessivamente considerati, il controllo è nelle mani di «pubbliche amministrazioni».

Tuttavia, la nozione pubblicistica di controllo congiunto va calata all’interno della fattispecie civilistica di controllo societario, affinché possa dirsi integrato il controllo sulla società da parte di una pluralità di soggetti pubblici. Più precisamente, il controllo societario ex art. 2359 può ritenersi

unitariamente realizzato da più amministrazioni pubbliche quando:

1. gli organi decisionali della società controllata sono composti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni;

2. le pubbliche amministrazioni congiuntamente – grazie ad accordi tra loro o a comportamenti paralleli – dispongono della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto), ovvero di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto), oppure esercitano congiuntamente sulla società un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con esse;

3. la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni controllanti.

Non è invece sufficiente a integrare il controllo congiunto la circostanza della mera titolarità pubblica della maggioranza di capitale (si pensi all’ipotesi in cui le pubbliche amministrazioni, pur avendo la maggioranza del capitale, agiscano separatamente).

Nel caso di controllo congiunto, pertanto, alla società controllata, a prescindere dal fatto che sia partecipata o meno da privati, si applicano l’articolo 3 della legge 12 luglio 2011, n. 120 e l’articolo 1 del D.P.R. 30 novembre 2012, n. 251.

3. Le criticità e la soluzione della normativa

Lo strumento della riserva di quote ha tuttavia suscitato, soprattutto in fase di prima applicazione, alcune perplessità in merito a possibili effetti distorsivi che potrebbero determinarsi sia nel rapporto tra il sistema delle quote e il principio meritocratico sia nel rapporto tra il sistema delle quote e la libertà di iniziativa economica.

Come evidenziato da Confindustria in relazione al primo aspetto (nella “Risposta alla Consultazione della Commissione europea sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione dell’Unione”, 28 maggio 2012) le “prescrizioni vincolanti possono, di fatto, alterare l’ordine dei parametri da valutare in sede di nomina degli amministratori, anteponendo l’obiettivo dell’equilibrio tra i generi a quello della competenza e meritevolezza dei consiglieri. Questo effetto finirebbe per ostacolare una selezione davvero qualificata” e si tradurrebbe inevitabilmente in un danno sia alla gestione aziendale che alla stessa esigenza di favorire la partecipazione femminile ai processi decisionali. Una soluzione a questa criticità potrebbe comunque essere trovata nell’ampiezza del bacino di utenza cui attingere per rispettare l’obbligo normativo, così da riuscire a selezionare donne professionalmente capaci in base a una logica meritocratica.

Con riferimento, invece, al rapporto tra l’obbligo di rispettare le quote di genere e la libertà di iniziativa economica, risulta evidente che il sistema di quote rischia di forzare, alterandolo, il rapporto fiduciario che sussiste tra organo assembleare e consiglio di amministrazione, introducendo nel meccanismo di selezione il rispetto di un particolare interesse – la parità di genere – a quello della corretta conduzione dell’impresa.

Alla luce di tali criticità, evidentemente presenti anche al legislatore, la legge n. 120/2011 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 251/2012 hanno adottato una prospettiva temporanea all’obbligo imposto, che limita il criterio del riparto di quote a tre mandati consecutivi, a decorrere dal primo rinnovo successivo a un anno dall’entrata in vigore del regolamento. Questa modalità avrebbe quindi la funzione di stimolare un percorso di inclusione delle donne all’interno degli organi di vertice della società, con la conseguenza che, una volta che si è incrementata la partecipazione femminile con il rispetto delle quote legali, le società dovrebbero poi proseguire autonomamente lungo questa linea di tendenza, senza ulteriori obblighi imposti dall’esterno.

La normativa sulle quote di genere, pertanto, piuttosto che imporre in modo permanente un equilibrio fra i due sessi, costituisce una modalità per assicurare l’avvio di un necessario cambiamento che, se lasciato alle prassi e alla totale libertà dei soggetti, rischierebbe di realizzarsi in tempi assai lunghi e, francamente, inaccettabili.