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I rimedi impugnatori avverso il rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova alla luce della Sentenza n. 33216/2016 “Rigacci”

I rimedi impugnatori avverso il rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova alla luce della Sentenza n. 33216/2016 “Rigacci”
I rimedi impugnatori avverso il rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova alla luce della Sentenza n. 33216/2016 “Rigacci”

Indice

1. Le caratteristiche generali della sospensione del processo con messa alla prova, origini, disciplina, termini di proposizione

2. Il contrasto giurisprudenziale della Corte di Cassazione sull’impugnabilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova

3. L’intervento delle Sezioni Unite “Sentenza Rigacci”

 

Abstract

L’istituto deflattivo del dibattimento della sospensione del processo con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato.

La singolare funzione dell’istituto è rappresentata non soltanto dalla riduzione del carico processuale conseguente alla rapida ed anticipata definizione del procedimento, ma altresì e primariamente, dalla riduzione del carico “penitenziario”.

Ed invero, proprio questo ultimo elemento ha indotto il legislatore nazionale ad estendere in via generale un istituto pensato ed applicato nei confronti dell’imputato minorenne, ribaltando i tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio che hanno visto come elemento propulsivo originariamente una sentenza della Corte CEDU, (Sentenza Torreggiani 8 gennaio 2013) con la quale si dava atto della drammatica condizione di sovraffollamento delle carceri italiane, e a livello nazionale, il supremo consesso a Sezioni Unite (Cass. Sezioni Unite 31 marzo 2016, n. 36272, Rigacci) ha mostrato piena consapevolezza dell’importanza e delle potenzialità di tale istituto, evidenziando come la natura intrinseca di quest’ultimo sia rappresentata da una nuova idea di anticipata rieducazione che introduca un sistema di aiuto sociale incentrato sul massimo potenziamento delle politiche sociali rieducative e, solo come extrema ratio, considerare il diritto penale come longa manus di quest’ultime.

La questione qui proposta ha l’obiettivo di chiarire la problematica attinente ai rimedi impugnatori nel caso in cui l’organo giudicante non accolga l’istanza di messa alla prova tenendo conto dei principi sanciti dal supremo consesso a Sezioni Unite nella sentenza Rigacci.

 

1. Le caratteristiche generali della sospensione del processo con messa alla prova, origini, disciplina, termini di proposizione

La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato, introdotta con legge 67/2014 ed entrata in vigore il 17/05/2014, rappresenta un’alternativa alla definizione del processo, mediante la quale è possibile ottenere una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, ove a seguito del periodo di prova al quale l’indagato o l’imputato è sottoposto dal Giudice, abbia esito positivo.

La disciplina dell’istituto è contenuta nel codice penale agli articoli da 168 bis c.p. a 168 quater c.p., parallelamente nel codice di procedura penale è contenuta nel nuovo titolo V bis introdotto dalla L 67/2014 e rubricato “Sospensione del procedimento con messa alla prova” agli articoli da 464 bis c.p.p. a 464 novies c.p.p. nonché all’articolo 657 bis c.p.p. che disciplina il computo della pena da eseguire ove avvenga la revoca o l’esito negativo della messa alla prova.

Motivi di completezza obbligano di dare atto che l’articolo 3 comma 1 lett. i bis del D.P.R. 313/2002 ( T.U. In materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti) prevede l’iscrizione dell’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova nel casellario giudiziale.

Nel regolare l’istituto, il legislatore ha avuto cura di precisare le fasi e i termini di proposizione della domanda all’organo Giudicante, che può essere proposta rispettivamente nella fase delle indagini preliminari (articolo 464 ter c.p.p.) o nell’udienza preliminare fino a che non siano state formulate le conclusione ai sensi degli articoli 421 e 422 c.p.p. e nel giudizio direttissimo o nell’ipotesi di citazione diretta a giudizio, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (464 bis comma 2 c.p.p.) che, nell’ipotesi di precedente rigetto, costituisce altresì il termine ultimo entro cui l’imputato può rinnovare la richiesta (articolo464 ter co 4 c.p.p.)

Come già evidenziato infra, l’istituto della messa alla prova trova la propria origine nel processo minorile, ove, in assenza di limiti temporali, la sospensione del procedimento con messa alla prova può intervenire sia nell’udienza preliminare, sia, anche nell’ipotesi di precedente rigetto, sino alla fine dell’istruttoria consentendo all’organo giudicante di formulare in maniera precisa e puntuale l’eventuale giudizio di responsabilità dell’imputato.

Orbene, l’assenza di barriere temporali tipiche del giudizio minorile non sono state riproposte nel giudizio ordinario il quale è stato caratterizzato da un preminente bisogno di accelerare i tempi del processo e alleggerire il carico delle pendenze giudiziarie, determinando il legislatore a fissare nella fase predibattimentale del rito ordinario, il momento ultimo in cui proporre la richiesta di sospensione con messa alla prova, presumibilmente nella errata convinzione che l’indicazione di tale termine massimo fosse sufficiente a garantire una rapida conclusione del giudizio.

Orbene, l’articolo 464 quater co 7 c.p.p., dispone che contro l’ordinanza del giudice che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il pubblico ministero, tuttavia, tale articolo nulla dice in merito alla possibilità per le parti di impugnare autonomamente l’ordinanza.

Nulla quaestio in merito al ricorso immediato avverso l’ordinanza di accoglimento dell’istanza dell’imputato, “giacchè in tal caso alle parti non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta” (ex multis, Sez. 5, n. 25566 del 3/6/2015, Marcozzi, Rv. 264061).

2. Il contrasto giurisprudenziale della Corte di Cassazione sull’impugnabilità dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova

La questione che ha rappresentato il dibattito risolto dalla Corte di Cassazione a Sezione Unite attiene alla differente ipotesi in cui la decisione sia di rigetto, contrapponendosi nella giurisprudenza di legittimità due orientamenti, uno favorevole, l’altro contrario alla autonoma impugnabilità dell’ordinanza.

Gli orientamenti favorevoli che ammettono la possibilità di ricorrere autonomamente avverso l’ordinanza con la quale il giudice del dibattimento rigetta l’istanza dell’imputato si fondano principalmente sulla considerazione che l’art 464 quater co. 7c.p.p., “...nell’introdurre una deroga al principio generale dell’impugnabilità delle ordinanze dibattimentali solo unitamente alle sentenze, ai sensi dell’art 586c.p.p. ...”( Cass. Sez III 24 ottobre 2015 26 giugno 2015 n 27071) non distingue tra ordinanze di rigetto e di accoglimento dell’istanza di sospensione.   ( in tal senso anche Cass.36687/2015, 41762/2015, 4586/2016)

Si deve inoltre considerare che, seguendo tale orientamento favorevole al ricorso immediato per cassazione avverso il provvedimento di rigetto, questo non sospenderebbe il procedimento, come previsto dall’art 464 quater co.7 c.p.p., e quindi sarebbe impensabile il sopraggiungere dell’annullamento dell’ordinanza di rigetto in una fase processuale avanzata  definita con sentenza di primo grado o plausibilmente irrevocabile.

Dall’altro lato, l’orientamento contrario alla possibilità che l’imputato possa autonomamente ricorrere in Cassazione avverso l’ordinanza di rigetto, muove dalla puntuale lettura dell’articolo 586 c.p.p. e dunque, dalla previsione dell’impugnabilità delle ordinanze emesse nel corso del giudizio, soltanto con l’impugnazione della sentenza. (ex multis Cass. Sez. V 25566/2015)

Il Supremo Consesso ha in maniera efficace e puntuale precisato in motivazione che la disposizione dell’articolo 464 quater co.7 c.p.p.   ha ad oggetto esclusivamente il provvedimento con il quale, in accoglimento dell’istanza dell’imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova.

 

3. L’intervento delle Sezioni Unite “Sentenza Rigacci”

L’esigenza di risolvere il nodo problematico dei due contrastanti orientamenti della Corte di Cassazione emerge con maggiore vitalità se si osserva l’ordinanza di rimessione del giudice ordinario nel caso “Rigacci”, in cui, pur essendo stata celebrata l’udienza preliminare, l’istanza di sospensione da parte dell’imputato era stata presentata nella fase antecedente l’apertura del dibattimento a seguito della riqualificazione del fatto da parte del P.M. Dall’articolo 73 d.p.r. 309/1990 non rientrante nei limiti edittali fissati dall’art 168 bis c.p., in quella dell’articolo 73 co 5 di tale d.p.r. e dunque idonea ad essere sospesa con messa alla prova.

A rigore, l’istanza sarebbe stata inammissibile perché, essendo prevista l’udienza preliminare  non sono stati rispettati i termini di proposizione contemplati dall’art 464 ter c.p.p., tuttavia, tale profilo di tempestività è stato risolto positivamente nell’ordinanza di rimessione in cui è stato evidenziato che “ ...nella fattispecie si sarebbe riprodotta, prima dell’apertura del dibattimento, una situazione del tutto identica a quella che sarebbe derivata dall’emissione di una citazione diretta a giudizio, rito oggi fisiologicamente applicabile, in ragione della pena edittale, al reato di cui all’articolo 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990...” e ancora  “...la situazione venutasi a verificare sarebbe omologabile a quella prevista dall’articolo 550, comma 1, cod. prc. pen., per cui è parso conforme alla ratio della norma dare prevalenza al rilievo che per quel tipo di reato lo sbarramento processuale avrebbe dovuto coincidere con l’apertura del dibattimento, a prescindere dal fatto che in base all’originaria qualificazione fosse necessaria l’udienza preliminare, in concreto celebrata...”

Tale opzione seguita dal giudice remittente potrebbe sulla carta allargare le maglie di accesso al beneficio della messa alla prova, esulando dall’applicazione soltanto l’eventuale riqualificazione intervenuta all’esito del giudizio.

A dirimere il contrasto interpretativo tra i due orientamenti contrastanti della Corte di Cassazione sulla norma in esame, sono intervenute le Sezioni Unite che hanno evidenziato “...l’oggettiva ambiguità nei contenuti della disposizione in esame...” e quindi l’importanza di una pronta rilettura chiarificatoria idonea a garantire la massima accessibilità all’istituto della messa alla prova.

In tale contesto dunque,  le Sezioni Unite hanno stabilito che l’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione e contestuale messa alla prova non è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado ai sensi dell’art 586 c.p.p. in quanto l’art 464 quater co. 7 c.p.p. si riferisce unicamente al provvedimento di accoglimento della richiesta dell’imputato (cfr. Cass., Sez. Un., 33216/2016,”Rigacci”).

Scegliendo tale orientamento il Supremo Consesso, da un lato, ha garantito la più ampia  tutela possibile all’imputato, in quanto esso può presentare la domanda già dalla fase delle indagini preliminari, avendo comunque garantita una piena rivalutazione sia da parte del giudice al quale si reitera l’istanza,sia da quello dell’impugnazione in appello, dall’altro, viene determinato un unico rimedio avverso le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento.