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Corte Costituzionale: notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno

Presidente Francesco Amirante

Redattore Luigi Mazzella

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 166 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Trieste nel procedimento penale a carico di S.S., con ordinanza del 21 maggio 2008, iscritta al n. 365 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 marzo 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 maggio 2008, il Tribunale di Trieste ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 166 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno vengano effettuate all’amministratore nominato;

che, riferisce il rimettente, nel procedimento penale a carico di S.S. per il reato di cui all’art. 424 cod. pen., dalla certificazione del casellario giudiziale era risultato che, in data 9 febbraio 2006, il Giudice tutelare di Trieste aveva dichiarato aperta l’amministrazione di sostegno a carico dell’imputato;

che il decreto di citazione era stato notificato nel domicilio eletto, a mani del difensore dell’imputato, che tuttavia aveva lamentato la mancata previsione, nell’art. 166 cod. proc. pen., che le notifiche vengano effettuate all’amministratore di sostegno, così come avviene per l’interdetto o per l’inabilitato, ove è statuita la notifica al tutore o al curatore;

che, secondo il rimettente, la disciplina che regola l’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6, non sarebbe qualitativamente diversa dagli strumenti già approntati dal codice civile in materia di sostegno a soggetti deboli, quali l’interdizione e l’inabilitazione, dato che la differenza tra gli istituti non si baserebbe sulla gravità dell’infermità del soggetto assistito;

che, di conseguenza, la limitazione operata dall’art. 166 cod. proc. pen. ai soli casi di interdizione ed inabilitazione, con riferimento alla assistenza del soggetto debole nella fase della notificazione e, quindi, della conoscenza di atti giudiziari, non sarebbe rispettosa del principio consacrato nell’art. 3 della Costituzione;

che, invero, tra l’amministrazione di sostegno e gli istituti della tutela e della curatela non esisterebbe una differenza qualitativa o quantitativa tale da giustificare un diverso trattamento dell’assistito nel compimento di attività, nel caso in specie, fondamentali come la ricezione di atti giudiziari;

che la norma censurata si porrebbe anche in contrasto con l’art 111, primo e terzo comma, Cost., con specifico riferimento alla disciplina del giusto processo regolato dalla legge, in quanto violerebbe il diritto all’informazione relativo alla natura ed ai motivi dell’accusa elevata a carico di un soggetto ritenuto giudizialmente non in grado di provvedere ai propri interessi;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per insufficiente descrizione della fattispecie o, comunque, infondata nel merito;

che, riferisce il Presidente del Consiglio, questa Corte, nella sentenza n. 440 del 2005, ha chiarito i peculiari presupposti dell’amministrazione di sostegno, giustificandone la ragion d’essere nella necessità di affidare al giudice, caso per caso, la valutazione della tutela più adeguata da accordare al soggetto bisognoso di assistenza, in modo proporzionato al suo grado di inabilità, e allo scopo di limitarne il meno possibile la sua capacità giuridica;

che, sottolinea il Presidente del Consiglio, resta sempre fermo il potere del giudice penale che abbia dei dubbi sull’effettiva conoscenza dell’atto di disporre gli accertamenti previsti dagli artt. 70 e 71 cod. proc. pen.; il che escluderebbe anche la violazione dell’art. 111 Cost.;

che, con memoria depositata successivamente, lo stesso Presidente del Consiglio illustrava ulteriormente le proprie conclusioni.

Considerato che il Tribunale di Trieste dubita, con riferimento agli artt. 3 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 166 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno siano effettuate all’amministratore nominato, contrariamente a quanto sarebbe disposto per il tutore dell’interdetto e per il curatore dell’inabilitato;

che, se è vero che l’art. 166 cod. proc. pen. dispone, per l’imputato interdetto, la notificazione degli atti processuali anche al tutore dello stesso, esso però, non prende affatto in considerazione l’ipotesi dell’inabilitazione, prevedendo unicamente che, nel caso in cui il processo sia sospeso dal giudice perché lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento ai sensi dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., le notificazioni debbano essere effettuate anche al curatore nominato sulla base del predetto articolo;

che tale notificazione integrativa, trascurata dal rimettente, è riferibile tanto agli imputati inabilitati, quanto a quelli sottoposti ad amministrazione di sostegno, purché il loro stato mentale sia tale da comprometterne effettivamente la loro piena e consapevole partecipazione al processo;

che, pertanto, il rimettente fonda la sollevata questione di costituzionalità su una lettura errata della norma censurata e dello stesso tertium comparationis;

che la questione, dunque, per l’evidente erroneità del presupposto interpretativo, è manifestamente infondata (in tal senso, ordinanze n. 114 del 2007, n. 130 del 2006 e n. 100 del 2003).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi la Corte Costituzionale

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 166 cod. proc. pen., sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2009.

Presidente Francesco Amirante

Redattore Luigi Mazzella

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 166 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Trieste nel procedimento penale a carico di S.S., con ordinanza del 21 maggio 2008, iscritta al n. 365 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 marzo 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 maggio 2008, il Tribunale di Trieste ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 166 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno vengano effettuate all’amministratore nominato;

che, riferisce il rimettente, nel procedimento penale a carico di S.S. per il reato di cui all’art. 424 cod. pen., dalla certificazione del casellario giudiziale era risultato che, in data 9 febbraio 2006, il Giudice tutelare di Trieste aveva dichiarato aperta l’amministrazione di sostegno a carico dell’imputato;

che il decreto di citazione era stato notificato nel domicilio eletto, a mani del difensore dell’imputato, che tuttavia aveva lamentato la mancata previsione, nell’art. 166 cod. proc. pen., che le notifiche vengano effettuate all’amministratore di sostegno, così come avviene per l’interdetto o per l’inabilitato, ove è statuita la notifica al tutore o al curatore;

che, secondo il rimettente, la disciplina che regola l’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6, non sarebbe qualitativamente diversa dagli strumenti già approntati dal codice civile in materia di sostegno a soggetti deboli, quali l’interdizione e l’inabilitazione, dato che la differenza tra gli istituti non si baserebbe sulla gravità dell’infermità del soggetto assistito;

che, di conseguenza, la limitazione operata dall’art. 166 cod. proc. pen. ai soli casi di interdizione ed inabilitazione, con riferimento alla assistenza del soggetto debole nella fase della notificazione e, quindi, della conoscenza di atti giudiziari, non sarebbe rispettosa del principio consacrato nell’art. 3 della Costituzione;

che, invero, tra l’amministrazione di sostegno e gli istituti della tutela e della curatela non esisterebbe una differenza qualitativa o quantitativa tale da giustificare un diverso trattamento dell’assistito nel compimento di attività, nel caso in specie, fondamentali come la ricezione di atti giudiziari;

che la norma censurata si porrebbe anche in contrasto con l’art 111, primo e terzo comma, Cost., con specifico riferimento alla disciplina del giusto processo regolato dalla legge, in quanto violerebbe il diritto all’informazione relativo alla natura ed ai motivi dell’accusa elevata a carico di un soggetto ritenuto giudizialmente non in grado di provvedere ai propri interessi;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per insufficiente descrizione della fattispecie o, comunque, infondata nel merito;

che, riferisce il Presidente del Consiglio, questa Corte, nella sentenza n. 440 del 2005, ha chiarito i peculiari presupposti dell’amministrazione di sostegno, giustificandone la ragion d’essere nella necessità di affidare al giudice, caso per caso, la valutazione della tutela più adeguata da accordare al soggetto bisognoso di assistenza, in modo proporzionato al suo grado di inabilità, e allo scopo di limitarne il meno possibile la sua capacità giuridica;

che, sottolinea il Presidente del Consiglio, resta sempre fermo il potere del giudice penale che abbia dei dubbi sull’effettiva conoscenza dell’atto di disporre gli accertamenti previsti dagli artt. 70 e 71 cod. proc. pen.; il che escluderebbe anche la violazione dell’art. 111 Cost.;

che, con memoria depositata successivamente, lo stesso Presidente del Consiglio illustrava ulteriormente le proprie conclusioni.

Considerato che il Tribunale di Trieste dubita, con riferimento agli artt. 3 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 166 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che le notifiche ai soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno siano effettuate all’amministratore nominato, contrariamente a quanto sarebbe disposto per il tutore dell’interdetto e per il curatore dell’inabilitato;

che, se è vero che l’art. 166 cod. proc. pen. dispone, per l’imputato interdetto, la notificazione degli atti processuali anche al tutore dello stesso, esso però, non prende affatto in considerazione l’ipotesi dell’inabilitazione, prevedendo unicamente che, nel caso in cui il processo sia sospeso dal giudice perché lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento ai sensi dell’art. 71, comma 1, cod. proc. pen., le notificazioni debbano essere effettuate anche al curatore nominato sulla base del predetto articolo;

che tale notificazione integrativa, trascurata dal rimettente, è riferibile tanto agli imputati inabilitati, quanto a quelli sottoposti ad amministrazione di sostegno, purché il loro stato mentale sia tale da comprometterne effettivamente la loro piena e consapevole partecipazione al processo;

che, pertanto, il rimettente fonda la sollevata questione di costituzionalità su una lettura errata della norma censurata e dello stesso tertium comparationis;

che la questione, dunque, per l’evidente erroneità del presupposto interpretativo, è manifestamente infondata (in tal senso, ordinanze n. 114 del 2007, n. 130 del 2006 e n. 100 del 2003).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi la Corte Costituzionale

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 166 cod. proc. pen., sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2009.