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Il ricorso alla Consulenza tecnica nel procedimento di mediazione in materia di energia e gas

Il ricorso alla Consulenza tecnica nel procedimento di mediazione in materia di energia e gas
Il ricorso alla Consulenza tecnica nel procedimento di mediazione in materia di energia e gas

La consulenza tecnica di ufficio (C.T.U.) è uno strumento di indagine che si utilizza in ambito giudiziario e consiste in una valutazione specifica che viene richiesta dal Giudice ed affidata ad un esperto, competente nella materia oggetto dell’indagine, in modo tale che effettui una analisi approfondita e fornisca una valutazione tecnica dei fatti in causa, trasferendo al Giudice tutte le informazioni utili alla sua decisione.

Il C.T.U., dunque, viene in gioco quando il sistema “giudiziario” non può fare a meno di conoscere la sussistenza o meno di determinati fatti, per raggiungere le finalità di giustizia che gli sono proprie

Dalle lettura delle norme che designano lo status del consulente tecnico, ed in particolare dagli articoli 61, 62, 191 codice procedura civile, si desume che il consulente tecnico è quel soggetto, fornito di specifiche conoscenze tecniche, scientifiche o umanistiche in campi del sapere umano diversi da quello giuridico, che, in virtù di tale preparazione specifica, viene chiamato ad integrare le conoscenze del giudice allorché per la risoluzione della causa siano necessarie cognizioni in specifiche materie che trascendono quelle dell’uomo medio e che il giudice stesso non conosce né è tenuto a conoscere.

Il consulente tecnico è inquadrato, quindi, tra gli ausiliari del giudice poiché si tratta di un soggetto esterno all’organizzazione giudiziaria, che presta la sua opera in via del tutto occasionale ed in base ad un incarico specifico affidatogli dal giudice.

La funzione del consulente tecnico è dunque quella di integrare le conoscenze del giudice in materie nelle quali la conoscenza giudiziale sia lacunosa e carente in ragione della loro natura specialistica.

Tale integrazione è giustificata, per un verso, dalla necessità del processo stesso di consentire l’ingresso al suo interno della miglior scienza ed esperienza disponibile in quel momento storico, al fine di fornire la soluzione più certa e scientificamente adeguata al problema posto in causa; per altro verso, dalla necessità che quella soluzione venga fornita nel minor tempo possibile e dunque con l’utilizzo diretto di chi di quella conoscenza ha disponibilità immediata.

La sede eminente in cui la C.T.U. viene utilizzata è quella della decisione della causa, con il riflesso della sua motivazione in sentenza.

Sebbene sia pacifico che il giudice, peritus peritorum, è libero nella valutazione e nell’apprezzamento dei risultati raggiunti dal consulente, in giurisprudenza comunemente si riconosce che, quando si conforma ai risultati della consulenza, il giudice non è tenuto a motivare in modo analitico il percorso logico seguito nel merito delle questioni trattate in C.T.U., ma è sufficiente che motivi le ragioni per cui la ritiene attendibile [Cass., n. 3191 del 2006; Cass., n. 10668 del 2005; Cass., n. 4140 del 2003; Cass., n. 2486 del 2001].

Invece, quando intende discostarsi dai risultati della CTU, il giudice è tenuto a motivare adeguatamente e specificamente le sue valutazioni, essendo insufficiente il richiamo generico di principi tecnici dei quali non sia indicata la fonte e non verificabili nella loro congruità ed esattezza [Cass., n. 14849 del 2004; Cass., n. 13863 del 1999; Cass., n. 3551 del 1998; Cass., n. 10816 del 2003].

Ciò posto in linea di principio, va chiarito che se la sede naturale di ricorso alla C.T.U. sia il processo, con l’entrata in vigore del Decreto legislativo, 04/03/2010 n. 28 [Pubblicato in G.U. 05/03/2010, così come aggiornato, da ultimo, con le modifiche apportate dal D.L. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, nella L. 21 giugno 2017, n. 96 e dal D. Lgs. 6 agosto 2015, n. 130], recante “Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” e, pertanto, con l’ingresso nell’ordinamento giuridico dei meccanismi di Alternative Dispute Resolution [1], ha assunto rilievo la valenza giuridica della figura del perito all’interno di tali procedure, ove le parti si avvalgano dell’ausilio di un consulente tecnico per la ricerca della soluzione bonaria e condivisa della controversia.

In particolare, un aspetto rilevante del rapporto tra procedimento di mediazione e procedimento giudiziale, e del rischio di trasformare il mediatore in un ausiliario del giudice, è quello che riguarda la consulenza tecnica in mediazione.

Si tratta di una questione che è stata affrontata e risolta in maniera diversa e decisamente non omogenea dagli operatori del diritto.

A ciò deve aggiungersi la diversa valutazione effettuata dai vari Tribunali su come considerare e quale valore dare alla consulenza esperita in mediazione.

L’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 28/2010 prevede al primo comma che “l'organismo di conciliazione nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, può nominare uno o più mediatori ausiliari” e, nel quarto comma, specifica che “il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali”.

Sussiste, quindi, la possibilità che si aggiunga al tavolo di mediazione la figura del consulente tecnico, anch’egli terzo ed imparziale come il Mediatore, che assume un ruolo peculiare prestando la propria opera nel fornire risposta ai quesiti tecnici a lui posti.

Orientamento ormai consolidato in giurisprudenza riconosce che “va affermata la ammissibilità e l’utilizzabilità della relazione dell’esperto esterno nominato durante la procedura di mediazione nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione. I risultati della relazione sono liberamente e validamente contestabili dalle parti in ogni contesto (mediazione e processo) e – il nostro ordinamento conoscendo ed autorizzando le prove atipiche, purché siano rispettati alcuni fondamentali principi dell'ordinamento stesso (e fra questi principalmente quello del contraddittorio) - il giudice potrà utilizzare tale relazione secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti” [In tal senso cfr. Trib. Roma, 17 marzo 2014].

 

Ed ancora si ritiene che, al fine di invitare le parti alla mediazione con il fine del raggiungimento di un accordo, “quando le tematiche sono prettamente bancarie, si può ottenere in mediazione la collaborazione di consulenti tecnici di parte insieme alle valutazioni espresse dal Giudice, si può arrivare ad una elaborazione contabile condivisa, evitando così i costi di una CTU” [Così, Tribunale di Bari, ordinanza 26.02.2016].

Come è noto, in giurisprudenza (e con riferimento all'ambito giudiziario [Ex multis, vd Cassazione civile, sez. 3, 23 febbraio 2006, n. 3990; Cass., n. 2802 del 2000; Cass. n. 9060 del 2003, secondo cui “il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche"]) è pacifico la sussistenza di due diverse tipologie di consulenza tecnica:

a) quella c.d. percipiente, che ha natura di fonte di acquisizione della prova in quanto con essa il consulente acquisisce elementi e dati che precedentemente non facevano parte del materiale probatorio della causa, costituendo a ciò ostacolo la necessità (o la utilità) di specifiche doti e conoscenze tecniche ovvero di mezzi e di apparecchiature particolari non a disposizione del giudice;

b) quella c.d. deducente, che ha per oggetto la valutazione di fatti, elementi e cose già presenti ed acquisiti al patrimonio istruttorio della causa.

Trasferiti, come è agevole e possibile, tali concetti nel procedimento di mediazione, si può desumere l'assenza di impedimenti giuridici all'utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione e specificamente nella causa che può seguire (o proseguire), così come l'assenza di qualsiasi reale contrasto con le norme e la disciplina legale di tale istituto.

Viceversa l'attività del consulente in mediazione, all'esito degli accertamenti che compie (che non potranno consistere nel raccogliere e riportare dichiarazioni delle parti o informazioni provenienti dalle stesse, perché questo non è un suo compito e non rientra fra le attività che deve espletare, come del resto è previsto espressamente nell'ambito della causa dove la possibilità di acquisire informazioni dalle parti da parte del C.T.U. è subordinato ad espressa autorizzazione del giudice, come previsto dall’articolo 194 codice di procedura civile), si estrinseca (ed esaurisce) nella motivata esposizione dei risultati dei suoi accertamenti tecnico-specialistici.

Nessuna norma del decreto legislativo n. 28/2010 fa divieto dell'utilizzo nella causa della relazione dell'esperto, fermo restando il generale obbligo di riservatezza anche del consulente, come di tutti gli altri soggetti che intervengono nel procedimento.

Una esplicita conferma di quanto precede si ricava dall'ultima parte dell'articolo 10 primo comma che fa salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni.

Così confermandosi che il consenso per l'utilizzazione in ambito diverso dal procedimento di mediazione all'interno del quale (le dichiarazioni) sono emerse è necessario solo per le dichiarazioni delle parti.

Come è noto, sono inutilizzabili esclusivamente le dichiarazioni delle parti, di cui le informazioni sono solo uno dei possibili contenuti, non esistendo impedimenti giuridici all’utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione ed in particolare nella causa che può seguire o proseguire.

Secondo la giurisprudenza la riservatezza è infatti tutelata da un divieto che riguarda esclusivamente le dichiarazioni e le informazioni che una parte abbia fornito [Cfr. Tribunale di Roma, ordinanza 17/03/2014; Tribunale di Roma, ordinanza 16/07/2015; Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 22/12/2015; Tribunale di Roma, ordinanza 04/04/2016] nel procedimento di mediazione, ma non si estende agli accertamenti dell’esperto.

Mutatis verbis, l’opera del consulente tecnico ben può conservare la sua utilità nel successivo giudizio, purché siano rispettate due regole fondamentali: il rispetto del contraddittorio e l’esclusione del riferimento a dichiarazioni delle parti in mediazione.

Con ciò non si vuole negare la differenza tra una perizia di un esperto nominato in mediazione ed una perizia di un esperto nominato nel processo: soltanto quest’ultima rientra infatti tra gli strumenti apprestati dal codice per l’acquisizione, formazione e valutazione della prova (perché disposta, controllata e diretta dal giudice, e perché il tecnico nominato – dopo aver giurato – è ausiliario del giudice).

Tuttavia, nel caso di insuccesso della mediazione, la relazione dell’esperto nominato in tale procedimento può esser di valido utilizzo nel corso del successivo giudizio per offrire al giudice argomenti ed elementi utili di formazione della decisione ovvero anche per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell’articolo 185bis codice procedura civile.

Invero, se come ritenuto, le risultanze della perizia in mediazione sono, in linea di principio, in sede giudiziale ammissibili ed utilizzabili, è ben diverso il valore e l'efficacia delle stesse rispetto a quelle della consulenza tecnica di ufficio.

E ciò in quanto la prima non faceva parte degli strumenti apprestati dal codice di rito per l'acquisizione, formazione e valutazione della prova, perché non disposta, controllata e diretta dal giudice, e perché l'esperto in mediazione non è un ausiliario del giudice (per tutti gli effetti connessi e) con la conseguenza che anche le sue possibilità accertative potrebbero in concreto incontrare dei limiti e ostacoli nei rapporti esterni. Ma il nostro ordinamento conosce ed autorizza le prove atipiche, purché siano rispettati alcuni fondamentali principi dell'ordinamento stesso (e fra questi principalmente quello del contraddittorio). 

Ne consegue che il giudice potrà utilizzare tale relazione “secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti“ [Cfr. sul punto Marinaro M., “Se la mediazione fallisce la consulenza tecnica è riutilizzabile in giudizio”, pubblicata su http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2014-03-20/mediazione-fallisce-consulenza-tecnica-110136.php; Marinaro M., “Prima del giudizio scelta tra mediazione e conciliazione del Ctu”, pubblicata su http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2017-03-10/prima-giudizio-scelta-mediazione-e-conciliazione-182005.php?uuid=AENLxnl].

Meno frequentemente per fondarvi la sentenza, più spesso “per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio” [In tal senso cfr. Trib. Roma, 17 marzo 2014].

Ovvero, aspetto niente affatto secondario, “per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell'art. 185 bis cpc” [Cit].

Per trarre le conclusioni in questa materia così interessante e di estrema attualità come lo è il ricorso ai sistemi di ADR, a parere della scrivente esiste un altro aspetto importante che dovrebbe indurre ad avvalersi – quando ovviamente opportuno o necessario – della nomina di un esperto nel corso della mediazione.

Come per l’arbitrato, l’opportunità offerta dall’articolo 8 citato permette alle parti di scegliere il professionista più adatto per la controversia, sia per competenza sia per opportunità territoriali.

Circostanza questa non sottovalutabile e che non avviene per la nomina del CTU nel giudizio ove, pur nel rispetto delle competenze, valgono soprattutto i criteri di rotazione tra professionisti, tra l’altro non tutti professionisti ma solo quelli che sono stati inseriti nell’Albo del Tribunale.

A seguito del consolidamento di alcune prassi efficaci e lungimiranti, la giurisprudenza sembra accogliere favorevolmente tali perizie, addirittura incoraggiandole e suggerendo alle parti di ricorrervi in alternativa alla nomina del C.T.U. nel corso di un procedimento ex art. 696 bis codice procedura civile.

Il tutto a determinate condizioni:

a) le parti devono essere concordi nella nomina del tecnico, avendo cura di indicare le caratteristiche dell’esperto da designare e di formulare il quesito da sottoporre allo stesso;

b) il mediatore non può conferire al perito i poteri di esclusiva attribuzione del giudice, né può formulare il quesito che è nella conoscenza esclusiva delle parti, essendo suo compito precipuo quello di aiutarle a individuare il “nodo” da sciogliere facendo emergere gli interessi delle stesse.

c) la giurisprudenza è concorde nel prevedere, nel verbale di conferimento dell’incarico al perito, di specificare se la perizia sarà da ritenersi riservata o producibile in giudizio. Laddove mancasse questa previsione, la giurisprudenza è orientata a ritenere la perizia non riservata, non essendo la stessa frutto di dichiarazioni ed informazioni di parte, ma dell’elaborazione tecnico-specialistica di un soggetto terzo sulla base di elementi oggettivi [Cit].

In merito al campo di applicazione della C.T.U. in mediazione, si ritiene che la stessa abbia marcato utilizzo nelle controversie ove sia necessario un esame contabile della posizione dedotta nel procedimento ed una verifica prodromica dei consumi di energia elettrica e gas.

In particolare le parti possono fare ricorso alla C.T.U. in caso di controversie in cui sia necessario esaminare e comparare consumi e posizioni contabili non chiare, perché il rapporto di diritto sostanziale presenta come elemento di fattispecie l’addebito di consumi contestati tra le parti in quanto suscettibili di prescrizione e, pertanto, l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata da una delle parti.

Sul punto è bene fare chiarezza.

La legge 27 dicembre 2017, n. 205 recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” [Pubblicata in G.U. Serie Generale n. 302 del 29/12/2017 - Suppl. Ordinario n. 62] all’articolo 1 comma 4 ha previsto che “nei contratti di fornitura  di  energia  elettrica  e  gas,  il diritto al corrispettivo si prescrive in due anni, sia  nei  rapporti tra gli utenti domestici  o  le  microimprese,  come  definite  dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, o i professionisti, come definiti dall’articolo 3, comma 1, lettera c), del codice del consumo, di cui al  decreto  legislativo  6  settembre 2005, n. 206, e il venditore, sia nei rapporti tra il distributore  e il venditore, sia in quelli con l’operatore del trasporto e  con  gli altri soggetti della filiera. 

Nei contratti di fornitura del servizio idrico, relativi alle categorie di cui al primo periodo, il diritto al corrispettivo si prescrive in due anni”.

Quanto alla decorrenza delle disposizioni introdotte dalla legge n. 205/2017, l’articolo 1 comma 10 stabilisce che le stesse trovino applicazione alle fatture la cui scadenza:

1. Per il settore elettrico, è successiva alla data del 1 marzo 2018;

2. Per il settore del gas, è successiva al 1 gennaio 2019;

3. Per il settore idrico, è successiva al 1 gennaio 2020.

Siamo di fronte, pertanto, ad un complesso meccanismo posto a tutela del consumatore e volto a garantire una corretta imputazione dei consumi energetici al cliente finale nell’ottica di realizzare i principi di trasparenza e chiarezza nel sistema di fatturazione degli addebiti di energia e gas [Sul punto cfr. Mauro P. “Il diritto alla prescrizione nei contratti di energia elettrica e gas”, pubblicato su Filodiritto, – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet, Marzo 2018, all’indirizzo https://www.filodiritto.com/articoli/2018/03/il-diritto-alla-prescrizione-nei-contratti-di-energia-elettrica-e-gas.html].

In merito al termine prescrizionale, in particolare, si precisa che lo stesso decorre dalla data di scadenza del pagamento oppure dal giorno in cui il fornitore avrebbe dovuto leggere i contatori ed emettere il conguaglio e, quindi, non dalla data in cui viene emessa la fattura di conguaglio.

 

Se, al contrario, il fornitore/distributore non ha potuto avere accesso al contatore per causa imputabile al cliente (sua assenza o di contatore all’interno dell’abitazione), la prescrizione decorrerà dalla data in cui sia stata consentita la lettura del consumo del misuratore.

Non corrisponde certamente al vero che la prescrizione decorre dal momento in cui è emessa la fattura di conguaglio, con ciò spostando a piacimento del fornitore/distributore il termine da cui decorre la prescrizione e consentendo così di richiedere i conguagli anche dopo dieci o più anni.  

In realtà, sulla base dei principi generali, si evidenzia che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui può essere fatto valere il diritto, ossia dal momento in cui il fornitore, per il tramite del personale tecnico della società distributrice, può eseguire la lettura dei consumi sul contatore.

È questo il momento in cui, rilevati consumi superiori a quelli addebitati in acconto sulla base di letture stimate, il fornitore può pretendere il pagamento del conguaglio.

Pertanto, dall’anzidetto momento decorre la prescrizione biennale (data in cui il credito diventa esigibile).  

Per avere, quindi, certezza sulla data da cui far decorrere la prescrizione è necessario individuare, considerando la periodicità prevista dalla legge, il giorno entro il quale il gestore, per il tramite del distributore, avrebbe dovuto compiere la lettura del contatore.

Opera, però, una sola ed importante eccezione alla predetta regola, che si verifica tutte le volte in cui il distributore comunica di non aver potuto effettuare la lettura periodica in quanto il contatore era inaccessibile (ad. es. perché allocato all’interno dell’abitazione o il cliente era assente o il cliente rifiuta l’accesso del personale tecnico, ecc.).

In questi casi, se il distributore non ha potuto eseguire la lettura per cause imputabili al cliente finale, la prescrizione decorrerà dalla data in cui viene consentito l’accesso e la lettura del consumo sul misuratore, ovvero il momento in cui può essere fatto valere il diritto di credito.

Se, al contrario, il contatore è allocato in posizione accessibile (ad. es. su strada pubblica, area accessibile a terzi, ecc.) non potrà generalmente essere eccepita l’impossibilità di lettura da parte del distributore.

Recentemente con la delibera 97/2018/R/com, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA) ha definito le misure di prima attuazione della legge n. 205/2017) in materia di fatturazione e misura per il settore dell’energia elettrica, avviando al contempo un procedimento per la completa attuazione delle disposizioni sia per il settore dell’energia elettrica che per quello del gas naturale.

La delibera 97/2018/R/com, precisato che il termine di prescrizione definito pari a due anni dalla Legge di Bilancio 2018 (relativa a tutti i rapporti commerciali della filiera, quindi anche tra distributori e venditori) decorre dal termine dal termine entro cui l’esercente del servizio è obbligato ad emettere il documento di fatturazione, stabilisce:

a. che il venditore ha l’obbligo di emettere il documento di fatturazione relativo a conguagli operati sulla base di rettifiche del dato di misura entro 45 giorni dal momento in cui la rettifica è resa disponibile nell’ambito del Sistema Informativo Integrato (SII);

b. che, con specifico riferimento al settore dell’energia elettrica:

b.1. l’ambito di applicazione sia in sede di prima applicazione relativo ai clienti finali domestici e non domestici connessi in bassa tensione;

b.2. con riferimento ai clienti finali interessati, contestualmente all’emissione della fattura e comunque almeno 10 giorni in anticipo rispetto alla scadenza dei termini di pagamento, utilizzando uno o più canali di comunicazione idonei a garantire completezza e trasparenza, il venditore sia  tenuto a informare il cliente della possibilità di eccepire sia la prescrizione del credito relativo a importi che il venditore avrebbe dovuto fatturare più due anni prima, nei casi di rilevanti ritardi, sia il diritto a non versare gli importi fatturati, nei casi di rettifiche di dati di misura relative a periodi superiori a due anni.

In considerazione dei rilevanti impatti sulla vigente regolazione nei settori dell’energia elettrica e del gas derivanti dall’attuazione della Legge di Bilancio 2018 per gli effetti sui diversi soggetti della filiera e sui relativi processi, viene, quindi, avviato un ampio procedimento per la completa definizione, degli interventi necessari.

In particolare il provvedimento è finalizzato a:

  • individuare le tipologie di clienti rientranti nell’ambito soggettivo riferito nella legge;
  • individuare eventuali misure per l’adeguamento della disciplina della Bolletta 2.0 finalizzate ad evidenziare nelle fatture gli eventuali importi che possono essere oggetto di prescrizione (ciò al fine di facilitare al cliente di esercitare tale diritto) e eventuali integrazioni alla regolazione della qualità dei servizi di vendita;
  • definire più dettagliatamente le cause che determinano il fallimento del tentativo di rilevazione dei dati di misura, in particolare nei casi riconducibili alla responsabilità del cliente finale e le modalità attraverso cui veicolare tali informazioni ai venditori; ciò prioritariamente al fine di identificare i casi in cui il diritto a non versare gli importi fatturati, nei casi di rettifiche di dati di misura, possa effettivamente applicarsi eventualmente con modalità automatiche da regolare;
  • valutare la possibilità di minimizzare ulteriormente la presenza di fatture inviate ai clienti finali basate su dati di misura stimati attraverso interventi volti, in primis, a incentivare le autoletture;
  • valutare i primi effetti delle disposizioni per il settore elettrico in tema di indennizzi automatici in relazione alla capacità delle imprese distributrici di acquisire dati effettivi di prelievo;
  • adottare specifici interventi mirati a rafforzare la tutela dei consumatori nel caso di mancata acquisizione e messa a disposizione di dati effettivi di prelievo di energia elettrica per periodi prolungati;
  • valutare le modalità di allocazione delle partite inerenti al settlement definendo opportune modalità di gestione dei conguagli dei corrispettivi emersi in esito alle sessioni di conguaglio e aggiustamento rispettivamente derivanti da fatture per cui si sia determinata l’applicazione della prescrizione.

Va sottolineato che il procedimento è previsto concludersi entro il 31 dicembre 2018, con l’eccezione, per il settore elettrico, di quanto opportuno concludere prima nel rispetto dei termini della Legge Bilancio, e salvo eventuali esigenze istruttorie o, per il settore gas, in seguito al consolidarsi dei primi effetti delle norme introdotte nella Regolazione della Qualità dei servizi di distribuzione e di misura (RQDG) a decorrere dal 1 gennaio 2018 in materia di indennizzi ai clienti finali in caso di mancato rispetto dei livelli di performance del servizio di misura.

 

[1] Sui meccanismi ADR nel settore dell’energia, ex multis, cfr. Mauro P., La mediazione nelle controversie energetiche, Aracne Editrice, 2018Mauro P., “Riflessioni sulla media-conciliazione: risorsa per la giustizia ed opportunità di crescita sociale” pubblicato in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all'indirizzo http://www.diritto.it, ISSN 1127-8579, Aprile 2012, pag. http://www.diritto.it/docs/33246-rifessioni-sulla-media-conciliazione-risorsa-per-la-giustizia-ed-opportunit-di-crescita-sociale; Mauro P. “La mediazione come metodo per la gestione dei conflitti nei mercati dell’energia elettrica e del gas. Prime riflessioni sul Testo Integrato Conciliazione” – pubblicato in Ambiente e Diritto – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.ambientediritto.it/, ISSN 1974-9562,  Luglio 2016 , pag. http://www.ambientediritto.it/home/dottrina/la-mediazione-come-metodo-la-gestione-dei-conflitti-nei-mercati-dell%E2%80%99energia-elettrica-e; Mauro P. “Energia elettrica e gas: la mediazione come metodo per la gestione dei conflitti” - pubblicato in Diritto & Diritti - Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all'indirizzo http://www.diritto.it, ISSN 1127-8579, Luglio 2016, pag. http://www.diritto.it/docs/38496-energia-elettrica-e-gas-la-mediazione-come-metodo-per-la-gestione-dei-conflitti; Mauro P. “Il ruolo del conciliatore nelle controversie energetiche” - pubblicato in Ambiente e Diritto – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo http://www.ambientediritto.it/, ISSN 1974-9562, Luglio 2016 pag. http://www.ambientediritto.it/home/node/3198.