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Aspetti giuridici e non dell’adolescenza

Adolescenza
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Abstract

L’Autrice evidenzia la necessità che le scienze umane, tra cui il diritto, si occupino specificatamente dell’adolescenza e degli adolescenti. Pietra miliare è e rimane la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia

 

Indice

1. Adolescenti da conoscere

2. Adolescenti da ri-conoscere

 

1. Adolescenti da conoscere

Come esistono i romanzi di formazione e i film di formazione, che sono didascalici per ragazzi e educatori sul percorso di crescita, così si avverte sempre di più l’esigenza di un “diritto di formazione” che fornisca almeno delle indicazioni cui riferirsi in quelli che si presentano come momenti difficili da superare e con serie conseguenze anche sociali.

È interessante leggere le disposizioni della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (il cui acronimo in inglese è CRC) che più si addicono all’età adolescenziale per consentire un approccio più adeguato alle problematiche di questa fase, per valorizzarle e per tentare di dare risposte non preconfezionate, come talvolta si è soliti fare.

La più significativa disposizione a tale proposito è certamente quella contenuta in uno dei capoversi centrali del Preambolo della Convenzione in cui si legge: “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali”.

In questo capoverso non vi è alcun soggetto ma si usa la forma impersonale,

perché è dovere di tutti preparare (“apparecchiare avanti”) e allevare (“alzare verso”) i minorenni, specificamente gli adolescenti (“coloro che crescono”), ai ruoli e alle responsabilità dell’essere adulti (“cresciuti”).

È indicativa ogni singola parola: “preparare” (processo antecedente e itinerante), “appieno” (completamente), “avere” (fare propria), “una” (unica e unitaria), “vita” (fare e dare), “individuale” (da soli e con la propria impronta in maniera singola e singolare), “nella società” (con gli altri, per gli altri e verso gli altri).

Il Preambolo indica proprio le tappe da seguire, infatti, nel capoverso precedente quello summenzionato, si legge che “il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”. Il fanciullo prima “deve crescere” per essere, poi, preparato ad avere una vita individuale nella società.

Per educare alla vita bisogna educare alla morte, ad ogni morte (delusioni, frustrazioni, negazioni, fallimenti) e niente è più efficace dell’esempio (etimologicamente “che trae da”) e del dialogo (etimologicamente “parlare fra” e non parlare a o di, come si è soliti fare).

Di questo parere è lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni: “Gli anni dell’adolescenza vedono spesso il nuovo sostituire il vecchio. Amicizie, interessi, progetti.

Sembra che il passato muoia di fronte alle trascinanti novità. L’adolescente sente che il bambino che c’era in lui è definitivamente scomparso. Alcuni ragazzi avvertono con maggiore sensibilità che è necessario che muoia qualcosa dentro di noi perché si possa crescere.

Da qui il pensiero della morte. Non dobbiamo spaventarci, ma possiamo cogliere l’occasione per porci degli interrogativi. Riconoscendo lo sgomento che il morire porta con sé. Ma anche riscoprendo il proposito di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”.

Anche don Antonio Mazzi, esperto di problematiche giovanili, precisa: “La vita è vita se le relazioni tra di noi sono vere, amate, rispettate. Non siamo animali dalle passioni selvagge, o falsi innamorati stracotti e pronti a qualsiasi misfatto verso coloro che cercano di orientare le nostre passioni, privilegiando i doveri, i giusti divertimenti e le amicizie positive.

Il problema degli adolescenti è sottovalutato perché nuovo, faticoso da interpretare e perché, non mi stancherò mai di dirlo, esige una presenza saggia, equilibrata e matura dei padri. Riflettere sull’emergenza educativa dei nostri figli normali, durante il delicato passaggio dai dieci ai venti anni, esige che famiglia, scuola e società creino insieme una rete protettiva per evitare le cadute traumatiche”.

Innanzitutto l’adolescente ha bisogno di ascolto, ascolto anche dei suoi silenzi, dei suoi sbalzi di umore, quell’ascolto di cui all’articolo 12 della Convenzione. Fabrizio Fantoni spiega che “[…] è davvero difficile tessere una trama di parole e di pensieri con alcuni adolescenti, soprattutto maschi, che sembrano essere interiormente vuoti, di emozioni e di desideri, prima ancora che di riflessioni. Musica, sport, giochi, persone, amori sembrano realtà che li sfiorano appena. Come il fumo, che soddisfa per breve tempo ma presto svanisce nell’aria.

Dagli affetti primari, i genitori, gli amici d’infanzia, questi ragazzi prendono le distanze perché non sono più bambini. Ma non riescono a investire nel presente, e men che meno nel futuro: una competenza professionale, un successo scolastico, una immagine di sé da coltivare.

Noi adulti restiamo senza parole e senza pensieri, e non sappiamo che cosa fare. Si percepisce quanto gli adolescenti siano in grado di proiettare i propri stati d’animo profondi dentro a chi li ascolta davvero”.

Un altro articolo della CRC attribuibile ancor di più all’adolescenza è l’articolo 13: “Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. […] L’esercizio di questo diritto può essere sottoposto a talune restrizioni”. Ed una delle forme di espressione più manifeste durante l’adolescenza è l’aggressività, come spiega Fantoni: “Per i ragazzi non è possibile crescere senza un’affermazione di sé attraverso comportamenti sostenuti anche dall’aggressività. L’importante è imparare a esprimerla senza esagerazioni distruttive e nel rispetto per gli altri.

Questo richiede impegno da parte loro e un aiuto paziente e fermo degli adulti. Non si tratta di rifiutare la presenza di una tensione aggressiva che si esprime tra loro ma soprattutto nei confronti dei grandi. Se si fa finta di non vederla la si minimizza, come se fosse occasionale e trascurabile, c’è il rischio che i ragazzi alzino il tiro contro il muro di gomma degli adulti e aumentino la provocazione, alla ricerca di un freno che non sanno trovare in sé”.

L’esperto Fantoni delucida: “Il primo passo dell’adolescente per rendere utilizzabile l’aggressività come risorsa è quello di superare il passaggio all’atto istintivo, che tende a scaricarla, per poterla pensare. Quindi, tenere la calma e mai passare alle mani. Piuttosto, invitare il ragazzo ad andarsene di casa finché non è più tranquillo e si possa ragionare con lui. Poi bisogna tornare a parlarne, perché l’adolescente possa dire paura, protesta e frustrazione, e queste vengano ascoltate, riportando al centro del dialogo gli affetti e le emozioni provate sia dai ragazzi che dagli adulti”.

L’aggressività adolescenziale è espressione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione (articolo 14 CRC), necessaria affinché l’adolescente non sia più “crisalide” e spicchi il volo verso l’età adulta.

Ancora Fantoni: “Riconoscere l’aggressività significa anche che l’adulto è disponibile a fronteggiarla, accetta il conflitto, che per qualche adolescente sembra essere l’unica forma di dialogo accettabile con lui. Se si riconosce che c’è un conflitto, ma ci sono anche delle regole da rispettare e se ne può parlare senza farsi trascinare dalla rabbia, vuol dire che anche per l’adolescente è possibile contenere l’aggressività eliminando la distruttività”.

I genitori sono responsabili dello sviluppo, da quello fisico a quello sociale, dei figli (articolo 27 CRC) e non possono esimersi dal fronteggiare l’aggressività dei figli adolescenti, dando ad essa senso e direzione, anche perché è un’energia necessaria al salto verso l’età adulta. Meglio l’aggressività e non le forme di implosione, quei ragazzi accartocciati su sé stessi, incistati in se stessi, di cui se mai i genitori si vantano pure perché non danno problemi ed, invece, potrebbero diventare patologici come quei giovani che non studiano né lavorano (nell’acronimo inglese NEET) e di cui l’Italia ha avuto il triste primato in Europa tra il 2017 e il 2018.

L’adolescenza è di per sé aggressività (aggredire dal latino “ad”, verso, e “gradi”, andare, camminare, avanzare), perché fisicamente è esplosione ormonale, crescita di peli, eruzioni cutanee, attivazione delle ghiandole sessuali, massa muscolare, e psicologicamente rappresenta (o dovrebbe significare) il secondo e definitivo taglio del cordone ombelicale.

Potrebbe essere d’aiuto per genitori e educatori la locuzione “in modo consono alle sue capacità evolutive” dell’articolo 14 della Convenzione: l’adolescente è colui che cresce e, quindi, cambia, ognuno con i propri tempi, ritmi, manifestazioni. Chi sembra ancora bambino, chi improvvisamente adulto, chi in uno stato di limbo o altro: il primo a prendere consapevolezza di ciò deve essere l’adulto per poter, poi, trasmettere consapevolezza e sicurezza all’adolescente che ha di fronte.

Continuando la lettura della Convenzione colpisce l’articolo 19: “Gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore o dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura”.

Durante l’adolescenza dei figli si possono verificare varie forme di abbandono o negligenza da parte dei genitori (o altri adulti di riferimento) tanto da non accorgersi quando i ragazzi sono vittime o artefici di fenomeni devianti o deviati quali bullismo, prostituzione minorile, baby gang o altro.

A quest’articolo è strettamente correlato l’articolo 24 CRC, relativo alla salute, ove si rimarca il binomio di salute fisica e mentale, che dovrebbero tenere a mente i genitori i quali si preoccupano di più di quella fisica ma non altrettanto di quella mentale, che è quella più a rischio durante il periodo adolescenziale. La salute fisica e mentale (che comprende e coinvolge la sfera sessuale) passa anche attraverso la consapevolezza e la maturità dei genitori, ruolo richiamato espressamente nelle lettere e e f del par. 2 dell’articolo 24.

La pianificazione familiare menzionata nella lettera f si può riferire anche alla necessità di educazione sessuale dei figli che non consiste nel fornire i preservativi e spiegarne l’uso ai figli e nell’accompagnare le figlie dal ginecologo.

L’educazione sessuale non è un intervento educativo a sé ma è la vita familiare stessa. Da tener presente anche il par. 3 dell’articolo 24 in cui si prescrive: “Gli Stati parti devono prendere tutte le misure efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali che possono risultare pregiudizievoli alla salute dei fanciulli”. Non ci si deve preoccupare solo di alcune pratiche tradizionali del mondo non occidentale, come l’infibulazione o il fenomeno delle spose bambine o altro, ma anche degli effetti dell’apologia del corpo, della bellezza esteriore, del sesso, prassi diffuse nel mondo occidentale.

Lo psicologo Fantoni soggiunge: “In certi momenti, l’adolescenza è come la rincorsa dell’atleta che deve spiccare un salto: occorre tornare indietro e ridare un significato nuovo a quanto accaduto nel passato per poter diventare grandi. La soluzione non consiste nell’andare alla ricerca del responsabile”. L’adolescenza è un processo di responsabilizzazione che porta all’età adulta, che dovrebbe essere l’età delle responsabilità: “[…] preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera” (articolo 29 lettera d CRC).

In questo processo i genitori si devono comportare come i genitori degli atleti: accompagnare i figli, tifare per loro, incoraggiarli, ma gli allenamenti e le gare toccano solo ai figli. I problemi adolescenziali sono un’opportunità di crescita e di miglioramento per tutti, come si evince dall’etimo stesso di “problema”, “ciò che si getta o mette avanti, ciò che si presenta”, e come esplicato anche dagli esperti di psicologia dell’adolescenza, tra cui uno dei più grandi lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet.

Riguardante, invece, l’adolescente “giudicato reo” è l’articolo 40 nella sua interezza e in particolare nella locuzione del primo paragrafo, ove si dispone di “fargli assumere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima [la società]”, indicazione che ha altresì una valenza sicuramente preventiva, come sperimentato e applicato in molti metodi pedagogici, in primo luogo quello salesiano (uno degli esempi positivi di recupero post-detentivo è quello di Davide Cerullo che, dopo l’esperienza giovanile carceraria, ha cambiato strada dedicandosi alla scrittura proprio perché qualcuno ha creduto in lui e gli ha mostrato una prospettiva diversa).

A proposito dei ragazzi che “sbagliano” o “hanno sbagliato” con conseguenze penali: “Mandare questi ragazzi in carcere è sbagliato – dice don Antonio Mazzi–. Nessuno, pedagogicamente parlando, metterebbe i peggiori con i peggiori perché troverebbero “colleghi” con medaglie d’oro e che, rispetto a loro, sarebbero eroi nazionali di spavalderie.

Urge creare realtà semplici, rasserenanti, non carcerarie, dentro le quali questi adolescenti scatenati possano trovare educatori veri, motivati, capaci di riordinare i grandi talenti che questi ragazzi possiedono, ma che nessuno è riuscito a valorizzare.

[…] se mancano persone adulte preparate e desiderose di spendere la loro vita per avventure educative rischiose, anche se avare di gratificazioni, saremo eternamente qui a raccontarci le scemate scriteriate dei nostri figli”. Necessita “[…] adottare misure, ogni qualvolta risulti possibile ed auspicabile, per trattare i casi di tali fanciulli senza far ricorso a procedimenti giudiziari, a condizione che il diritto umano e le garanzie legali siano pienamente rispettati” (articolo 40 par. 3 CRC).

 

2. Adolescenti da ri-conoscere

Le parole dello scrittore Aldo Nove si addicono allo stadio e allo stato dell’adolescenza: “Nella vita di tutti sono tanti gli scossoni che svuotano da dentro le persone, catapultandole in nuove realtà, anche se non molti li avvertono, e li allontanano con un’alzata di spalle. Ma arrivano, sono la vita. Sono parte di quegli scossoni a segnare, nel tempo, il passaggio dal mondo magico dei bambini a quello più rigido degli adulti. La magia non svanisce, solo resta acciaccata dalle paure, dalle perdite, dai dolori, e talvolta si spezza, per tanti si spezza l’incantesimo dei giorni e delle attese, e la meraviglia. Altri scossoni agiscono al contrario”.

Nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance (Parigi, giugno 2007) si legge: “Quando i diritti del bambino o dell’adolescente sono negati da condizioni dell’esistenza inique, quando i suoi punti di riferimento sono compromessi, è possibile aiutarlo a ritrovare la fiducia nella vita e la stima di sé. Il bambino possiede in lui delle importanti risorse”. I genitori e in generale gli adulti non devono procurare né evitare scossoni (frustrazioni) ai figli, ma abituarli agli scossoni trasformando le loro naturali risorse in speciali competenze di ogni sorta: affettive, emozionali, relazionali, sociali.

Fantoni afferma: “Gli adolescenti vorrebbero fare a meno degli adulti per dimostrare a sé stessi che possono cavarsela da soli in ogni situazione. Temono che gli altri si sostituiscano a loro nelle difficoltà. In realtà, possono incontrare adulti che li sanno aiutare ascoltandoli e proponendo ai ragazzi una visione delle cose più ampia e meno coinvolta. Che consenta di ritrovare risorse anche quando sono nel mezzo della sofferenza, senza fuggirla”.

Ancora leggendo nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance: “Il bambino possiede in lui delle importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso”. Risorsa comincia col prefisso “ri-”, che in altre parole diventa “re”-, come in “relazione”. La prima relazione umana e educativa che è una risorsa (nel senso più completo e circolare del vocabolo) è la genitorialità, la quale trova risorse in sé e dà risorse (o così dovrebbe essere) come avviene attraverso il cordone ombelicale.

Continuando ad analizzare il “serbatoio” delle risorse, si può ricorrere ancora al pensiero di Fantoni: “Talvolta pensiamo alla potenza delle emozioni degli adolescenti solo in positivo, come grandi ideali o grandi innamoramenti. Esse possono travolgere la mente e il corpo insieme, sviando la razionalità ed esprimendosi nel gesto fisico. Riconosciamo la forza enorme di certi amori adolescenziali, ciechi e sordi a tutto, ma dobbiamo tenere presente che anche l’odio, in certi casi, può raggiungere gli stessi livelli di potenza.

Questo non significa che tutti gli adolescenti possano giungere a compiere gesti irreparabili. Ma che tutti sono chiamati a capire meglio i propri stati d’animo, per sviluppare un migliore controllo di sé, che per alcuni ragazzi risulta essere più difficile che per altri. Occorre allora un’azione educativa particolarmente attenta, che parta dall’esercizio del proprio autocontrollo prima di tutto, e da un accompagnamento paziente dei figli in difficoltà”. Occorre educare alle passioni mediante la pazienza e la compassione, le migliori manifestazioni della passione.

Fra le passioni, nell’età adolescenziale, primeggia quella sessuale su cui interviene lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai: “Molti temono che parlare di sessualità quando i tempi non sono ancora maturi significhi “spaventare” i bambini con argomenti per i quali non sono ancora pronti o stimolare i loro pensieri e fantasie, anticipando troppo certi temi. Parlando con molti adulti ho provato a verificare quanti tra loro avessero fatto domande sulla sessualità ai loro genitori quando erano bambini o ragazzi e ho scoperto che la quasi totalità, pur avendo dubbi, curiosità, bisogni – soprattutto durante l’adolescenza – non ha mai chiesto nulla agli adulti di riferimento.

Per cui concludo che la strategia di chi “aspetta che siano i figli a fare le domande” viene smentita dall’esperienza. I nostri figli non riescono a farci domande – quando ne sentono il bisogno – proprio perché avvertono in noi adulti un senso di fatica e titubanza che gli comunica che educarli su questi temi ci spaventa e genera imbarazzo e turbamento.

E così noi e loro rimaniamo congelati, bloccati, incapaci di capire cosa dire e quando è il momento per dirlo. La sessualità nasce e cresce con noi. I genitori devono saperla integrare in modo naturale e competente nel loro progetto educativo, comunicando con i figli sui molti aspetti a essa associati e sui molti messaggi, spesso pornografici, eccitanti, disorientanti e confusivi”. Educarsi e educare che la sessualità non è un dato anatomico o soddisfazione di desiderio, ma identità, personalità, relazionalità, benessere, “[…] sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori e l’informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare” (articolo 24 par. 2 lettera f CRC).

Fantoni aggiunge: “Non sappiamo parlare della difficoltà di fare i conti con la paura. Anche noi adulti forse la temiamo e la evitiamo. Come se fosse un segnale d’allarme che suona ma non viene ascoltato, perché si pensa che non dia luogo a conseguenze irreparabili. […] Si compie una scelta, si esce dalla vita ordinaria e si entra nel territorio del proibito e dell’illegale, da soli o con un amico, a condividere la negazione di tutte le paure che possono riguardare la vita di un adolescente. Un atto magico le cui conseguenze gravissime, in quel momento grandioso, non vengono valutate. Dimenticando che le magie non esistono.

Dobbiamo aiutare i ragazzi ad avere paura. A riconoscerla quando si oltrepassa il limite, a sentirla dentro di sé e a pensarla, capendo che non va evitata o superata d’un balzo, ma va accettata come un’opportunità, un’utile consigliera di vita che evita di dover pagare prezzi inutilmente alti: una bocciatura senza motivo, il dolore per la fine di una storia d’amore, una frattura alle ossa. E che talvolta li protegge dalla morte, l’unico limite invalicabile. Dobbiamo aiutarli ad avere non sprezzo della paura, ma coraggio autentico e forza vera. Rinunciando alle immagini idealizzate e fasulle dell’uomo forte e dominante in ogni situazione. Ricercando, noi adulti per primi, la forza della volontà e il coraggio della determinazione”.

“Egli [il bambino] ha diritto alla spensieratezza” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance). Il bambino, per conoscere e godere della spensieratezza, ha anche bisogno di essere educato al contrario, tra cui la paura (che non significa procurargliela). In tal modo il bambino può apprendere gli atteggiamenti adeguati a ogni situazione (maturando anche la cosiddetta resilienza che è proprio la capacità di far fronte alle situazioni avverse) e comprendere gli altri (sino all’empatia) senza incorrere nei crescenti disturbi della personalità, tra cui quello borderline, o altri disturbi e gravi patologie.

Il magistrato Cosimo Maria Ferri (nella veste di sottosegretario di Stato al Ministero alla Giustizia), nel febbraio 2016, ha commentato così la nascita del movimento giovanile “Mabasta” (primo movimento studentesco contro il bullismo e cyberbullismo, nato ufficialmente a Lecce il 7 febbraio 2016, anche grazie al contributo del prof. Daniele Manni): «Questo movimento spontaneo, che nasce dai ragazzi salentini, è uno dei tanti simboli di quell’Italia che non vuole piegarsi ai soprusi e alle violenze dei bulli.

I recenti casi di cronaca che hanno coinvolto alcuni adolescenti, vittime di bullismo e cyberbullismo, hanno reso evidente che questi fenomeni vanno contrastati anche attraverso politiche preventive di natura educativa. È proprio la scuola, come nel caso di Lecce, uno dei luoghi chiamati ad assolvere a questa funzione. Mi auguro che l’iniziativa “MaBasta!” possa raccogliere l’adesione del maggior numero di giovani in tutta Italia: il bullismo, insieme, non dovrà fare più paura a nessuno».

Gli adulti, anche in vesti istituzionali, non devono intervenire solo nei casi di bisogno o per segnalare quello che non va nei giovani di oggi, ma anche per promuovere e valorizzare quello che fanno per sé stessi e per il bene comune di cui gli adulti stessi si dimenticano.

Si deve contrastare l’attuale cultura della morte educando alla morte (S. Francesco d’Assisi parlava di “sorella morte”), come parte della vita né da temere né da sfidare. “Non aver mai vegliato un cadavere è una metafora di come la società del narcisismo abbia relegato nella rimozione educativa e culturale la malattia e la morte, rendendo osceno e inaccessibile il discorso sulla morte e sulle fantasie suicidali”.

“Morire” è etimologicamente “consumare, distruggere”, e l’adolescenza è una sorte di morte, perché finisce quello che si è stati per diventare altro, è la prova di resilienza della vita, il bambino cade per rialzarsi verso l’età adulta (resilienza deriva dal verbo latino “resilire”, rimbalzare, saltare indietro). Una delle tante storie di resilienza nella e dell’adolescenza è quella del campione di football americano Michael J. Oher (storia narrata in un libro da cui è stato tratto il film “The blind side” (letteralmente “Il lato cieco”) con Sandra Bullock nel 2009), salvato dallo sport e da chi ha creduto in lui, ricordando che lo sport (anche e soprattutto quello non agonistico) è un aiuto alla crescita e al benessere psicofisico e una scuola di vita.

“La farfalla, che prende il volo come un foulard di seta alzato dal vento, ha ancora addosso l’odore della larva da cui proviene. Trascurare questa ibridazione, amputarla precocemente è un passaggio pericoloso, non solo sul piano fisico” (il bioeticista Paolo Marino Cattorini): una descrizione che si può adattare all’adolescente. I genitori e gli adulti in genere non devono ritenere l’adolescenza né una malattia né una passeggiata, non devono dimenticare la loro adolescenza ma non devono nemmeno prenderla come termine di paragone. Ogni adolescente è unico e l’adolescenza è unica e imprescindibile.

“Ho paura dell’indifferenza e dell’ignoranza; ho paura per gli adolescenti che crescono con le orecchie piene di suoni, gli occhi pieni di immagini e che non sentono quasi mai le parole utopia, ideale, sogno” (cit.). Gli adolescenti (dal participio presente del verbo latino “adolescere”, crescere) non hanno bisogno solo delle parole utopia, ideale, sogno, ma di ascolto, attenzione, ovvero di amore e della conseguente biofilia. Hanno bisogno di adulti (participio passato di “adolescere”) che non siano sedicenti ma seducenti.”

Dando la giusta considerazione (letteralmente “considerare” significa “osservare gli astri” e, in effetti, ragazzi e ragazze sembrano sfuggenti, lontani e ignoti come gli astri) all’adolescenza e agli adolescenti si mette in atto, inoltre, quanto previsto nell’articolo 42 della Convenzione: “Gli Stati parti si impegnano a far conoscere diffusamente i principi e le norme della Convenzione, in modo attivo e adeguato, tanto agli adulti quanto ai fanciulli”.

Operando così energicamente e sinergicamente si realizzano tutti i significati fisici e psicologici del verbo latino “adolescere” (composto di “ad”, rafforzativo, e “alere”, nutrire), quali crescere, svilupparsi, rinvigorirsi (osservando come siano letteralmente progressivi e orientativi). 

Letture consigliate

Uccidersi. Il tentativo di suicidio in adolescenza”di G.Pietropolli Charmet e A.Plotti, Raffaello Cortina Editore 2009