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Assegno di divorzio di importo simbolico e pensione di reversibilità

L’addebito della separazione
L’addebito della separazione

La Corte di Cassazione Sezione Lavoro è intervenuta recentemente con sentenza 28.9.2020 n. 20477 in tema di diritto del coniuge titolare di assegno di divorzio alla reversibilità della pensione del defunto ex coniuge, fissando un principio di segno opposto a quello già fissato con pronuncia a Sezione Unite n. 159/1998.

La vicenda è la seguente: la moglie divorziata titolare di assegno divorzile per l’importo di un dollaro all’anno, riconosciutole dal Tribunale Superiore della California, ha chiesto al Tribunale dell’Aquila condannarsi l’INPS a corrisponderle una quota della pensione di reversibilità del coniuge defunto. Il Tribunale ha accolto la domanda e la Corte di Appello dell’Aquila, adita dall’INPS, ha confermato la pronuncia. L’INPS ha impugnato la sentenza per violazione dell’art 5 e 9 legge 898/1970 e 5 legge 263/2005. La Corte di Cassazione Sezione Lavoro ha accolto il ricorso e rimesso la causa alla Corte di Appello di Roma.

Le norme interessate dalla fattispecie sono l’articolo 9 2° comma legge 898/1970 e l’articolo 5 legge 263/2005 che dispongono che: 

“2. In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza.

Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n. 898 del 1970”.

La Corte di Cassazione asserisce che  il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità ex articolo 9 della Legge n. 898 del 1970 presuppone (anche ai sensi della norma interpretativa di cui all’articolo 5 della Legge n. 263 del 2005) non solo che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, ma anche che detto assegno non sia fissato in misura simbolica, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con la “ratio” dell’attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato, da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all’ex coniuge e non già nell’irragionevole esito di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella già in godimento.

La ricostruzione logica del principio dettato muove dai seguenti presupposti: il diritto alla pensione di reversibilità, diritto autonomo di natura squisitamente previdenziale, presuppone che il richiedente sia alla data della morte dell’ex coniuge, titolare di assegno divorzile.

L’attribuzione della pensione di reversibilità è il continuum del sostegno economico prestato in vita dall’ex coniuge onerato da assegno divorzile. Il sostegno economico dovuto dall’ex coniuge non può essere simbolico o minimale in quanto l’assegno divorzile ha funzione assistenziale e perequativo-compensativa ed è volto a consentire all’ex coniuge, privo di mezzi adeguati ed oggettivamente impossibilitato a procurarseli, un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale  del coniuge onerato (vedasi Cassazione SSUU n. 18287/2018).

Quindi perché il diritto alla pensione di reversibilità possa essere riconosciuto occorre che il richiedente sia titolare di un assegno divorzile di importo tale da contribuire al suo mantenimento e non per una cifra simbolica.

Diversamente, peraltro, aggiunge la Corte, si potrebbe produrre il risultato di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella di cui godeva quando l’ex coniuge onerato pensionato era in vita, in violazione della lettera e della ratio dell’istituto.

La ricostruzione fatta dalla Corte di Cassazione Sezione Lavoro contrasta con i principi fissati sul tema dalla Corte con sentenza n. 159/1998 a Sezioni Unite. Con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha asserito che il diritto al trattamento di reversibilità per l’ex coniuge beneficiario di assegno divorzile è diritto autonomo di natura previdenziale analogo a quello del coniuge superstite, collegato automaticamente alla fattispecie legale di titolarità di assegno divorzile, e prescinde da ogni pronuncia giurisdizionale, che può essere solo dichiarativa.

Nessuna valutazione circa la congruità dell’assegno divorzile le Sezioni Unite ritengono debba essere preliminarmente svolta, dovendosi la pensione di reversibilità riconoscere al coniuge beneficiario di assegno divorzile senza alcuna indagine. Ciò in quanto la ratio dell’istituto è riconoscere l’apporto dato dal coniuge beneficiario di assegno alla formazione del patrimonio comune e a quello proprio del coniuge onerato.

Considerato il caso di specie e l’importo meramente simbolico dell’assegno divorzile di cui era titolare il coniuge richiedente la pensione di reversibilità, la pronuncia in commento ha una sua logicità. Un assegno di importo simbolico non assiste, non compensa, non riconosce, quindi non ha natura assistenziale né compensativo-retributiva: poiché la pensione di reversibilità ha funzione assistenziale e compensativa non può essere riconosciuta.

Preoccupa però l’ulteriore notazione fatta dalla Cassazione Sezione Lavoro, circa l’irragionevolezza dell’evenienza che la pensione di reversibilità assicuri all’ex coniuge una condizione di vita migliore di quella data dall’assegno divorzile. La riflessione della Corte induce a interrogarsi se la pronuncia in commento individui nell’importo dell’assegno divorzile un ulteriore presupposto giuridico del diritto alla pensione di reversibilità.

Perché in caso di assegno divorzile di importo inferiore alla quota o alla pensione di reversibilità dovuta in linea astratta, il diritto pensionistico sarà riconosciuto all’ex coniuge?

È logico supporre che l’INPS, visto il mutato avviso della Corte di Cassazione rispetto alla pronuncia a Sezioni Unite n.159/1998, tenterà di ottenere pronunce che neghino il diritto alla pensione di reversibilità nei casi in cui l’importo dovuto sia superiore all’importo dell’assegno divorzile. Ciò deve preoccupare e non poco l’interprete perché la quantificazione dell’assegno divorzile, contenuta in una pronuncia giudiziale  all’esito di un procedimento,  consensuale  o contenzioso che sia, non segue una logica di rigorosa proporzionalità rispetto ai redditi dell’onerato; essa tiene conto anche di altre variabili che spesso vanno a contenerne l’importo, inerenti il patrimonio e la situazione  personale e familiare del richiedente e dell’onerato, la situazione economica dell’area geografica di specie.

Negare la pensione di reversibilità all’ex coniuge perché l’importo dell’assegno di divorzio disposto a suo favore è stato fissato in un importo inferiore a quello che risulterà poi dovuto quale pensione di reversibilità potrebbe quindi risolversi in un vantaggio per l’INPS, ente pubblico, ed in un danno grave per l’ex coniuge, persona fisica. Questi, soggetto debole economicamente, già malamente stato soddisfatto nel suo bisogno di sostegno economico dal ridotto assegno divorzile, con la morte del coniuge onerato perderà ogni sostentamento.

V’è da considerare poi che tali evenienze interesseranno, ovviamente, persone anziane, prive di attività lavorativa e di pensione propria, quindi assolutamente deboli. Persone per le quali è stato previsto, appunto, un diritto autonomo di natura previdenziale che sorge con la morte del coniuge pensionato in forza di un’aspettativa maturata nel corso della vita matrimoniale, che si riteneva non poter essere vanificata dagli eventi relativi al rapporto matrimoniale.

E che non deve essere vanificata da una ridotta quantificazione dell’importo dell’assegno divorzile, qualunque ne sia stata la ragione.