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I trasferimenti immobiliari nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio

La tutela della volontà negoziale espressa dai coniugi trova l’appoggio delle Sezioni Unite.
Separazione
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Accade spesso che, in occasione della crisi coniugale, le parti intendano regolare non solo i rapporti personali quali il diritto di visita ai figli, l’esercizio della responsabilità genitoriale e altri aspetti che influenzeranno la vita della famiglia nel nuovo assetto di convivenza separata, ma anche i rapporti patrimoniali, ulteriori rispetto al classico assolvimento dell’obbligo di mantenimento dei figli ed eventualmente del coniuge economicamente più fragile, che normalmente si estrinseca nel versamento mensile di un quantum definito negli accordi di separazione o nella sentenza che definisce la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In proposito, si distingue un contenuto essenziale degli accordi di separazione o divorzio (quale, a titolo esemplificativo, il consenso reciproco a vivere separati, le modalità di affidamento dei figli e l’assegnazione della casa coniugale, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti) e un contenuto eventuale, ovvero gli accordi patrimoniali autonomi che i coniugi raggiungono in occasione della separazione personale o del divorzio congiunto, nella regolamentazione dei nuovi rapporti che si vengono a creare.

Il momento delicatissimo rappresentato dalla crisi coniugale sovente apre, dunque, lo scenario ad una fase volta a “ricomporre i pezzi” degli anni trascorsi insieme (a volte di una vita intera) anche dal punto di vista economico, ristabilendo equilibri e dando rilevanza a quello che economicamente le parti o una sola di essa ritengono di avere perduto, per esempio in termini di rinunce fatte per supportare il contesto familiare, al fine di definire tutti i complessi rapporti di dare – avere generati dalla convivenza.

In questi casi, non è infrequente che i coniugi vogliano raggiungere, già in occasione dell’omologa della separazione personale o della sentenza che definisce il divorzio congiunto, un assetto patrimoniale che abbia carattere di definitività e che non sia rimandato a un momento successivo all’intervento giudiziale.

Il rischio di futuri ripensamenti o, peggio, di inadempimento degli obblighi e degli impegni assunti avanti all’autorità giudiziaria potrebbe, invero, comportare l’inizio di un ulteriore procedimento contenzioso (l’esecuzione in forma specifica di cui all’art. 2932 c.c.), il cui esito e la cui tempistica sarebbero altamente incerti.

Da tale assunto sono partite le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con una pronuncia che ha voluto riconoscere autonomia negoziale agli accordi c.d., “della crisi coniugale” aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari, la n. 21761/2021 del 29 luglio 2021.

La questione attiene alla possibilità per i coniugi, in sede di procedimenti di separazione o divorzio, di prevedere il trasferimento immediato del diritto di proprietà o di un altro diritto reale su di un immobile, rappresentato nella maggioranza dei casi dalla casa coniugale, ovvero l’abitazione ove il nucleo familiare ha stabilito la propria residenza.

In primo e in secondo grado, l’autorità giudiziaria aveva ritenuto ammissibile il solo impegno a trasferire la quota di un mezzo del diritto di nuda proprietà sulla casa coniugale (acquistata dalle parti durante il matrimonio in ragione della metà ciascuno) da parte di un coniuge a favore dell’altro, nonché il diritto di usufrutto a favore dei figli, nonostante le parti avessero espressamente previsto e richiesto un trasferimento immediato.

Si sarebbe, quindi, configurato l’accordo come un contratto preliminare, al quale avrebbe fatto seguito il trasferimento definitivo avanti a un Notaio, contrariamente alla volontà delle parti.

L’intervento della Suprema Corte a Sezioni Unite si è reso necessario poiché la dottrina e la giurisprudenza di merito, sul punto, appaiono divise.

Da un lato, si attesta una corrente che esclude la validità di un trasferimento immobiliare immediato, ravvisando un carattere di atipicità dei detti accordi, in quanto non espressamente previsti dal legislatore nella normativa che disciplina gli istituti della separazione dei coniugi e della cessazione degli effetti civili del matrimonio e che, al più, ammette gli accordi in questione solamente se costruiti con una struttura bifasica che preveda avanti al Giudice il mero impegno a trasferire, il quale troverà il suo compimento in un momento successivo, con la redazione dell’atto notarile in esecuzione dell’obbligo assunto.

Tale soluzione, tuttavia, non appare soddisfacente per la maggior parte della giurisprudenza di merito e di legittimità e per la dottrina, che ravvisa invece carattere di tipicità degli accordi in esame, descrivendoli come “contratti di definizione della crisi coniugale”, proprio in quanto facenti parte delle condizioni della separazione consensuale e delle condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici – di cui, rispettivamente all’art. 711 c.p.c. e all’art. 4 legge 898/1970 – che devono essere necessariamente oggetto dell’incontro di volontà delle parti (in tale senso, Cass. Civ. 4306/1997, seguita da molteplici pronunce successive, tra cui Cass. Civ. 27409/2019 e Cass. Civ. 10443/2019).

In particolare, si evidenza come compito del Tribunale sia verificare i presupposti di legge e valutare la rispondenza delle condizioni di separazione personale o di divorzio congiunto (i due istituti, sotto il profilo che qui interessa, hanno la stessa connotazione causale e sono quindi del tutto equiparabili), realizzando dunque un controllo esterno dell’accordo raggiunto dalle parti, del quale la Cassazione sottolinea la natura negoziale, il tutto in un’ottica di tutela del coniuge più debole e dei figli (Cass. Civ. 19540/2018).

Il verbale d’udienza redatto da un ausiliario del Giudice e munito del decreto di omologa del Tribunale, nella separazione personale, così come la sentenza che definisce il procedimento di divorzio congiunto, assumono, invero, forma di atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c. e costituiscono quindi titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, qualora contengano trasferimenti di diritti reali immobiliari (sul punto, Cass. Civ. 24807/2020).

In merito, si può dare conto dei protocolli predisposti in diversi uffici giudiziari, d’intesa con il locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, che disciplinano il ruolo e le competenze di un ausiliario del Giudice, il quale ben potrà esaminare la documentazione fornita dalle parti e verificare la conformità delle clausole relative al trasferimento immobiliare frutto dell’accordo e dell’autonomia negoziale dei coniugi, nonché curare i successivi adempimenti di trascrizione nei Registri Immobiliari e voltura in Catasto dell’atto stesso.

Peraltro, le Sezioni Unite analizzano nello specifico anche la possibilità per l’ausiliario del Giudice di verificare la coincidenza degli intestatari catastali con i soggetti risultanti dai registri immobiliari ai sensi dell’art. 29 comma 1-bis della legge 52/1985 come rivista dall’art. 19 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78 (la cui omissione, specificano, non produce nullità del trasferimento), in tal modo riconoscendo che la disposizione non si applica esclusivamente agli atti compiuti con il ministero di un notaio, ma a tutti i trasferimenti immobiliari, anche in forma giudiziale.

Ne discende che l’attribuzione patrimoniale frutto dei detti accordi sarà contenuta in un atto pubblico avente fede privilegiata fino a querela di falso sia della provenienza del cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza, che soddisfa anche il requisito della forma scritta richiesto dall’art. 1350 c.c. per i trasferimenti immobiliari, così escludendo la funzione certificatoria esclusiva in capo al notaio, essendo a questi equiparabile qualunque pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Del resto, quanto sopra è riscontrabile anche nel caso in cui il trasferimento immobiliare avvenga in via transattiva a definizione di un procedimento contenzioso instaurato avanti all’autorità giudiziaria: a titolo esemplificativo, anche il verbale di conciliazione giudiziale costituisce titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, quale atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale – il Giudice – sempre qualora contenga tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita.

Secondo le Sezioni Unite, dunque, lo strumento più adeguato a definire l’intricato assetto dei rapporti patrimoniali tra le parti in occasione della separazione o del divorzio e soddisfare gli accordi coniugali è il trasferimento immobiliare definitivo, che può attuarsi anche in favore dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, con una funzione solutorio – compensativa, anche parziale, dell’obbligo di mantenimento.

Diversamente, ammettendo la validità del solo impegno a trasferire che trovi compimento in un momento successivo, si otterrebbe una restrizione dell’autonomia negoziale dei coniugi, che potrebbe comportare ulteriori occasioni di contrasto e profili di incertezza dell’assetto patrimoniale raggiunto.

L’autonomia negoziale, qualora si estrinsechi in accordi dal contenuto meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, riceve dunque pieno riconoscimento, anche e soprattutto in occasione della crisi coniugale, nel rispetto degli articoli 2, 3, 41 e 42 della Costituzione.