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Assegno divorzile e stabile convivenza di fatto: parlano le Sezioni Unite

Perù
Ph. Simona Balestra / Perù

Con la sentenza n. 32198 depositata il 5 novembre 2021, le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono pronunciate sulla spinosa questione della spettanza dell’assegno divorzile in caso di nuova convivenza dell’ex coniuge beneficiario del mantenimento.

Ribaltando l’orientamento seguito dalla più recente giurisprudenza, la Cassazione ha statuito che, a certe condizioni, l’assegno resta dovuto nonostante la nuova convivenza, potendo però, essere diminuito. Pertanto, viene meno l’automaticità della caducazione dell’assegno di divorzio in caso di nuova convivenza stabile.

 

Assegno divorzile e stabile convivenza di fatto: la disciplina

L’assegno divorzile consiste nell’obbligo, a seguito della pronuncia di divorzio, di uno dei due coniugi di corrispondere all’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

L’assegno assolve una funzione solidaristica, cui si affiancano quella risarcitoria e compensativa e, per espressa previsione normativa, viene meno se il beneficiario passa a nuove nozze o contrae una nuova unione civile.

Nei casi di nuova convivenza di fatto la soluzione è rimessa alla giurisprudenza che, in generale, propende per la cessazione automatica della percezione dell’assegno divorzile quando la nuova convivenza integri uno stabile modello di vita comune.

 

Assegno divorzile e stabile convivenza di fatto: la vicenda

La decisione della Suprema Corte trae le mosse dalla decisione del giudice di appello di escludere in capo all’ex marito l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, riconosciuto nel precedente grado di giudizio, avendo l’ex moglie instaurato, per sua stessa affermazione, una stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui aveva avuto una figlia.

I Giudici d’appello, seguendo l’orientamento più recente e seguito in giurisprudenza, affermavano che l’instaurazione di una nuova famiglia, seppur di fatto, rescindendo ogni legame con il tenore di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge.
Per tali ragioni, non residuerebbe alcuna “solidarietà post-matrimoniale” con l’ex marito. È nella nuova convivenza che il beneficiario dell’assegno divorzile dovrebbe ricercare i legami di solidarietà familiare, incompatibili con il permanere dell’assegno di divorzio in capo all’ex coniuge.

Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per Cassazione, assegnato alla Prima Sezione civile della Corte e, successivamente, rimesso da questa al Primo Presidente, affinché valutasse l’opportunità di assegnarlo alle Sezioni Unite, al fine di stabilire:

se instaurata una convivenza di fatto tra una persona divorziata e un terzo, eseguito un accertamento pieno sulla stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto all’assegno divorzile di chi abbia intrapreso una nuova convivenza stabile, ove la sua posizione economica sia sperequata rispetto a quella del suo ex coniuge, si estingua comunque, per un meccanismo ispirato all’automatismo […] o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano dell’assegno divorzile negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una rimodulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento”.

L’ordinanza interlocutoria sembra, in tal modo, suggerire alle Sezioni Unite di rivedere l’orientamento più recente sul punto, secondo il quale, in virtù del principio di autoresponsabilità, il nuovo rapporto, essendo fondato su una scelta libera e consapevole, determina l’assunzione piena del rischio di una cessazione dello stesso e di ogni residua solidarietà post matrimoniale (cfr. Cass. n. 6855 del 2015).

 

Assegno divorzile e stabile convivenza di fatto: la decisione

Per comprendere a pieno la decisione della Suprema Corte è necessario esporre, brevemente, le doglianze della ricorrente. In particolare, l’ex moglie esponeva come nei nove anni di durata del matrimonio aveva rinunciato ad ogni attività professionale/lavorativa, per dedicarsi completamente ai figli, al contrario dell’ex marito che aveva invece potuto dedicarsi interamente alla propria crescita professionale, quale proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione di calzature in Italia.

La ricorrente rappresentava come attualmente, stante le difficoltà di trovare una ricollocazione lavorativa alla sua età, viveva con i figli grazie all’assegno divorzile e si era unita all’attuale compagno (operaio con reddito lavorativo pari a poco più di mille euro mensili), da cui aveva avuto una figlia.

Sulla base di tale ricostruzione, le Sezioni Unite, ribaltando il precedente orientamento, affermano come la caducazione automatica del diritto all’assegno di divorzio a prescindere dalle vicende del caso concreto, è incompatibile con la funzione dell’assegno che non può essere esclusivamente assistenziale ma, come di recente chiarito dalla stessa Corte, anche compensativo-perequativa (cfr. Cass. S.U., n. 18287 del 2018).

Con l’assegno divorzile si deve, infatti, garantire il riequilibro della disparità delle condizioni economiche venutasi a creare a seguito dello scioglimento del matrimonio, tenendo conto del contributo prestato alla formazione del patrimonio familiare dai coniugi. Più precisamente, attraverso il riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge.

Se tale è il punto di approdo della giurisprudenza di legittimità, appare evidente per la Corte come, mentre la componente assistenziale dell’assegno divorzile debba venir meno con l’istaurazione di una nuova convivenza; ciò non vale per la componente compensativa-perequativa.

Le Sezioni Unite concludono, quindi, statuendo che: “Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche dell’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

D’altronde, non sarebbe giusto che il coniuge che ha sacrificato il proprio percorso professionale a favore delle esigenze familiari perda, a prescindere e automaticamente, qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti.

In presenza di tali condizioni, l’assegno è un modo per valorizzare e tener conto delle rinunce e degli sforzi fatti, dall’ex coniuge, per favorire la complessiva vita familiare e, in particolare, per facilitare la realizzazione lavorativa o professionale dell’altro coniuge.