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La convivenza sul luogo di lavoro è equiparabile a quella familiare?

colori vivaci
Ph. Sara Caliolo / colori vivaci

Abstract:

Lo scritto è un’analisi dell’articolo 572 Codice Penale, ovvero il delitto di maltrattamenti in famiglia contro familiari e conviventi, e serve a verificare se la norma abbia raggiunto il suo più alto grado di estensione di applicazione del suo contesto, anche alla luce della recente giurisprudenza.

The paper is an analysis of articolo 572 of the Criminal Code, or the crime of mistreatment in the family against family members and cohabitants, and serves to verify whether the law has reached its highest degree of extension of its context, also in the light of recent jurisprudence.

 

1. Breve disamina della fattispecie di cui all’articolo 572 Codice Penale (delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi)

L’articolo 572 Codice Penale è contenuto nel Libro Secondo, Titolo XI “Delitti contro la famiglia, Capo IV “Dei delitti contro l’assistenza familiare”, che recita:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.

Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ha come ratio legis la tutela della salute e l’integrità psico-fisica dei soggetti appartenenti all’universo familiare o para familiare. Oggi l’enunciato in vigore, dopo aver subito notevoli mutamenti anche in relazione ai vari contesti storici, si rifà alla Riforma del 2012 che conferisce alla fattispecie delittuosa una portata più generale.

I presupposti del reato di maltrattamenti sono tutti accomunati dalla presenza di una situazione di convivenza o, quanto meno, di frequentazione tra i soggetti coinvolti: la condotta presuppone che, affinché si determini un regime di vita intollerabile, conseguenza della condotta vessatoria, vi sia la compresenza del reo e del soggetto attivo, per un certo periodo di tempo e, soprattutto nel medesimo ambiente.

La condotta del maltrattare, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai univoco, identifica non solo violenze fisiche, ma anche offese di natura verbale, riconducibili ad atti lesivi dell’integrità, libertà e decoro della vittima oppure di atti di disprezzo e umiliazione che offendano la dignità del soggetto passivo.

Altro elemento essenziale per la configurabilità dei maltrattamenti è dato dall’idoneità causale della condotta a determinare l’evento del reato, costituito dalla intollerabilità del regime di vita da parte di chi sia vittima della condotta vessatoria.

In merito all’elemento soggettivo del reato, poi, si sono registrati opposti orientamenti, alcuni dei quali diretti a ritenere che la fattispecie si configuri come reato a dolo specifico ed altre a dolo generi. Occorre però ritenere che l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti sia costituito dal dolo generico che prescinde dalla finalità ulteriore che il soggetto intende raggiungere attraverso l’umiliazione o la degradazione della vittima.

 

2. I rapporti di convivenza nel contesto lavorativo in relazione alla fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 572 Codice Penale

Seguendo le fila del discorso, è necessario ora riflettere su cosa effettivamente la giurisprudenza stessa intenda per rapporti di convivenza penalmente rilevanti e quali altri rapporti di convivenza (extrafamiliari) siano effettivamente importanti ai fini della fattispecie in esame. Alla luce di ciò occorre fare una breve premessa.

In linea di principio, un presupposto comune per l’applicazione della norma incriminatrice di cui trattasi, è costituito dalle situazioni di convivenza, o di compresenza o, quantomeno, di frequentazione se non costante, quantomeno reiterata, nonché significativamente protratta nel tempo e la presenza almeno ricorrente dell’autore del reato e della sua vittima nello stesso ambiente.

La compresenza fra autore e vittima nello stesso ambiente, ovvero la frequentazione fra i due, pone le basi per la reiterazione delle condotte che può determinare in simili casi una condizione di vita intollerabile per la persona offesa e, con essa, l’evento giuridico di danno del delitto in esame, in particolare nelle ipotesi in cui la vittima è sottoposta all’autorità dell’autore delle condotte, o affidata al soggetto attivo per le ragioni indicate dalla norma, ovvero di cura, vigilanza, istruzione, educazione ecc.

Ciò premesso, la relazione di convivenza tra soggetto attivo del reato e vittima è inquadrabile anche nella relazione che intercorre tra lavoratori conviventi. Il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, è caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente.

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione possono integrare il delitto in esame, esclusivamente se il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assume natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto (lavoratore di una struttura organizzativa dell’impresa, pubblica o privata) in quello che ricopre la posizione di supremazia.

 

3. La giurisprudenza più recente sui maltrattamenti in famiglia

Il requisito dirimente viene individuato dalla giurisprudenza di legittimità nella “parafamiliarità”, la quale investe le relazioni lavorative connotate da una informale soggezione all’altrui posizione preminente.

Si pensi, in via esemplificativa, al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera. Per quanto riguarda i rapporti di convivenza, preme anche segnalare, a titolo di esempio, l’omissione di cure da parte della badante che può integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia.

Recentemente, la giurisprudenza, per la prima volta e con una analisi inedita ha definito le caratteristiche della “para familiarità” nei rapporti di lavoro, individuando il campo di indagine da parte del Giudice nei rapporti datoriali in base a precisi “elementi sintomatici” del rapporto di familiarità (presupposto dell’applicazione dell’articolo 572 Codice Penale) che si potrebbe instaurare fra datore di lavoro e dipendente.

La novità di non poco interesse ed importanza risiede nel fatto che le badanti possono essere riconosciute colpevoli del reato di maltrattamenti in famiglia anche se non sono legate da un rapporto di parentela con la persona offesa e quindi, anche in contesti extrafamiliari e lavorativi.

In particolare, la Cassazione Penale, Sez. 3, 11 giugno 2021, n. 23104 ha affrontato la situazione di una farmacista che, nel corso della sua attività lavorativa aveva subito maltrattamenti da parte del titolare.

La Cassazione ha chiarito che, nell’ambito dei delitti contro l’assistenza familiare (capo IV del titolo II del libro secondo del codice penale), sono ricomprese anche fattispecie la cui portata supera i confini della famiglia, comunque essa venga intesa, legittima o di fatto. Il rapporto intercorrente tra le parti doveva comunque essere caratterizzato da "familiarità", nel senso che, pur non inquadrandosi nel contesto tipico della "famiglia", deve comportare relazioni abituali e intense, consuetudini di vita tra i soggetti, la soggezione di una parte nei confronti dell’altra (rapporto supremazia-soggezione), la fiducia riposta dal soggetto passivo nel soggetto attivo, destinatario quest’ultimo di obblighi di assistenza verso il primo, perché parte più debole.

Allora occorre osservare, in primo luogo, come l’articolo  572 Codice Penale operi il richiamo, oltre che "a una persona della famiglia o comunque convivente", anche alle persone sottoposte alla autorità del reo o ad esso affidate e, in secondo luogo, occorre considerare come il reato possa manifestarsi nelle stesse forme ("maltratta") indipendentemente dalla natura del rapporto (di famiglia, di convivenza, di affidamento ecc.) che intercorre tra maltrattante e maltrattato, esprimendo, quindi, il medesimo disvalore di azione e di evento, fatte salve le specificità delle singole condotte, sia quando è rivolto contro una persona appartenente al nucleo familiare, sia quando è diretto verso un convivente e sia quando soggetti passivi del reato siano persone sottoposte (lavoratori) o affidate (anziani) al reo.


Perciò il fatto di reato di cui all’articolo  572 Codice Penale si realizza tra soggetti legati da un rapporto di prossimità permanente (familiare o di tipo familiare) scaturente da una relazione di convivenza e/o di comunanza di vita o comunque da un intenso rapporto (di lavoro, di affidamento) ossia da un legame che, destinato a durare nel tempo, rende la vittima, in quanto tale, un soggetto particolarmente vulnerabile nei confronti di chi, in ragione della propria posizione, è chiamato al rispetto e alla solidarietà.
Ne deriva, pertanto, che oggetto della tutela penale è l’interesse della persona al rispetto della propria personalità nello svolgimento di un rapporto familiare o para-familiare con il soggetto attivo del reato.
Spetta al giudice di merito accertare la presenza o meno degli indici di sussistenza di un rapporto "para-familiare" e la relativa motivazione, se congrua e priva di vizi di manifesta illogicità, è insindacabile in sede di giudizio di legittimità.

Diversa invece, è la questione affrontata da una recentissima sentenza n. 35939/2021 con la quale, la Cassazione ha infatti ricostruito le condotte di maltrattamenti facendo corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale il concetto di maltrattamenti, pure non definito dalla legge, presuppone una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell’integrità, della libertà, dell’onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima.

La Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “non è sufficiente ad integrare il reato di abuso dei mezzi di correzione, e neppure quello di maltrattamenti, la  condotta della dirigente severa ed esigente che sprona i suoi collaboratori, li ammonisce e li critica perché vuole che il lavoro svolto nell’ufficio venga svolto al meglio, non commettendo perciò reato.”

 

4. Conclusioni sui maltrattamenti in famiglia e sul requisito della para-familiarità

In conclusione, la ragione dell’indicazione del requisito della parafamiliarità del rapporto di sovraordinazione, si caratterizza per la sottoposizione di una persona all’autorità di un’altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari, non ultimo per l’affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetto all’azione di chi ha ed esercita l’autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità.

Se così non fosse, ogni relazione lavorativa caratterizzata da ridotte dimensioni e dal diretto impegno del datore di lavoro dovrebbe, per ciò solo, configurare una sorta di comunità (para)familiare, idonea a imporre la qualificazione, in termini di violazione dell’articolo 572 Codice Penale, di condotte che, pur di eguale contenuto ma poste in essere in un contesto più ampio, avrebbero solo rilevanza in ambito civile con evidente profilo di irragionevolezza del sistema.

Pertanto, per provare la configurabilità dell’articolo  572 Codice Penale, non è sufficiente il riferimento alla mera conoscenza di particolari della vita privata del lavoratore (condizione assai frequente nelle piccole imprese), essendo, invece, necessaria un’assidua comunanza di vita, che deve tradursi in una stretta ed intensa relazione tra i soggetti coinvolti, caratterizzata dalla condivisione di tutti i momenti tipici del contesto familiare (dal consumo comune dei pasti, al pernottamento nei medesimi luoghi, ecc.).