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Gli effetti civili del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi

art. 572 Codice penale
Milazzo, 2016
Ph. Alessandro Saggio / Milazzo, 2016

Abstract:

Lo scritto si propone di verificare se, nell'applicazione della fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 572 codice penale, sul reato di maltrattamenti in famiglia, vi siano effetti civili necessariamente legati al rapporto di convivenza.

The document aims to verify whether, in the application of the incriminating case referred to in Article 572 of the Italian Criminal Code, on the crime of mistreatment in the family, there are any civil effects necessarily linked to the cohabitation relationship.

 

Indice:

1. Aspetti storici della definizione di famiglia e di convivenza

2. La nuova concezione di “persona di famiglia” sancita dalla legge Cirinnà e i suoi risvolti giurisprudenziali nel delitto di maltrattamenti

3. L'estensione del concetto di “persona di famiglia” e gli eventuali legami con la fattispecie del delitto di maltrattamenti in famiglia

4. La posizione della giurisprudenza più recente

5. Conclusioni

 

1. Aspetti storici della definizione di famiglia e di convivenza

Il legislatore del 1930, specie in un’atmosfera politicamente autoritaria, aveva una propria concezione “etica” della famiglia, intesa come un tassello fondamentale dell’ordinamento, strutturata gerarchicamente nella sottomissione al marito/genitore da parte della moglie e dei figli.

Con l’avvento della Costituzione è stato introdotto un diverso disegno dei rapporti familiari, fondato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con la conseguente introduzione della parità della potestà dei genitori nei confronti dei figli.

Nello specifico, la Costituzione dedica alla famiglia tre articoli, inclusi nel titolo secondo, intitolato ai “Rapporti etico sociali”.

L’articolo 29 Costituzione precisa che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”. E ai sensi dell’articolo 30 Costituzione “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.”

Infine, l’articolo 31 Costituzione sancisce che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.”

La formula obiettivamente elastica di “società naturale” recepita dall'articolo 29 Costituzione non ha ostacolato l'evoluzione del costume sociale nei decenni successivi. La configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno del convivente more uxorio, e più in generale l’ampliamento della sfera della tutela penale apprestata dalla categoria dei reati contro la famiglia, anche alle unioni di fatto, possono dirsi ormai pacifici in giurisprudenza.

Secondo la giurisprudenza, infatti, «agli effetti dell’articolo 572 codice penale, deve considerarsi “famiglia” ogni consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione: anche il legame di puro fatto stabilito tra un uomo ed una donna vale pertanto a costituire una famiglia in questo senso, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio.»

È, segnatamente, verso la fine degli anni ’70, dopo l'introduzione dell'istituto del divorzio avvenuto con la Legge n. 898 del 1° dicembre del 1970, che si pone con forza la questione della tutela del riservare, anche con gli strumenti del diritto penale, alla cosiddetta “famiglia di fatto”.

Secondo un'opinione largamente condivisa la Legge n. 151 del 1975 ha proseguito nella medesima direzione, delineando un diverso orizzonte del concetto di famiglia, privando la famiglia di caratteri di entità giuridica autonoma e sostituendo (ai fini dell'oggetto di tutela) un complesso sistema di relazioni.

L'attuazione in concreto del principio della piena parità dei diritti dei coniugi, tra di loro e verso la prole, ha trasformato la struttura familiare. Il marito non è più il capo della famiglia: di conseguenza crolla ogni diretto potere di controllo sulla moglie esercitabile anche con strumenti coercitivi. Quanto alla prole, la patria potestà si trasforma in potestà genitoriale che investe entrambi i genitori allo stesso modo. L'articolo 29 Costituzione fa emergere una concezione della famiglia come una società naturale, essenziale formazione sociale, caratterizzata dalla stabilità perché fondata sul matrimonio, che ha mutato veste nel corso del tempo.

Ecco che in questo scenario, è intervenuta la giurisprudenza, la quale, in diverse occasioni, ha avuto modo di rilevare, anche sulla scorta di acquisizioni precedenti già consolidate, come la convivenza di fatto tra soggetto attivo e persona offesa può essere elemento sufficiente per riscontrare la sussistenza del reato di maltrattamento in famiglia.

Tale rapporto affettivo, di fatto, che lega due persone in comunione di vita, cioè senza il vincolo del matrimonio, è la convivenza more uxorio.

Il tema della convivenza, tuttavia, è particolarmente delicato, non tanto e non solo per questioni etiche od assiologiche, ma per il fatto che ci stiamo muovendo sul terreno del diritto penale, non solo caratterizzato dai fondamentali princìpi di tipicità, tassatività e determinatezza, ma ove, proprio in funzione della fondamentale ratio di garanzia, vige il divieto dell’analogia in malam partem, sancito all’articolo 25, 2° comma, Costituzione, dall’articolo 1 codice penale e dall’articolo 14 delle disposizioni preliminari al codice civile.

La convivenza è un aspetto essenziale del matrimonio-rapporto e lo si ricava non solo dalla normativa nazionale, ma anche dalle norme di diritto internazionale ed in particolare da quelle europee.

L'interpretazione estensiva del concetto di “persona di famiglia” appare definitivamente risolta con la riforma del delitto di maltrattamenti del 2012, intervenuta con l’articolo 4 lettera d) della Legge n. 172 del 1° ottobre 2012, che ha aggiunto, accanto all’espressione “persona della famiglia”, la locuzione “o comunque convivente”, aprendo la strada verso la più completa estensione del concetto di famiglia penalmente rilevante, includendo nella disposizione penale i parenti conviventi, il convivente more uxorio e le persone che convivono all’interno di uno stesso nucleo familiare, ancorché non costituito con il matrimonio.

Recentemente, è stato superato anche l’elemento del “convivere insieme”, in quanto sono stati ammessi i maltrattamenti tra coniugi separati o tra genitori non più conviventi, restando integri, anche in tal caso, i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale o dal rapporto di filiazione. La giurisprudenza ha ritenuto che il reato di maltrattamenti si integra anche quando la vittima, nonostante non coabiti più, continui a mantenere un rapporto con l’autore dei comportamenti violenti per via della prole.

 

2. La nuova concezione di “persona di famiglia” sancita dalla legge Cirinnà e i suoi risvolti giurisprudenziali nel delitto di maltrattamenti

Alle due formazioni sociali - famiglia naturale e famiglia di fatto - sopra analizzate, se ne affianca una terza: l’unione civile tra persone dello stesso sesso. Anch’essa, fino a pochi anni fa, veniva riconosciuta dal giudice delle leggi, ma non ancora formalizzata in una norma.

Prima di proseguire con la riflessione, occorre fare alcune precisazioni.

Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona, riconosciuto a livello sopranazionale (articoli 12 e 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, articoli 8 e 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – articoli 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000), nonché in ambito nazionale (articolo 2 Costituzione).

La libertà di sposarsi o di non sposarsi, e di scegliere il coniuge autonomamente, riguarda la sfera dell’autonomia e dell’individualità, sicché si risolve in una scelta sulla quale lo Stato non può interferire, se non sussistono interessi prevalenti incompatibili, nella fattispecie non ravvisabili. L’unico importante diritto, in relazione al quale un contrasto si potrebbe ipotizzare, sarebbe quello, spettante ai figli, di crescere in un ambiente familiare idoneo, diritto corrispondente anche ad un interesse sociale.

Prima del riconoscimento delle unioni civili nel nostro ordinamento, la Corte Costituzionale aveva ritenuto costituzionalmente legittime le norme che consentono il matrimonio solo tra persone dello stesso sesso.

La mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso non determina una lesione della dignità umana e dell'uguaglianza, i quali assumono pari rilievo nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette ex articoli 2 e 3 Costituzione.

Primariamente, secondo la Corte Costituzionale, rientrava nella piena discrezionalità del Parlamento individuare forme di garanzia, basate sull’articolo 2 della Costituzione – che tutela le formazioni sociali tra cui rientrano le coppie di fatto – e di riconoscimento delle unioni tra persone omosessuali. In seguito, per quel che interessa, la più importante estensione del concetto persona di famiglia, si è avuta, nel 2016.

La "legge Cirinnà” (Legge 20 maggio 2016, n. 76), chiamata così dal nome della senatrice promotrice e prima firmataria, avente ad oggetto la "Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze " e successivi decreti attuativi (decreti legislativi nn. 5,6 e 7 del 19 gennaio 2017), ha disciplinato le convivenze di fatto tra etero e omosessuali, entrando in vigore il 5 giugno 2016.

Ai sensi dell'articolo 1, comma 36, della suddetta legge si precisa che: “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile."

Inoltre, il comma 20 dell’articolo 1, dispone che “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

Più in generale, con un'unione civile i partner acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri.

 

3. L'estensione del concetto di “persona di famiglia” e gli eventuali legami con la fattispecie del delitto di maltrattamenti in famiglia

Prima di capire in che misura la nuova normativa abbia contribuito ad estendere ancora di più il concetto di “persona di famiglia”, e quali sono gli eventuali legami con la fattispecie del delitto di maltrattamenti in famiglia, occorre fare alcune precisazioni.

Oltre a introdurre l’istituto dell’unione civile, la normativa del 2016 ha ulteriormente inciso sul vecchio modello che vedeva legato il concetto di famiglia a quello di matrimonio per approntare una – sia pur scarna – regolamentazione della convivenza more uxorio. Tralasciando l’ambiguità insita nella scelta di denominare “convivenza di fatto” il fenomeno sociale che contestualmente si munisce di disciplina legale, si evidenzia l’introduzione della facoltà per le persone conviventi, sia etero che omosessuali, di stipulare – ai sensi dell’articolo 1, commi 36-65, Legge n. 76 del 2016 – un “contratto di convivenza” volto eminentemente a regolare questioni patrimoniali e suscettibile di registrazione presso l’anagrafe comunale. Si è così frantumata la disciplina della convivenza in tre diverse fattispecie: la convivenza di “mero” fatto, la convivenza registrata e all’interno di quest’ultima la convivenza contrattualizzata.

Il Decreto Legislativo n. 6 del 2017 ha ampliato, poi, la cerchia dei “prossimi congiunti” per ricomprendervi i soggetti uniti civilmente e non anche i conviventi di fatto, con il coordinamento del diritto penale con l’istituto delle unioni civili passando attraverso una generale equiparazione tra le parti delle unioni stesse e i coniugi, con effetti in malam e in bonam partem, più estesi di quelli realizzabili in applicazione della clausola di cui all’articolo 1, comma 20 della Legge n. 67 del 2016.

 

4. La posizione della giurisprudenza più recente

Successivamente, la giurisprudenza a partire dalla Cassazione penale, Sezione III, 18 dicembre 2018, n. 56673 in www.italgiure.giustizia.it ha garantito massima tutela per le unioni civili.

Il meccanismo costitutivo della convivenza quale soggetto giuridicamente rilevante - venendo ai suoi componenti riconosciuti una serie di diritti cui si accompagna l'obbligo alimentare rilevante al momento della sua cessazione - si fonda, secondo quanto disposto dal comma 37 dell’articolo 1, della legge Cirinnà, su una dichiarazione rimessa all'iniziativa degli stessi componenti della coppia e senza alcun controllo formale sulla sussistenza dei requisiti di cui al comma 36, rilasciata all'Anagrafe del Comune di residenza del soggetto presso il quale si è instaurata la convivenza.

La conseguente certificazione anagrafica è quindi sufficiente a dimostrare, ad ogni effetto di legge, la sussistenza del rapporto di convivenza, per il riconoscimento al convivente dei diritti discendenti dalla stessa Legge n. 76 del 2016.

Ne deriva che la funzione probatoria accordata dal legislatore alla registrazione anagrafica, così come esime da ulteriori accertamenti in ordine alla sussistenza di una convivenza di fatto, si traduce in una presunzione che inverte i poli dell'onere probatorio, spettando all'imputato che contesti la sussistenza del legame fattuale caratterizzato dalla stabilità e dalla mutua solidarietà e perciò tutelato dall'ordinamento a fornire la prova contraria.

Alla luce di quanto esposto, la giurisprudenza evidenzia che l’elemento rilevante ai fini della configurabilità del delitto di cui all’articolo 572 codice penale, si ricava sia dalla certificazione anagrafica, che è requisito sufficiente a dimostrare, ad ogni effetto di legge, la sussistenza del rapporto di convivenza per il riconoscimento al convivente dei diritti derivanti dalla Legge n. 76 del 2016 sopra menzionata. Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile soltanto per le condotte tenute fino a quando la convivenza o l’unione non sia cessata.

Secondo la più recente Cassazione, quindi, non conta la tipologia di unione all’interno della coppia e nemmeno la durata della convivenza, ma il fatto che in quel rapporto «sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà» necessaria a far integrare il delitto di maltrattamenti (Cassazione penale, Sezione VI, 25 febbraio 2021, n. 17599 in www.italgiure.giustizia.it).

 

5. Conclusioni

La compresenza fra autore e vittima nello stesso ambiente, ovvero la frequentazione fra i due, pone le basi per la reiterazione delle condotte che può determinare in simili casi una condizione di vita intollerabile per la persona offesa e, con essa, l'evento giuridico di danno del delitto in esame. La giurisprudenza recente, prima fra tutti, la Cassazione penale, Sezione VI, 18 maggio 2021, n. 22248 in DeJure, ha aperto l'applicazione dell’articolo 572 codice penale a qualunque relazione che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale, rilevando che anche l'esistenza di relazioni abituali tra i due soggetti, anche se non estrinsecatesi nella convivenza, ma costituenti comunque un legame affettivo che produce una convivenza psicologica, possa integrare il reato di maltrattamenti.