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Quale sarà la prossima sorte dell’assegno divorzile?

La Maddalena, Sardegna
Ph. Federico Radi / La Maddalena, Sardegna

Breve disamina dell’assegno di divorzio (articolo 5 della legge 1° Dicembre 1970 n. 898): contenuto e presupposti

L’assegno di divorzio previsto dall’articolo 5 della legge 1° Dicembre 1970 n. 898, come successivamente modificato, è un istituto in continua evoluzione.

L’originario testo dell’art. 5, comma IV, legge n. 898 del 1970 era così formulato:

La decisione di cui al comma precedente può essere modificata con successiva sentenza, per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti.

Al comma VI della stessa norma, il legislatore del 1970 precisava:

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo di uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in un'unica soluzione.

Questa norma era comunemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la funzione dell’assegno divorzile fosse triplice, assistenziale, nei confronti del coniuge la cui situazione si fosse aggravata per effetto del divorzio; compensativa, in ragione dell’impegno personale ed economico dato dal coniuge in vista del benessere della famiglia; risarcitoria, avuto riguardo alle ragioni della decisione e, quindi, alla responsabilità per la rottura del rapporto.

Inizialmente si affermava la natura esclusivamente assistenziale dell’assegno, considerando che dopo lo scioglimento del matrimonio proseguiva la solidarietà tra gli ex coniugi (solidarietà post-coniugale), che rende dovuta l’assistenza economica tra gli stessi; poi in seconda istanza si era sviluppata la tesi indennitaria dell’assegno fino ad arrivare, in relazione ai criteri, alla cd. Teoria della natura composita dell’assegno divorzile, che ne afferma contemporaneamente la natura assistenziale, risarcitoria e compensativa.

Il legislatore del 1970 con il nuovo istituto giuridico del divorzio, capace a mettere la parola fine ad un rapporto coniugale infelice, e che conteneva i dolorosi effetti a danno del coniuge più debole, ha lasciato rivelare dalla normativa la preoccupazione di produrre al più presto un rimedio a situazioni critiche, come la rottura di un rapporto matrimoniale. Alla luce di tale preoccupazione del legislatore, dottrina e giurisprudenza hanno lavorato, in modo sempre più preciso, sulla natura composita dell’assegno di divorzio, in base alla quale il giudice, nel deciderne l'attribuzione e nel determinare l'ammontare, non potesse prescindere da una valutazione complessiva alla luce del solo cosiddetto criterio assistenziale.

Si aggiunga il fatto che secondo l’originaria dottrina, la componente assistenziale dell’assegno tutelava la parte economicamente più debole per renderla autosufficiente, in una condizione di prosperità non differente da quella difesa dall’ex coniuge. 

Oltre a ciò, il criterio assistenziale non ammetteva uno stato di bisogno del coniuge richiedente, ma era sufficiente verificare che questi avesse propri mezzi di mantenimento e non subisse un rilevante danneggiamento alla propria situazione economica per effetto dello scioglimento del matrimonio.

Nello stesso modo, non aveva rilevanza risolutiva la condizione che il coniuge istante disponesse di mezzi sufficienti per le normali necessità di vita, perché l’assegno era rivolto a ripristinare una stabilità nella posizione dei coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio, nella misura delle complessive condizioni in cui il coniuge benestante aveva posto il consorte, nonché delle aspettative che le sue sostanze e il suo reddito consentissero.

Per quanto riguarda l'esame del criterio risarcitorio, ritenuto dalla legge del 1970 e dalla successiva giurisprudenza indispensabile per la determinazione della possibile attribuzione per la quantificazione dell'assegno a favore del coniuge divorziato, è necessario evitare di creare irreali analogie, o peggio, uguaglianze, con l'assegno di mantenimento in sede di separazione, previsto per rispondere prima di tutto ad una funzione alimentare, cioè al mantenimento del coniuge più debole. Ammettendo che nel divorzio, invece i presupposti e le finalità sono diversi, se ne può dedurre che esso miri a ripristinare un certo equilibrio nella posizione dei coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio, al di là della disponibilità di mezzi economici sufficienti da parte del beneficiario dell’assegno.

Su tale criterio la giurisprudenza ha insistito particolarmente nei primi anni di applicazione della legge, al fine di rilevare i caratteri tipici dei due istituti, quello della separazione e quello del divorzio, sotto il profilo del contributo economico a favore del coniuge più debole.

L’attuale articolo 5 comma 6 della Legge n. 898 del 1970 stabilisce che il Tribunale, con la sentenza con cui dispone lo scioglimento del matrimonio, può stabilire l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Secondo l’articolo 5 comma 6, la decisione del Tribunale deve tenere conto di una serie di criteri ed in particolare “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

Il successivo comma 7 prevede che il Tribunale indichi in sentenza il criterio di rivalutazione dell’assegno (ad esempio agli indici Istat).

A norma del comma 8, l’assegno può essere corrisposto anche una tantum, ovvero in un’unica soluzione, anziché con corresponsione periodica. In questo caso, non è possibile poi chiedere in futuro ulteriori somme.

Infine, quando il coniuge destinatario dell’assegno divorzile si risposa, il comma 9 stabilisce che l’altro coniuge non sia più tenuto al versamento dell’assegno.

L’articolo 5 della Legge n. 898 del 1970 di per sé, elenca i criteri per disporre l'assegno di divorzio, vale a dire di quell’onere periodico posto a carico di un coniuge in proporzione alle sue sostanze ed ai suoi redditi a favore dell'altro.

Passando ad individuare il contenuto delle innovazioni dell'articolo 5, VI comma, tenendo conto del quadro appena rappresentato si può rilevare che la novità più importante è il collegamento operato dal legislatore del 1987, tra l’assegno e la mancanza di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli da parte del coniuge avente diritto.

L'assenza di mezzi economici adeguati inizialmente non bastava a far nascere il diritto all'assegno divorzile; occorreva che il coniuge che ne facesse richiesta, dimostrasse di non potersi procurare tali mezzi con l'attività lavorativa a causa di ragioni oggettive che possono consistere in età avanzata e, in uno stato di salute invalidante, o anche nell'esigenza della totale dedizione alla cura dei figli conviventi, bisognosi di cure e assistenza, che impediscano, di fatto, lo svolgimento di un'attività di lavoro; o  nell'esigenza di completare il ciclo di studi interrotto a causa del matrimonio, al fine di acquisire competenze necessarie a svolgere  un'attività lavorativa.

L’indagine del giudice sulla capacità di procurarsi mezzi economici necessari è strettamente correlata a quella relativa alla capacità lavorativa del coniuge che chiede l'assegno divorzile e va condotta secondo criteri di particolare rigore. Per esempio, potrebbe non giustificare, per negare il diritto all'assegno divorzile l'affermazione dell'esistenza di una fonte adeguata di reddito.

L'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive, è da valutarsi in relazione alla possibilità per il richiedente, di svolgere un'attività lavorativa adeguata alla sua qualifica, posizione sociale e condizioni personali, d'età e di salute.

La valutazione deve effettuarsi non soltanto con riferimento ai redditi, ma anche alle altre sostanze, beni ed utilità che non danno reddito reale.  

 

L’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile

L’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile cessa quando il coniuge contrae nuove nozze perché in tal caso acquista il diritto all’assistenza economica nei confronti del nuovo coniuge.

Dopo un lungo dibattito la giurisprudenza più recente si è poi orientata nello stesso modo in merito alle nuove convivenze, ritenendo che l’instaurazione di una nuova convivenza, determinando l’instaurazione di una nuova famiglia, sebbene di fatto, ha l’effetto di estinguere ogni rapporto precedente al matrimonio e comporta quindi la cessazione del diritto all’assegno (Cassazione civile n. 2466 del 2016).

L’orientamento più recente espresso dalla Corte di cassazione però è nel senso dell’automatismo nella cessazione del diritto all’assegno divorzile non solo a seguito di nuove nozze ma anche di nuove convivenze more uxorio.

Infatti, a seguito della pronuncia n. 18287 del 2019 delle Sezioni Unite, la sproporzione economica di non modesta entità tra le situazioni patrimoniali complessive degli ex coniugi si configura come prerequisito fattuale e non è più il fattore primario per l'attribuzione dell'assegno divorzile (cfr. Cassazione n. 32398 del 2019).

Su impulso dell’ordinanza interlocutoria 27 ottobre - 17 dicembre 2020, n. 28995, poi, la Sezione I della Cassazione pone all’attenzione delle Sezioni Unite un quesito interessante e cioè, se la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l’immediata ed automatica soppressione dell’assegno di divorzile.

L’articolo 9 della Legge 898 del 1970 consente espressamente la possibilità di chiedere la revisione dell’assegno divorzile quando, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, sopravvengano “giustificati motivi”.

È il caso ad esempio della perdita definitiva del posto di lavoro da parte dell’obbligato, oppure della moglie beneficiaria dell’assegno divorzile che ottenga un contratto stabile di lavoro (Cassazione civile, ordinanza n. 7230 del 2020).

La revisione dell’assegno divorzile presuppone l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi capace di variare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il provvedimento che ha disposto l’assegno.

Poi, la rilevanza dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente va accertata considerando che l'assegno è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti -assistenziale, perequativa e compensativa - alla pregressa storia coniugale e familiare, senza che sia consentito travalicare nell'indebita locupletazione ai danni dell'altro coniuge. In quest'ottica, deve valutarsi il contributo di ciascuno degli ex coniugi alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali eventualmente sacrificate (Cassazione Civile n. 1119 del 2020).

 

Il Re­vi­re­ment del­le Se­zio­ni uni­te del­la Cas­sa­zio­ne n. 32198/2021

Veniamo ora ad una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite.

Le Se­zio­ni uni­te ci­vi­li del­la Cas­sa­zio­ne con la sen­ten­za n. 32198/21 pub­bli­ca­ta il 5 no­vem­bre, hanno affermato un nuo­vo prin­ci­pio di di­rit­to, secondo il quale l’ex mo­glie man­tie­ne l’as­se­gno di­vor­zi­le an­che se ha un nuo­vo con­vi­ven­te. In questo modo la Cassazione sembra ribaltare il suo precedente orientamento sopra esaminato.

L’ex co­niu­ge eco­no­mi­ca­men­te de­bo­le con­ser­va il di­rit­to al con­tri­bu­to se al mo­men­to ri­sul­ta pri­vo di mez­zi ade­gua­ti o non può pro­cu­rar­se­li per mo­ti­vi og­get­ti­vi.

Il nuo­vo pro­get­to di vita esclu­de la com­po­nen­te as­si­sten­zia­le del con­tri­bu­to ma non la voce com­pen­sa­ti­va, rag­gua­glia­ta a du­ra­ta del­le noz­ze, ap­por­to al mé­na­ge e oc­ca­sio­ni di la­vo­ro per­du­te.

La Corte segnala inoltre, come modalità più idonee di liquidazione dell’assegno limitato alla componente compensativa l’erogazione di esso per un periodo circoscritto di tempo, o la sua capitalizzazione, allo stato attuale possibili soltanto previo accordo delle parti, e valorizza l’importanza dell’attività propositiva e collaborativa del giudice, degli avvocati e dei mediatori familiari per raggiungere la soluzione più rispondente agli interessi delle persone coinvolte.

 

Conclusioni

A parere di chi scrive, l’assegno divorzile se da una parte trova la propria fonte nello scioglimento del matrimonio, nella sentenza che riconosce il diritto all’assegno con efficacia costitutiva dal momento del passaggio in giudicato della pronuncia sullo scioglimento del vincolo, dall’altra avviene sovente tuttavia, che il Tribunale pronunci sentenza non definitiva sullo scioglimento del vincolo e il processo continui solo per la determinazione dell’assegno. 

Il diritto all'assegno divorzile è improntato quindi, su due accertamenti: il primo riguarda l'accertamento della singola persona richiedente l'assegno se ne ha diritto o meno, il secondo è improntato sul principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione (Cassazione civile Sez. I Ord., 18/10/2021, n. 28646).

Sembra quindi, allontanarsi di poco dai concetti sopra espressi il pronunciamento recentissimo delle Sezioni Unite della Corte, che riconosce all’ ex co­niu­ge eco­no­mi­ca­men­te più de­bo­le il diritto all’assegno, con­ser­vando il di­rit­to al con­tri­bu­to se al mo­men­to questi ri­sul­ta pri­vo di mez­zi ade­gua­ti o non può pro­cu­rar­se­li per mo­ti­vi og­get­ti­vi.

Ancora una volta la Corte tutela il soggetto più debole del rapporto, anche se occorre chiedersi quale altra sorte potrà ricevere tale assegno nel corso del tempo.