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Carcere e sofferenze per parole mai dette

Carcere
Carcere

Le intercettazioni telefoniche ed ambientali sono gli strumenti principali delle indagini in materia di criminalità organizzata e non solo. Quanti dibattiti abbiamo ascoltato sull’imprescindibilità dell’uso dello strumento captativo per garantire la repressione di fenomeni malavitosi nel nostro Paese.

Con le intercettazioni si acquisisce un flusso comunicativo tra alcuni interlocutori e le successive trascrizioni sono la trasposizione in parole scritte della conversazione captata. Ed è proprio sulle trascrizioni delle intercettazioni che si basano molte delle misure cautelari richieste ed ottenute dalle Procure della Repubblica della penisola.

Quali sono i criteri linguistici e tecnico-scientifici che il trascrittore segue nella trasposizione in testo delle parole intercettate? A questo interrogativo, basilare per garantire la trasparenza e la certezza della corrispondenza tra parlato registrato e trascritto, nessuno può rispondere compiutamente, poiché non sono previste regole uniformi da seguire.

Attualmente permane infatti la grave assenza di un protocollo nazionale in tema di trascrizioni forensi che indichi quali debbano essere le buone prassi “minime” affinché venga prodotta una trascrizione scientificamente attendibile. Permane altresì l’assenza di un albo nazionale e, soprattutto, di un percorso formativo unico per i trascrittori.

Il legislatore e gli operatori del diritto, in primis i magistrati e gli stessi avvocati, non sono consapevoli del vulnus di garanzia presente nell’ambito delle trascrizioni. La stessa Cassazione liquida la problematica della certezza della genuinità di una trascrizione, con posizioni diametralmente all’opposto a quella degli studiosi linguisti e fonetisti, stabilendo che: La trascrizione della intercettazione costituisce una mera trasposizione grafica del loro contenuto” Cassazione penale, sez. VI, 28 marzo 2018 n. 24744 e Cassazione penale sez. VI, 15 marzo 2016 rv. 266775. La preoccupante semplificazione continua: “La trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere materiale, per le quali non sarebbe necessaria l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico” Cassazione penale sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 3027, Rv 266497.

La Cassazione semplifica la materia senza considerare minimamente le mille implicazioni presenti nelle trascrizioni di conversazioni: rumori di sottofondo, l’influenza del cotesto (la lettura preventiva dei brogliacci), l’uso di termini dialettali o le conversazioni tra alloglotti ove parlare di “mera trasposizione” e di “operazioni di carattere materiale” senza che ci sia bisogno di “alcun contributo scientifico” è imbarazzante.

La questione di quali siano i criteri linguistici da seguire nella trascrizione di una intercettazione, oppure la necessità di conoscere quali siano gli elementi indicativi della suggestività di una domanda ed infine, quali siano i protocolli scientifici da impiegare per garantire una procedura di valutazione conforme ai risultati trascrittivi delle registrazioni sia nell’ambito di identificazione del parlatore e sia nell’ambito delle semplici trascrizioni di conversazioni, per citare alcune tematiche, sembra non interessare alla Suprema Corte.

La comunità scientifica internazionale dei linguisti e dei fonetisti esprime da tempo delle raccomandazioni in tema di trascrizioni forensi. In particolare, la professoressa Franca Orletti mette sull’avviso che la vaghezza è caratteristica di ogni testo parlato” e, pertanto, una trascrizione troppo “pulita” raramente è affidabile.

Nei casi, poi, di dubbia intellegibilità del dato fonico (l’indagato ha detto “muers” oppure “muert”? vicenda Angelo Massaro) sarebbe doveroso astenersi dal trascrivere una propria supposizione, mentre “sarebbe preferibile indicare le varie alternative, a maggior ragione quando il parlato originario è in dialetto o in lingua straniera. In quest’ultimo caso si dovrebbe ricorrere a un ‘morpheme-by-morpheme line’, cioè dedicare una linea della trascrizione alla indicazione del morfema pronunciato nella lingua straniera e direi anche per il dialetto, così da consentire di controllare quale dato fonico è stato percepito e trascritto” così acutamente scrive Iacopo Benevieri, responsabile della commissione di Linguistica Forense della Camera penale di Roma.

Nella pratica la gran parte dei giudici richiede le trascrizioni direttamente in lingua italiana lasciando che l’incaricato effettui una doppia traduzione dialetto-italiano (lingua straniera-italiano) e orale-scritto ed una personale interpretazione dell’eloquio e quindi dei fatti.

Sempre Benevieri, in merito alla situazione attuale, chiosa: “Finchè la carenza di protocolli e linee guida permarrà, ogni trascrittore potrà approcciarsi all’attività di trascrizione in modo personale e soggettivo”.

Questa sorta di Far West moltiplica i casi di errori giudiziari nel nostro Paese, come statisticamente e doverosamente raccontato dall’associazione Errorigiudiziari.com.

L’affermazione non è peregrina se esaminiamo i numerosi casi di persone innocenti che hanno trascorso decine di anni in carcere per una frase mai detta o per una parola fraintesa.

Andrea Paoloni, il patriarca della fonetica forense italiana, denunciava che: "La confusione regna sovrana: nei tribunali si vedono ipotesi di lavoro ridicole". Queste dure parole sono condivise da Luciano Romito, professore di fonetica all’Università della Calabria e tra gli esperti più autorevoli in Italia, che ricorda episodi sconcertanti. "In un’intercettazione, dei calabresi parlavano di granate: il perito pensava che fossero bombe, ma si riferivano a melograni, in dialetto". Questa “svista” è costata mesi di carcere a degli innocenti.

Nel 2014, nel processo alla cosiddetta "Lady Asl" in cui l’imputata era la ex direttrice sanitaria dell’Asl di Bari, Lea Cosentino, un perito scrisse la frase "li prendiamo per fessi a tutti e due" al posto di "li firmiamo per evitare tutti i problemi".

Le cronache giudiziarie degli ultimi trent’anni sono popolate di trascrizioni approssimative, che snaturano il senso delle frasi captate dai microfoni. E se accade con i file audio delle conversazioni dei cosiddetti colletti bianchi, che parlano spesso un italiano altrettanto immacolato, possiamo immaginare cosa avvenga con le caaptazioni nei dialetti e vernacoli presenti nella penisola.

Raccontiamo la vita distrutta di due persone: Pietro Paolo Melis, condannato a 30 anni per il sequestro di Vanna Licheri ed Angelo Massaro, condannato a 24 anni per omicidio. Entrambi hanno sofferto anni di carcere, il primo per un riconoscimento fonetico e il secondo per una trascrizione errata di una parola anzicchè di una consonante.

Angelo Massaro ha trascorso 21 anni in carcere da innocente per la parola “muers” che in dialetto tarantino significa “ingombrante” e che è stata trasformata in “muert” che significa “morto”.

Mentre Melis ha trascorso 6787 giorni in carcere per una perizia fonetica, realizzata da un titolare di un’impresa dedicata alla formazione di DJ, sull'intercettazione ambientale raccolta dalla polizia nel settembre del '95, attraverso le microspie piazzate nella macchina di un'altra persona coinvolta nel sequestro Licheri. I due interlocutori discutono in sardo – è stato ricostruito nel corso della storia processuale – di questioni logistiche relative alla gestione dell'ostaggio. «E nche torro a... ca bi bisonzata roba de...» dice uno degli interlocutori (Ci ritorno a... perché serve roba di...). «Pessone...» (Persona...) aggiunge una seconda voce. Servono effetti per una persona, si dicono i due in un piccolo estratto del dialogo durato circa 6 secondi. Una delle due voci era stata appunto identificata erroneamente in quella di Pietro Paolo Melis. Per questa “svista” Melis ha trascorso 18 anni e 6 mesi in carcere.

Il processo di revisione ha accertato che la frase non è mai stata pronunciata da Melis, in quanto l'inflessione della voce intercettata, non corrisponde affatto al dialetto di Mamoiada e la perizia fonetica ha accertato che la voce non era dello sfortunato allevatore sardo.

Gli errori in fonetica forense non sono aneddoti isolati. Un sondaggio realizzato dal professor Romito nel 2007, interpellando una cinquantina di periti italiani, ha svelato che il 35% di loro utilizzava metodi non scientifici, secondo le linee guida fissate dalla International Association for Forensic Phonetics and Acoustics (IAFPA). Tra queste, il semplice ascolto, la screditata tecnica del voiceprint (impronta digitale vocale o confronto di sonogrammi) e una serie di altri metodi bollati come "indefinibili".

Tuttavia il problema non è esclusivamente italiano. Un questionario realizzato dall’Interpol l’anno scorso su 44 periti appartenenti a corpi di polizia di tutto il mondo ha rilevato che ben il 48% di loro utilizza, fra le altre tecniche, varianti del voiceprint (la percentuale è del 36% fra i 22 esperti Europei).

L'affidabilità di questa pratica in Italia è controversa fin dai suoi albori, quando il professore padovano Toni Negri, vicino all'area di Potere Operaio, fu in un primo momento identificato con il telefonista delle Br del caso Moro per mezzo della tecnica del voiceprint ritenuta oggi priva di base scientifica.

I motivi degli errori descritti derivano da una prassi inveterata e abusata, per le trascrizioni delle intercettazioni, l’uso da parte del trascrittore del brogliaccio dove la polizia giudiziaria annota e riassume il contenuto delle intercettazioni.

"Il brogliaccio della polizia giudiziaria viene usato dal perito come base per la sua trascrizione, e questa a sua volta viene poi usata da altri periti e consulenti: così gli errori si amplificano”, spiegava il professor Andrea Paoloni, scomparso nel 2015.

Mentre per la comparazione fonetica, tesa ad individuare l’identità dell’interlocutore, la causa principale degli errori secondo il prof. Luciano Romito è la mancanza di professionalità e l’uso di tecniche non riconosciute dalla comunità internazionale come scientifiche.

"La voce non è come il Dna o l'impronta digitale: basti pensare come cambia se si parla a un bambino o a un adulto", afferma Juana Gil Fernandez, a capo dell’Istituto Cervantes di Lione. Per questo, i periti più rigorosi parlano di similitudini fra parlatori, non d’identificazione. Ciò nonostante, in diversi casi di errore giudiziario le perizie presentano i risultati in termini d’identificazione positiva o negativa. In più, la similitudine non dimostra nulla di per sé. "Anche se trovassi due voci molto simili, dovrei domandarmi: quanto sono frequenti altre voci altrettanto simili?", spiega Geoffrey Morrison, professore di scienze del discorso forense all’Università di Aston e portabandiera dell’uso di metodi più rigorosi nella fonetica forense.

Nel luglio 2015, la European Network of Forensic Sciences Institutes (Enfsi) ha raccomandato di usare basi di dati di voci per mezzo di un metodo statistico chiamato “rapporto di verosimiglianza”. Ma secondo il sondaggio di Romito, solo il 13% dei tecnici italiani usa questo standard internazionale. Il sondaggio internazionale dell’Interpol, realizzato solo su esperti dei corpi di polizia, rivela che il 41% presenta i suoi risultati per mezzo di rapporti di verosimiglianza (oltre ad altri formati).

In conclusione, il quadro appare sconfortante e dimostra la mancanza di consapevolezza delle problematiche presenti nelle trascrizioni e nelle comparazioni vocali, continuando piuttosto ad investire enormi risorse per intercettare, ma nulla per garantire certezza scientifica alle trascrizioni.

Tutto questo è eclatante ma non viene minimamente accennato in nessuna delle relazioni di apertura dell’anno giudiziario.

Orletti, F., 2016, “La trascrizione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali: un esercizio di analisi della conversazione applicata”, in “Parlare insieme. Studi per Daniela Zorzi”, a cura di F. Gatta, pp. 49-64, Bononia University Press).

J.A. Edwards & M.D. Lampert, “Talking data: transcription and coding in discourse research”, pp. 91-121, NY: Lawrence Erlbaum Associates.

Geoffrey Morrison Aston University: Link.

Iacopo Benevieri, Audio ergo transcribo su Giustizia a Parole 20.02.2020 e La Riforma sulle intercettazioni e il linguaggio in esilio su Giustizia a parole 02.03.2020: Link.

Gil Fernandez, J. - E. San Segundo (Eds.) (2015). La percezione della parola. Numero monografico, Journal of the Spanish Linguistics Society, 41(1). Madrid: Società spagnola di linguistica.

Gil Fernandez, J. - E. San Segundo (2015). "Nuovi contributi allo studio della percezione del parlato", in J. Gil Fernández e E. San Segundo (Eds.) Percezione del linguaggio (pp. 7-21). Numero monografico, Gazzetta spagnola di linguistica, 41(1). Madrid: Società spagnola di linguistica.

Andrea Paoloni Davide Zavattaro, “Intercettazioni telefoniche e ambientali“, Centro Scientifico Editore, 2007.

Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, cofondatori dell’associazione Errorigiudiziari.com, da 25 anni punto di riferimento imprescindibile per capire le cause degli errori giudiziari in Italia.

Luciano Romito, “Manuale di Linguistica Forense“, Bulzoni Editore, 2013.

Mario Malcangi, “Informatica applicata al suono“, Libreria Clup, 2004.