“Cashback”: davvero utile alla lotta all’evasione fiscale?

alba di cemento
Ph. Luca Martini / alba di cemento

Abstract

La misura ipotizzata contiene rischi per la privacy dei cittadini, nonché per la libertà d’impresa, in particolare, sul sistema dei pagamenti.

 

Indice:

1. “Cashback” ed evasione fiscale

2. Le “controindicazioni” delle carte di credito

 

1. Cashback” ed evasione fiscale

L’istituto del c.d. “cashback”, tra le proposte del Governo nella strategia antievasione, consiste nel restituire ai consumatori il 10% delle spese pagate con carte di credito, per un massimo di 3.000 euro annui. Questa cifra si dovrà però raggiungere con un numero minimo di operazioni, almeno 50, per evitare il banale escamotage che il tetto si raggiunga con poche transazioni di importo più consistente.

Questa impostazione contiene già una serie di vizi di fondo, tra i quali innanzitutto quello della modalità di restituzione del denaro speso; nonché lo scarso effetto incentivante all’utilizzo di strumenti elettronici di pagamento.

Di contro, è difficile immaginare come l’evasione “reale” possa essere intaccata da questa costrizione all’utilizzo di strumenti elettronici. Al vero evasore fiscale, infatti, non cambia certo la prospettiva di un guadano così basso a fronte alla possibilità di usufruire di tecniche consolidate e molto più sofisticate di elusione degli obblighi tributari.

Giova ricordare, infatti, che per raggiungere gli importi che il nostro Paese annovera tra quelli oggetto di evasione, le operazioni poste in essere non sono certo quelle relative ai consumi ordinari, bensì quelle ricadenti nell’attività d’impresa e nelle attività finanziarie internazionali. Tra i quali, si ricordano, i veicoli societari, soprattutto esteri, le frodi all’IVA comunitaria, perlopiù realizzati con fatturazioni false e regolate attraverso gli ordinari canali bancari.

 

2. Le “controindicazioni” delle carte di credito

Le carte di credito costituiscono sì un utilissimo strumento di regolazione degli acquisti, ma con alcune controindicazioni. Prima fra tutte, l’attribuzione dei costi per il loro utilizzo, poiché è indubbio che un pagamento “costa” di più se fatto con carta. Un costo che grava soprattutto sugli esercenti e i detentori dei POS, che pagano canoni annui e commissioni nient’affatto economiche. Commissioni che si riverberano inesorabilmente sui costi per la clientela, e questo profilo, nonostante gli sforzi profusi dai governi in questi ultimi anni, non è stato significativamente migliorato.

In un paper del giugno di quest’anno, pubblicato dalla Banca d’Italia, si afferma che le frodi su carte di pagamento nel mondo hanno raggiunto, nel 2018, i 25 miliardi di dollari, e sono tutt’ora in crescita. Per i Paesi dell’area UE, il valore in euro delle transazioni fraudolente è cresciuto, nel periodo 2012/2018, del 35,3 %. Sono numeri altissimi che contribuiscono a smontare la diffusa idea che le carte di credito siano più sicure del denaro contante.

In ultima istanza, occorre scongiurare il rischio che battaglie ideologiche contro altri strumenti di pagamento (contante) portino ad una limitazione delle libertà fondamentali dei cittadini.