Cassazione Civile: fondamenti e limiti del giornalismo di inchiesta
Si potrebbe definire così la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la pronuncia con la quale la Corte d’appello aveva dichiarato di contenuto non diffamatorio gli articoli pubblicati da un quotidiano a seguito di una inchiesta promossa e svolta da alcuni giornalisti, che avevano presentato a laboratori della capitale campioni di tè per le opportune analisi, dichiarando trattarsi di urina, uno dei quali aveva "confermato" trattarsi di urina.
Vale la pena di seguire la parte centrale della motivazione.
"Deve, innanzitutto, rilevarsi che nel caso di specie si verte in tema di c.d. giornalismo di inchiesta, espressione più alta e nobile dell’attività di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale (attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse. Con il giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene "autonomamente", "direttamente" e "attivamente" da parte del professionista e non mediata da "fonti" esterne mediante la ricezione "passiva" di informazioni.
Il rilievo del giornalismo di inchiesta, anch’esso ovviamente espressione del diritto insopprimibile e fondamentale della libertà di informazione e di critica, corollario dell’art. 21 Cost. (secondo cui "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione") nonché dell’art. 2 della legge professionale n. 69/1963 (dedicato alla deontologia del giornalista nell’ambito dell’Ordinamento della professione di giornalista), è stato, tra l’altro, riconosciuto dalla Corte di Strasburgo (che, in particolare, con sentenza 27.3.1996 ha riconosciuto il diritto di liberamente ricercare le notizie sia l’esigenza di protezione delle fonti giornalistiche) e dalla Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma 18 luglio 1993 dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale dei giornalisti) che, tra i principi ispiratori, prevede testualmente che "il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato".
In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell’attività di informazione, quale genus, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte (su cui, tra le altre, Cass. n.1205/2007), fermi restando i limiti dell’interesse pubblico alla notizia (tra le altre, Cass. n. 7261/2008), e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell’esposizione (sul punto, tra le altre, Cass. n.2271/2005); è, infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l’esigenza di valutare l’attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell’ "attingere" direttamente l’informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali tra l’altro menzionati nell’ordinamento ex lege n.69/63 e nella sopra richiamata Carta dei doveri (con particolare riferimento alla Premessa). Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione all’onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorra l’oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.
Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Viene dunque in evidenza un complessivo quadro disciplinare che rende l’attività di informazione chiaramente prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.
In particolare, è da considerare in proposito che, pur in presenza della rilevanza costituzionale della tutela della persona e della sua riservatezza, con specifico riferimento all’art. 15 Cost., detta prevalenza del fondamentale e insopprimibile diritto all’informazione si evince da un duplice ordine di considerazioni:
a) innanzitutto l’art. 1, 2° comma, Cost., nell’affermare che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranità che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici (art. 1, 1° comma, Cost.), a tal fine predisposti dall’ordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano all’attività di informazione in questione (e quindi a maggior ragione, per quanto esposto); vale a dire che intanto il popolo può ritenersi costituzionalmente "sovrano" (nel senso rigorosamente tecnico-giuridico di tale termine) in quanto venga, al fine di un compiuto e incondizionato formarsi dell’opinione pubblica, senza limitazioni e restrizioni di alcun genere, pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di interesse pubblico.
b) Inoltre non può non sottovalutarsi che lo stesso legislatore ordinario, sulla base dell’ampia normativa sopra richiamata, ha ricondotto reputazione e "privacy" nell’alveo delle "eccezioni" rispetto al generale principio della tutela dell’informazione tant’è vero che in proposito, nello stesso Codice deontologico dei giornalisti (relativo al trattamento dei dati personali) all’art. 6 si legge testualmente che "la divulgazione di notizie di rilevante in eresse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti o opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti"; come anche deve ricordarsi che con Risoluzione dell’assemblea n.1003 del là luglio 1993, relativa all’etica del giornalismo, il Consiglio d’Europa ha tra l’altro affermato che “i mezzi di comunicazione sociale assumono, rei confronti dei cittadini e della società, una responsabilità morale che deve essere sottolineata, segnatamente in un momento in cui l’informazione e la comunicazione rivestono una grande importanza sia per lo sviluppo della personalità dei cittadini, sia per l’evoluzione della società e della vita democratica".
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 9 luglio 2010, n. 16236: Giornalismo di inchiesta - Diffamazione a mezzo stampa)
Si potrebbe definire così la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la pronuncia con la quale la Corte d’appello aveva dichiarato di contenuto non diffamatorio gli articoli pubblicati da un quotidiano a seguito di una inchiesta promossa e svolta da alcuni giornalisti, che avevano presentato a laboratori della capitale campioni di tè per le opportune analisi, dichiarando trattarsi di urina, uno dei quali aveva "confermato" trattarsi di urina.
Vale la pena di seguire la parte centrale della motivazione.
"Deve, innanzitutto, rilevarsi che nel caso di specie si verte in tema di c.d. giornalismo di inchiesta, espressione più alta e nobile dell’attività di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale (attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse. Con il giornalismo di inchiesta l’acquisizione della notizia avviene "autonomamente", "direttamente" e "attivamente" da parte del professionista e non mediata da "fonti" esterne mediante la ricezione "passiva" di informazioni.
Il rilievo del giornalismo di inchiesta, anch’esso ovviamente espressione del diritto insopprimibile e fondamentale della libertà di informazione e di critica, corollario dell’art. 21 Cost. (secondo cui "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione") nonché dell’art. 2 della legge professionale n. 69/1963 (dedicato alla deontologia del giornalista nell’ambito dell’Ordinamento della professione di giornalista), è stato, tra l’altro, riconosciuto dalla Corte di Strasburgo (che, in particolare, con sentenza 27.3.1996 ha riconosciuto il diritto di liberamente ricercare le notizie sia l’esigenza di protezione delle fonti giornalistiche) e dalla Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma 18 luglio 1993 dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale dei giornalisti) che, tra i principi ispiratori, prevede testualmente che "il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell’editore, del governo o di altri organismi dello Stato".
In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell’attività di informazione, quale genus, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte (su cui, tra le altre, Cass. n.1205/2007), fermi restando i limiti dell’interesse pubblico alla notizia (tra le altre, Cass. n. 7261/2008), e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell’esposizione (sul punto, tra le altre, Cass. n.2271/2005); è, infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l’esigenza di valutare l’attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell’ "attingere" direttamente l’informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali tra l’altro menzionati nell’ordinamento ex lege n.69/63 e nella sopra richiamata Carta dei doveri (con particolare riferimento alla Premessa). Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione all’onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorra l’oggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.
Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Viene dunque in evidenza un complessivo quadro disciplinare che rende l’attività di informazione chiaramente prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.
In particolare, è da considerare in proposito che, pur in presenza della rilevanza costituzionale della tutela della persona e della sua riservatezza, con specifico riferimento all’art. 15 Cost., detta prevalenza del fondamentale e insopprimibile diritto all’informazione si evince da un duplice ordine di considerazioni:
a) innanzitutto l’art. 1, 2° comma, Cost., nell’affermare che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranità che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici (art. 1, 1° comma, Cost.), a tal fine predisposti dall’ordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano all’attività di informazione in questione (e quindi a maggior ragione, per quanto esposto); vale a dire che intanto il popolo può ritenersi costituzionalmente "sovrano" (nel senso rigorosamente tecnico-giuridico di tale termine) in quanto venga, al fine di un compiuto e incondizionato formarsi dell’opinione pubblica, senza limitazioni e restrizioni di alcun genere, pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di interesse pubblico.
b) Inoltre non può non sottovalutarsi che lo stesso legislatore ordinario, sulla base dell’ampia normativa sopra richiamata, ha ricondotto reputazione e "privacy" nell’alveo delle "eccezioni" rispetto al generale principio della tutela dell’informazione tant’è vero che in proposito, nello stesso Codice deontologico dei giornalisti (relativo al trattamento dei dati personali) all’art. 6 si legge testualmente che "la divulgazione di notizie di rilevante in eresse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti o opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti"; come anche deve ricordarsi che con Risoluzione dell’assemblea n.1003 del là luglio 1993, relativa all’etica del giornalismo, il Consiglio d’Europa ha tra l’altro affermato che “i mezzi di comunicazione sociale assumono, rei confronti dei cittadini e della società, una responsabilità morale che deve essere sottolineata, segnatamente in un momento in cui l’informazione e la comunicazione rivestono una grande importanza sia per lo sviluppo della personalità dei cittadini, sia per l’evoluzione della società e della vita democratica".
La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 9 luglio 2010, n. 16236: Giornalismo di inchiesta - Diffamazione a mezzo stampa)