Cassazione Civile: ricettazione, incauto acquisto, sanzioni amministrative e depenalizzazione

Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Mondovì, con sentenza del 19 febbraio 2003, in accoglimento dell’opposizione proposta il 30 ottobre 2001 dalla Banca Regionale Europea S.p.A. avverso il decreto n. 40782 del 25 settembre 2001, con il quale il Dirigente Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva ingiunto alla società il pagamento della sanzione amministrativa di L. 13.640.887.000 per la violazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, artt. 3 e 5, avendo omesso di segnalare le operazioni finanziarie eseguite da M.U., S. S. presso la filiale di Mondovì, annullò il Decreto e compensò tra le parti le spese del giudizio.

Premessa la tempestività della notifica dell’accertamento della violazione in data 28 novembre 1998, osservò il giudice che le operazioni segnalate dalla G.d.F. il (OMISSIS) rientravano in un “giro di assegni” che la Banca aveva consentito confidando in un miglioramento della situazione economica dei soggetti coinvolti nell’operazione, “per cui alla luce delle circostanze oggettive e soggettive dalla stessa conosciute tali operazioni non apparivano sospette nè tali da ingenerare il dubbio che il denaro oggetto delle medesime potesse provenire da uno dei delitti di cui agli artt. 648 - bis e ter, c.p..” Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza e la società Banca Regionale Europea ha resistito con controricorso notificato il 29 marzo 2004 ed illustrato da successiva memoria, eccependo l’inammissibilità del ricorso e proponendo contestualmente un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta, a norma dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza e va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere stata l’impugnazione proposta dopo il decorso del termine, previsto dall’art. 325 c.p.c., di sessanta giorni dalla notifica della sentenza nel domicilio eletto dal ricorrente presso la cancelleria del giudice a quo.

Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa le previsioni della L. n. 689 del 1981, art. 23, commi 2 e 4, comportano, infatti, una deroga al R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, comma 2, sull’obbligatoria notifica delle sentenze presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria che le ha pronunciate nel solo caso di contumacia dell’opposta o di sua costituzione personale o tramite un funzionario (cfr.: cass, civ., sez. un., sent. 24 agosto 1999, n. 599).

Nel caso di specie, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, pur essendosi inizialmente costituito personalmente, è stato successivamente difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, intervenuta con il deposito di una memoria, e la circostanza, evidenziata anche nella intestazione della decisione, escludeva che la sentenza potesse essere notificata ai fini del decorso del termine breve per la sua impugnazione presso la cancelleria del tribunale, anzichè presso l’Avvocatura territorialmente competente, presso la quale per effetto della difesa prestata l’Amministrazione veniva ad essere domiciliata ex lege.

Con l’unico motivo, il ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, conv. in L. n. 197 del 1991, in relazionò all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè della normativa di cui al D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153, e della dir. n. 91/308/CEE. Lamenta che la sentenza impugnata, cori una interpretazione formalistica delle norme e non rispondente alle finalità perseguite dal legislatore, aveva disconosciuto la sufficienza anche del solo sospetto della provenienza illecita delle somme a fare sorgere l’obbligo di segnalazione delle operazioni che le concernevano, e, oltre ad escludere erroneamente da dette operazioni quelle di prelievo, con una motivazione carente aveva negato che potesse destare sospetto di riciclaggio un sistematico “giro assegni”, che la banca aveva consentito nonostante fosse a conoscenza che la provenienza delle somme movimentate non trovava giustificazione nella compromessa capacità patrimoniale dei titolari dei conti correnti interessati dal giro dei loro familiari.

Il motivo, che denuncia sostanzialmente anche un vizio di motivazione, è fondato.

Il D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2, (Provvedimenti urgenti per ... prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio ), nel testo risultante dalla conv. in L. n. 197 del 1991, e dalla mod. con D.Lgs. n. 153 del 1997 (Integrazione dell’attuazione della dir. n. 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita) e D.Lgs. n. 56 del 2004, pone a carico degli operatori degli intermediari bancari e finanziari l’obbligo di segnalare ai titolari delle attività (e questi ultimi di trasmettere le segnalazioni ritenute fondate all’Ufficio italiano dei cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui era riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da taluno dei reati indicati nell’art. 648 - bis c.p. (e art. 648 - ter c.p.); aggiunge che tra dette caratteristiche è compresa, in particolare, l’effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall’attività svolta da parte della stessa persona, ovvero, se ne abbia consapevolezza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare, o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa.

Onde ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed evitare forme di “arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge”, e per assicurare la “omogeneità di comportamento del personale degli intermediari”, la Banca d’Italia, in applicazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 4, comma 3, lett. c), ha emanato nel febbraio 1993 delle “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio (cd. decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, art. 3 - bis, comma 4, (aggiunto dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della dir. n. 91/208/CEE. Con tali istruzioni l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie, in esse ricomprendendo anche l’insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, in presenza delle quali delle operazioni pur di per se neutre, potendo dissimulare una attività di riciclaggio , vanno rapportate alla capacità economica od all’attività del cliente, ed impongono all’operatore dell’intermediario l’effettuazione di specifiche indagini per valutare, in base alle altre notizie di cui dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale.

Detta valutazione, anche se costituisce il risultato di un apprezzamento soggettivo, deve avere natura impersonale, come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa “induca a ritenere ... che il denaro, i beni o le utilità ... possano provenire” da delitto e, conseguentemente, la nozione di sospetto, nel quale essa si deve concretizzare per imporre l’adempimento all’obbligo di segnalazione dell’operazione, va individuata tenendo conto che la segnalazione ha la funzione di mero filtro, attraversato il quale l’Ufficio italiano dei cambi esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che può concludersi, a norma del D.L. n. 143 del 1991, art. 3, comma 4, lett. f), anche con una archiviazione in via amministrativa che precede qualsiasi indagine di polizia giudiziaria.

La segnalazione delle operazioni recanti anomalie formali non è subordinata, dunque, all’evidenziatone dalle indagini dell’operatore degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure all’esclusioni in base ad un personale convincimento dello stesso dell’estraneità dell’operazione ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio puramente tecnico sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggetti vi e soggettivi che le caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire la conversione, il trasferimento, l’occultamento, la dissimulazione, l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazioni di beni provenienti da una attività criminosa o da una partecipazione a tale attività.

A tale principio non si è attenuto la sentenza impugnata che, richiamandosi all’opportunità di non creare un effetto “ingolfamento” dell’Ufficio italiano cambi, ha escluso l’esistenza dell’obbligo di segnalazioni di operazioni formalmente anomale, secondo gli indici di anomalia ricavabili dalla casistica delle istruzioni operative della Banca d’Italia, consistite nell’apertura di n. 121 conti correnti bancari tutti riconducibili ad un solo soggetto e nella loro movimentazione mediante circa 12.000 operazioni, nell’emissione di numerosi assegni privi di copertura, nell’immediata monetizzazione fuori conto delle somme prelevate e nella mancata rispondenza tra le cifre indicate e quelle riscosse, sul solo rilievo della deduzione difensiva dell’opponente che le stesse erano conosciute e consentite dall’intermediario quale strumento di finanziamento dell’attività del correntista, senza accertare se esse non inducessero a ritenere, secondo i comuni criteri interpretativi dell’aspetto economico dell’attività bancaria evidenziata e tenuto conto dei rilevantissimi importi che complessivamente ne avevano costituito l’oggetto, il sospetto della movimentazione di flussi di denaro diversi da quelli asseritamene a circolo chiuso derivanti da un “giro di assegni” e la necessità che la fondatezza di un tale sospetto fosse vagliata non soltanto dall’istituto bancario che ne era conoscenza e l’aveva consentito, ma anche dall’Autorità amministrativa a ciò preposta.

Analogamente la decisione non resiste alla censura di vizio di motivazione risultando in essa affrontata soltanto con l’affermazione che l’impostazione difensiva era troppo semplicistica, la questione relativa al valore sintomatico del rilevante numero delle operazioni bancarie, della monetizzazione fuori conto delle operazioni di prelievo e della mancata rispondenza tra le cifre indicati e quelle riscosse, con la quale l’Amministrazione opposta aveva sottolineato l’impossibilità di individuare l’origine del flusso di denaro, eventualmente moltiplicato con l’immediato incasso di assegni emessi allo scoperto, che era stato movimentato senza alcuna apparente garanzia da un soggetto conclamatamente colpito da una crisi finanziaria. Con l’unico motivo, il ricorso incidentale condizionato deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, nonchè l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, avendo la sentenza escluso la tardività della contestazione della violazione, pur essendo decorso tra la comunicazione del rapporto della G.d.F. al Ministero in data (OMISSIS) e la notificazione il 28 novembre 1998 degli estremi dell’accertamento all’interessato il termine di novanta giorni previsto a pena di decadenza dal detto articolo e non essendo giustificata l’inerzia dell’Amministrazione protrattasi per cinque mesi. Il motivo è infondato.

Costruisce jus receptum in tema di sanzioni amministrative che, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata, la conclusione dell’accertamento della violazione, in relazione alla quale collocareil dies a quo del termine di novanta giorni stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi della violazione, non coincide con la conoscenza dei fatti nella loro materialità, ma si perfeziona con l’acquisizione da parte dell’autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto di tutti i dati afferenti gli elementi oggettivo e soggettivo della violazione e con la valutazione di essi indispensabile ai fini di una corretta formulazione della contestazione, ovvero con l’ingiustificato inutile decorso del tempo che, in relazione alla complessità della fattispecie, sia ritenuto necessario per dette acquisizione e valutazione (cfr.: Cass. civ., sez. n. sent, 30 maggio 2006, n. 12830; Cass. civ., sez. 1^, sent. 4 febbraio 2005, n. 2363; Cass. civ., sez. 1^, sent. 19 novembre 2003, n. 17534).

Il fondamentale principio sancito dalla norma, che impone di contestare l’infrazione, quando non è possibile farlo immediatamente, entro un preciso termine di decadenza, decorrente dall’accertamento, onde consentire con la piena esplicazione delle possibilità di difesa anche in sede giudiziaria l’esercizio da parte dell’interessato del diritto di difesa, non vale, infatti, a superare il rilievo che la pura constatazione dei fatti nella loro materialità non coincide necessariamente con l’accertamento e che vi sono ambiti, come quello del riciclaggio , nei quali, richiedendo l’accertamento una attività istruttoria e valutativa successiva alla constatazione, l’osservanza del termine deve essere individuato secondo le particolarità dei singoli casi e indipendentemente dalla data compilazione della nota informativa degli organi al controllo sull’osservanza delle disposizioni di vigilanza e da quella di ricezione della stessa da parte dell’Autorità competente all’accertamento.

A tale principio si è attenuta la sentenza impugnata, che con un accertamento di fatto non sindacabile di insufficienza od illogicità, ha ravvisato nell’oggetto della segnalazione della G.d.F. una particolare complessità, della quale ha dato ampiamente conto nell’esporre gli argomenti a sostegno della decisione, e della congruità del tempo trascorso tra la ricezione del rapporto e la notifica degli estremi della violazione, dovendo il Ministero verificare la sussistenza degli elementi accertati, qualificare la violazione ed identificarne i responsabili.

Alla fondatezza dell’unico motivo seguono l’accoglimento del ricorso principale e la cassazione la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Torino, che, previa nuova valutazione dei fatti alla luce delle carenze motivazio-nale rilevate, applicherà il principio che: “la segnalazione di operazioni, stabilita dal D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2, conv. in L. n. 157 del 1991, non è subordinata all’evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure all’esclusioni in base ad un loro personale convincimento dell’estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio”.

L’infondatezza dell’unico motivo comporta, invece, il rigetto del ricorso incidentale.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi.

Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale condizionato.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio il 7 marzo 2007.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2007

Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Mondovì, con sentenza del 19 febbraio 2003, in accoglimento dell’opposizione proposta il 30 ottobre 2001 dalla Banca Regionale Europea S.p.A. avverso il decreto n. 40782 del 25 settembre 2001, con il quale il Dirigente Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva ingiunto alla società il pagamento della sanzione amministrativa di L. 13.640.887.000 per la violazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, artt. 3 e 5, avendo omesso di segnalare le operazioni finanziarie eseguite da M.U., S. S. presso la filiale di Mondovì, annullò il Decreto e compensò tra le parti le spese del giudizio.

Premessa la tempestività della notifica dell’accertamento della violazione in data 28 novembre 1998, osservò il giudice che le operazioni segnalate dalla G.d.F. il (OMISSIS) rientravano in un “giro di assegni” che la Banca aveva consentito confidando in un miglioramento della situazione economica dei soggetti coinvolti nell’operazione, “per cui alla luce delle circostanze oggettive e soggettive dalla stessa conosciute tali operazioni non apparivano sospette nè tali da ingenerare il dubbio che il denaro oggetto delle medesime potesse provenire da uno dei delitti di cui agli artt. 648 - bis e ter, c.p..” Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza e la società Banca Regionale Europea ha resistito con controricorso notificato il 29 marzo 2004 ed illustrato da successiva memoria, eccependo l’inammissibilità del ricorso e proponendo contestualmente un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta, a norma dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza e va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere stata l’impugnazione proposta dopo il decorso del termine, previsto dall’art. 325 c.p.c., di sessanta giorni dalla notifica della sentenza nel domicilio eletto dal ricorrente presso la cancelleria del giudice a quo.

Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa le previsioni della L. n. 689 del 1981, art. 23, commi 2 e 4, comportano, infatti, una deroga al R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, comma 2, sull’obbligatoria notifica delle sentenze presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria che le ha pronunciate nel solo caso di contumacia dell’opposta o di sua costituzione personale o tramite un funzionario (cfr.: cass, civ., sez. un., sent. 24 agosto 1999, n. 599).

Nel caso di specie, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, pur essendosi inizialmente costituito personalmente, è stato successivamente difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, intervenuta con il deposito di una memoria, e la circostanza, evidenziata anche nella intestazione della decisione, escludeva che la sentenza potesse essere notificata ai fini del decorso del termine breve per la sua impugnazione presso la cancelleria del tribunale, anzichè presso l’Avvocatura territorialmente competente, presso la quale per effetto della difesa prestata l’Amministrazione veniva ad essere domiciliata ex lege.

Con l’unico motivo, il ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, conv. in L. n. 197 del 1991, in relazionò all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè della normativa di cui al D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153, e della dir. n. 91/308/CEE. Lamenta che la sentenza impugnata, cori una interpretazione formalistica delle norme e non rispondente alle finalità perseguite dal legislatore, aveva disconosciuto la sufficienza anche del solo sospetto della provenienza illecita delle somme a fare sorgere l’obbligo di segnalazione delle operazioni che le concernevano, e, oltre ad escludere erroneamente da dette operazioni quelle di prelievo, con una motivazione carente aveva negato che potesse destare sospetto di riciclaggio un sistematico “giro assegni”, che la banca aveva consentito nonostante fosse a conoscenza che la provenienza delle somme movimentate non trovava giustificazione nella compromessa capacità patrimoniale dei titolari dei conti correnti interessati dal giro dei loro familiari.

Il motivo, che denuncia sostanzialmente anche un vizio di motivazione, è fondato.

Il D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2, (Provvedimenti urgenti per ... prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio ), nel testo risultante dalla conv. in L. n. 197 del 1991, e dalla mod. con D.Lgs. n. 153 del 1997 (Integrazione dell’attuazione della dir. n. 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita) e D.Lgs. n. 56 del 2004, pone a carico degli operatori degli intermediari bancari e finanziari l’obbligo di segnalare ai titolari delle attività (e questi ultimi di trasmettere le segnalazioni ritenute fondate all’Ufficio italiano dei cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui era riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da taluno dei reati indicati nell’art. 648 - bis c.p. (e art. 648 - ter c.p.); aggiunge che tra dette caratteristiche è compresa, in particolare, l’effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall’attività svolta da parte della stessa persona, ovvero, se ne abbia consapevolezza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare, o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa.

Onde ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed evitare forme di “arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge”, e per assicurare la “omogeneità di comportamento del personale degli intermediari”, la Banca d’Italia, in applicazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 4, comma 3, lett. c), ha emanato nel febbraio 1993 delle “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio (cd. decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, art. 3 - bis, comma 4, (aggiunto dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della dir. n. 91/208/CEE. Con tali istruzioni l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie, in esse ricomprendendo anche l’insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, in presenza delle quali delle operazioni pur di per se neutre, potendo dissimulare una attività di riciclaggio , vanno rapportate alla capacità economica od all’attività del cliente, ed impongono all’operatore dell’intermediario l’effettuazione di specifiche indagini per valutare, in base alle altre notizie di cui dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale.

Detta valutazione, anche se costituisce il risultato di un apprezzamento soggettivo, deve avere natura impersonale, come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa “induca a ritenere ... che il denaro, i beni o le utilità ... possano provenire” da delitto e, conseguentemente, la nozione di sospetto, nel quale essa si deve concretizzare per imporre l’adempimento all’obbligo di segnalazione dell’operazione, va individuata tenendo conto che la segnalazione ha la funzione di mero filtro, attraversato il quale l’Ufficio italiano dei cambi esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che può concludersi, a norma del D.L. n. 143 del 1991, art. 3, comma 4, lett. f), anche con una archiviazione in via amministrativa che precede qualsiasi indagine di polizia giudiziaria.

La segnalazione delle operazioni recanti anomalie formali non è subordinata, dunque, all’evidenziatone dalle indagini dell’operatore degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure all’esclusioni in base ad un personale convincimento dello stesso dell’estraneità dell’operazione ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio puramente tecnico sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggetti vi e soggettivi che le caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire la conversione, il trasferimento, l’occultamento, la dissimulazione, l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazioni di beni provenienti da una attività criminosa o da una partecipazione a tale attività.

A tale principio non si è attenuto la sentenza impugnata che, richiamandosi all’opportunità di non creare un effetto “ingolfamento” dell’Ufficio italiano cambi, ha escluso l’esistenza dell’obbligo di segnalazioni di operazioni formalmente anomale, secondo gli indici di anomalia ricavabili dalla casistica delle istruzioni operative della Banca d’Italia, consistite nell’apertura di n. 121 conti correnti bancari tutti riconducibili ad un solo soggetto e nella loro movimentazione mediante circa 12.000 operazioni, nell’emissione di numerosi assegni privi di copertura, nell’immediata monetizzazione fuori conto delle somme prelevate e nella mancata rispondenza tra le cifre indicate e quelle riscosse, sul solo rilievo della deduzione difensiva dell’opponente che le stesse erano conosciute e consentite dall’intermediario quale strumento di finanziamento dell’attività del correntista, senza accertare se esse non inducessero a ritenere, secondo i comuni criteri interpretativi dell’aspetto economico dell’attività bancaria evidenziata e tenuto conto dei rilevantissimi importi che complessivamente ne avevano costituito l’oggetto, il sospetto della movimentazione di flussi di denaro diversi da quelli asseritamene a circolo chiuso derivanti da un “giro di assegni” e la necessità che la fondatezza di un tale sospetto fosse vagliata non soltanto dall’istituto bancario che ne era conoscenza e l’aveva consentito, ma anche dall’Autorità amministrativa a ciò preposta.

Analogamente la decisione non resiste alla censura di vizio di motivazione risultando in essa affrontata soltanto con l’affermazione che l’impostazione difensiva era troppo semplicistica, la questione relativa al valore sintomatico del rilevante numero delle operazioni bancarie, della monetizzazione fuori conto delle operazioni di prelievo e della mancata rispondenza tra le cifre indicati e quelle riscosse, con la quale l’Amministrazione opposta aveva sottolineato l’impossibilità di individuare l’origine del flusso di denaro, eventualmente moltiplicato con l’immediato incasso di assegni emessi allo scoperto, che era stato movimentato senza alcuna apparente garanzia da un soggetto conclamatamente colpito da una crisi finanziaria. Con l’unico motivo, il ricorso incidentale condizionato deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, nonchè l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, avendo la sentenza escluso la tardività della contestazione della violazione, pur essendo decorso tra la comunicazione del rapporto della G.d.F. al Ministero in data (OMISSIS) e la notificazione il 28 novembre 1998 degli estremi dell’accertamento all’interessato il termine di novanta giorni previsto a pena di decadenza dal detto articolo e non essendo giustificata l’inerzia dell’Amministrazione protrattasi per cinque mesi. Il motivo è infondato.

Costruisce jus receptum in tema di sanzioni amministrative che, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata, la conclusione dell’accertamento della violazione, in relazione alla quale collocareil dies a quo del termine di novanta giorni stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi della violazione, non coincide con la conoscenza dei fatti nella loro materialità, ma si perfeziona con l’acquisizione da parte dell’autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto di tutti i dati afferenti gli elementi oggettivo e soggettivo della violazione e con la valutazione di essi indispensabile ai fini di una corretta formulazione della contestazione, ovvero con l’ingiustificato inutile decorso del tempo che, in relazione alla complessità della fattispecie, sia ritenuto necessario per dette acquisizione e valutazione (cfr.: Cass. civ., sez. n. sent, 30 maggio 2006, n. 12830; Cass. civ., sez. 1^, sent. 4 febbraio 2005, n. 2363; Cass. civ., sez. 1^, sent. 19 novembre 2003, n. 17534).

Il fondamentale principio sancito dalla norma, che impone di contestare l’infrazione, quando non è possibile farlo immediatamente, entro un preciso termine di decadenza, decorrente dall’accertamento, onde consentire con la piena esplicazione delle possibilità di difesa anche in sede giudiziaria l’esercizio da parte dell’interessato del diritto di difesa, non vale, infatti, a superare il rilievo che la pura constatazione dei fatti nella loro materialità non coincide necessariamente con l’accertamento e che vi sono ambiti, come quello del riciclaggio , nei quali, richiedendo l’accertamento una attività istruttoria e valutativa successiva alla constatazione, l’osservanza del termine deve essere individuato secondo le particolarità dei singoli casi e indipendentemente dalla data compilazione della nota informativa degli organi al controllo sull’osservanza delle disposizioni di vigilanza e da quella di ricezione della stessa da parte dell’Autorità competente all’accertamento.

A tale principio si è attenuta la sentenza impugnata, che con un accertamento di fatto non sindacabile di insufficienza od illogicità, ha ravvisato nell’oggetto della segnalazione della G.d.F. una particolare complessità, della quale ha dato ampiamente conto nell’esporre gli argomenti a sostegno della decisione, e della congruità del tempo trascorso tra la ricezione del rapporto e la notifica degli estremi della violazione, dovendo il Ministero verificare la sussistenza degli elementi accertati, qualificare la violazione ed identificarne i responsabili.

Alla fondatezza dell’unico motivo seguono l’accoglimento del ricorso principale e la cassazione la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Torino, che, previa nuova valutazione dei fatti alla luce delle carenze motivazio-nale rilevate, applicherà il principio che: “la segnalazione di operazioni, stabilita dal D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2, conv. in L. n. 157 del 1991, non è subordinata all’evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio e neppure all’esclusioni in base ad un loro personale convincimento dell’estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio”.

L’infondatezza dell’unico motivo comporta, invece, il rigetto del ricorso incidentale.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi.

Accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale condizionato.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio il 7 marzo 2007.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2007