Cassazione Civile: validi i patti parasociali a tempo indeterminato ante riforma

"È valido il patto parasociale avente ad oggetto l’espressione del voto nell’assemblea di una società per azioni, chiamata a nominare gli amministratori, ancorché non sia stata prefissata la durata del vincolo assunto dalle parti ed operi perciò il principio generale in forza del quale ad ogni partecipante spetta il diritto di recedere unilateralmente dal patto per giusta causa o con congruo preavviso; con la conseguenza che il partecipante il quale presenti all’assemblea una lista di candidati alla carica amministrativa di contenuto incompatibile con il rispetto del patto e poi esprima il proprio voto in contrasto con gli obblighi derivanti dall’adesione al patto medesimo può essere chiamato dalle altre parti a risarcire i danni conseguenti al suo inadempimento".

E’ questo il principio di diritto elaborato dalla Cassazione in un causa avente ad oggetto un patto parasociale tra soci di un s.p.a., per la nomina di amministratori, risalente al 1988, le cui pattuizioni erano state violate nel corso di un’assemblea del 1997. Pertanto, come ha ricordato la stessa Cassazione "alla fattispecie in esame non risulta possibile applicare le disposizioni dettate, in tema di patti parasociali, dai vigenti artt. 2341 - bis e segg. c.c., introdotte dal d. lgs. n. 6 del 2003 in epoca successiva alla stipulazione del patto di cui si discute e certamente prive di valenza retroattiva".

La Cassazione ha aderito ad un proprio precedente orientamento. In particolare, secondo la Cassazione "che patti parasociali come quello in esame, la cui natura atipica impone di vagliarne la meritevolezza, a norma dell’art. 1322, comma 2, c.c., possano non superare tale vaglio quando i vincoli obbligatori in essi previsti non abbiano alcun limite di tempo predeterminato, atteso il generale disfavore dell’ordinamento per il protrarsi indefinito di vincoli siffatti, è principio anch’esso già ripetutamente affermato nelle sentenze di questa corte cui sopra s’è fatto cenno: in particolare nella sentenza n. 9975 del 1995 ed in quella n. 14865 del 2001. Mentre però la prima di tali pronunce ne ha tratto la conseguenza dell’invalidità del patto nel suo insieme, la seconda è pervenuta ad una conclusione meno drastica ed ha reputato che il patto resti valido ma che, in coerenza con il principio generale di buona fede stabilito dall’art. 1375 c.c., esso debba essere integrato dall’implicita quanto ineludibile previsione del diritto di recesso unilaterale di ciascun partecipante, con obbligo di preavviso o per giusta causa. Non v’è ragione per discostarsi ora da quest’ultimo e più recente indirizzo, che appare coerente con la più generale affermazione secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, in sintonia con il già richiamato principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (si vedano Cass. n. 18508 del 2005, n. 6427 del 1998, n. 8360 del 1996 e n. 4507 del 1993).

(Corte di Cassazione - Sezione Prima, Sentenza 22 marzo 2010, n.6898).

"È valido il patto parasociale avente ad oggetto l’espressione del voto nell’assemblea di una società per azioni, chiamata a nominare gli amministratori, ancorché non sia stata prefissata la durata del vincolo assunto dalle parti ed operi perciò il principio generale in forza del quale ad ogni partecipante spetta il diritto di recedere unilateralmente dal patto per giusta causa o con congruo preavviso; con la conseguenza che il partecipante il quale presenti all’assemblea una lista di candidati alla carica amministrativa di contenuto incompatibile con il rispetto del patto e poi esprima il proprio voto in contrasto con gli obblighi derivanti dall’adesione al patto medesimo può essere chiamato dalle altre parti a risarcire i danni conseguenti al suo inadempimento".

E’ questo il principio di diritto elaborato dalla Cassazione in un causa avente ad oggetto un patto parasociale tra soci di un s.p.a., per la nomina di amministratori, risalente al 1988, le cui pattuizioni erano state violate nel corso di un’assemblea del 1997. Pertanto, come ha ricordato la stessa Cassazione "alla fattispecie in esame non risulta possibile applicare le disposizioni dettate, in tema di patti parasociali, dai vigenti artt. 2341 - bis e segg. c.c., introdotte dal d. lgs. n. 6 del 2003 in epoca successiva alla stipulazione del patto di cui si discute e certamente prive di valenza retroattiva".

La Cassazione ha aderito ad un proprio precedente orientamento. In particolare, secondo la Cassazione "che patti parasociali come quello in esame, la cui natura atipica impone di vagliarne la meritevolezza, a norma dell’art. 1322, comma 2, c.c., possano non superare tale vaglio quando i vincoli obbligatori in essi previsti non abbiano alcun limite di tempo predeterminato, atteso il generale disfavore dell’ordinamento per il protrarsi indefinito di vincoli siffatti, è principio anch’esso già ripetutamente affermato nelle sentenze di questa corte cui sopra s’è fatto cenno: in particolare nella sentenza n. 9975 del 1995 ed in quella n. 14865 del 2001. Mentre però la prima di tali pronunce ne ha tratto la conseguenza dell’invalidità del patto nel suo insieme, la seconda è pervenuta ad una conclusione meno drastica ed ha reputato che il patto resti valido ma che, in coerenza con il principio generale di buona fede stabilito dall’art. 1375 c.c., esso debba essere integrato dall’implicita quanto ineludibile previsione del diritto di recesso unilaterale di ciascun partecipante, con obbligo di preavviso o per giusta causa. Non v’è ragione per discostarsi ora da quest’ultimo e più recente indirizzo, che appare coerente con la più generale affermazione secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, in sintonia con il già richiamato principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (si vedano Cass. n. 18508 del 2005, n. 6427 del 1998, n. 8360 del 1996 e n. 4507 del 1993).

(Corte di Cassazione - Sezione Prima, Sentenza 22 marzo 2010, n.6898).