Cassazione Lavoro: immutabilità della contestazione sanzionata con il licenziamento
Secondo la Cassazione "il principio della immutabilità della contestazione costituisce una sorta di corollario del principio di specificità, atteso che l’esigenza, rilevante ai fini della garanzia dell’esercizio del diritto di difesa, che i fatti addebitati siano specificamente individuati nell’atto di contestazione, sarebbe palesemente violata e disattesa qualora fosse riconosciuto al datare di lavoro la possibilità di mutare successivamente la iniziale contestazione ovvero di procedere alla applicazione della sanzione sulla base di fatti non ricompresi in detta contestazione. Argomentando da tali rilievi la elaborazione giurisprudenziale è passata da una originaria impostazione rigidamente formalistica ad una più squisitamente contenutistica, applicando il principio esclusivamente in relazione alla funzione di garanzia di esercizio del diritto di difesa del lavoratore, ed escludendo qualsiasi profilo di illegittimità qualora in concreto nessun vulnus sia arrecato al diritto di difesa".
In sostanza, "Sotto tale versante occorre quindi procedere all’esame del suddetto motivo di ricorso, laddove la società ricorrente ha rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l’eventualità di un accordo criminoso tra il capo reparto ed i dipendenti non costituiva un fatto diverso ed ulteriore rispetto a quello contestato, ma solo una ulteriore circostanza e segnatamente una valutazione giuridica del medesimo addebito, che era ricompresa all’interno del fatto contestato. Siffatta conclusione non appare in realtà condivisibile atteso che, una volta contestato il fatto dell’avvenuto acquisto di merce ad un prezzo ridotto risultante solo dal sistema informatico, posto che il (superiore) prezzo esposto al pubblico non aveva subito alcun aggiornamento, la ipotizzata esistenza di un accordo criminoso fra il capo reparto che aveva proceduto alla variazione del prezzo nel sistema informatico ed il dipendente acquirente costituisce non già una semplice valutazione o qualificazione (aggiuntiva dell’episodio contestato), bensì un fatto diverso ed ulteriore che connota di ben maggiore gravità la condotta contestata e sul quale il lavoratore non aveva potuto svolgere alcuna difesa".
La Cassazione ha pertanto concluso che "pur in un’ottica contenutistica, appare ravvisabile una modificazione sostanziale dei fatti oggetto della contestazione disciplinare, ogni qual volta le circostanze nuove siano di natura tale da comportare una valutazione di maggiore gravità, laddove i fatti originariamente contestati potrebbero essere insufficienti ad integrare la sanzione applicata; ed invero in tal caso i fatti ulteriori non valgono ad integrare il contenuto della avvenuta contestazione, ma presentano un carattere sostanzialmente innovativo, venendo a spostare e ad alterare pur nell’ambito della fattispecie contestata, i termini della iniziale contestazione, affidando quindi la giustificazione del provvedimento disciplinare ad elementi che sono stati, in realtà, sottratti al contraddittorio, essendo stato l’esercizio del diritto di difesa orientato nel senso suggerito dalla iniziale contestazione".
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 5 marzo 2010, n.5401).
Secondo la Cassazione "il principio della immutabilità della contestazione costituisce una sorta di corollario del principio di specificità, atteso che l’esigenza, rilevante ai fini della garanzia dell’esercizio del diritto di difesa, che i fatti addebitati siano specificamente individuati nell’atto di contestazione, sarebbe palesemente violata e disattesa qualora fosse riconosciuto al datare di lavoro la possibilità di mutare successivamente la iniziale contestazione ovvero di procedere alla applicazione della sanzione sulla base di fatti non ricompresi in detta contestazione. Argomentando da tali rilievi la elaborazione giurisprudenziale è passata da una originaria impostazione rigidamente formalistica ad una più squisitamente contenutistica, applicando il principio esclusivamente in relazione alla funzione di garanzia di esercizio del diritto di difesa del lavoratore, ed escludendo qualsiasi profilo di illegittimità qualora in concreto nessun vulnus sia arrecato al diritto di difesa".
In sostanza, "Sotto tale versante occorre quindi procedere all’esame del suddetto motivo di ricorso, laddove la società ricorrente ha rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l’eventualità di un accordo criminoso tra il capo reparto ed i dipendenti non costituiva un fatto diverso ed ulteriore rispetto a quello contestato, ma solo una ulteriore circostanza e segnatamente una valutazione giuridica del medesimo addebito, che era ricompresa all’interno del fatto contestato. Siffatta conclusione non appare in realtà condivisibile atteso che, una volta contestato il fatto dell’avvenuto acquisto di merce ad un prezzo ridotto risultante solo dal sistema informatico, posto che il (superiore) prezzo esposto al pubblico non aveva subito alcun aggiornamento, la ipotizzata esistenza di un accordo criminoso fra il capo reparto che aveva proceduto alla variazione del prezzo nel sistema informatico ed il dipendente acquirente costituisce non già una semplice valutazione o qualificazione (aggiuntiva dell’episodio contestato), bensì un fatto diverso ed ulteriore che connota di ben maggiore gravità la condotta contestata e sul quale il lavoratore non aveva potuto svolgere alcuna difesa".
La Cassazione ha pertanto concluso che "pur in un’ottica contenutistica, appare ravvisabile una modificazione sostanziale dei fatti oggetto della contestazione disciplinare, ogni qual volta le circostanze nuove siano di natura tale da comportare una valutazione di maggiore gravità, laddove i fatti originariamente contestati potrebbero essere insufficienti ad integrare la sanzione applicata; ed invero in tal caso i fatti ulteriori non valgono ad integrare il contenuto della avvenuta contestazione, ma presentano un carattere sostanzialmente innovativo, venendo a spostare e ad alterare pur nell’ambito della fattispecie contestata, i termini della iniziale contestazione, affidando quindi la giustificazione del provvedimento disciplinare ad elementi che sono stati, in realtà, sottratti al contraddittorio, essendo stato l’esercizio del diritto di difesa orientato nel senso suggerito dalla iniziale contestazione".
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 5 marzo 2010, n.5401).