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Cassazione Penale: associazione a delinquere anche su internet

La Cassazione ha statuito il principio per cui costituisce una associazione a delinquere finalizzata all’incitamento ed alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi anche una struttura operante su internet, il cui sito sia stato costituito all’estero e sia allocato su un server ubicato fuori dai confini nazionali.

Nel caso di specie il ricorrente, indagato per la promozione e direzione di un gruppo estremista attraverso l’organizzatore di un sito e la gestione di un blog, lamenta l’inosservanza o erronea applicazione di norme in tema di procedibilità e configurabilità del reato contestato.

Secondo la Suprema Corte il reato di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 654/1975, è configurato in presenza di una struttura il cui operare si manifesta nella “gestione di un blog per tenere i contatti tra gli aderenti, fare proselitismo, anche mediante la diffusione di documenti e testi inneggianti al razzismo, programmare azioni dimostrative o violente, raccogliere elargizioni economiche a favore del forum, censire episodi o persone [...]e pertanto, in conformità alla pronuncia del riesame, è ascrivibile in capo all’indagato per i sussistenti gravi indizi di colpevolezza.

Ciò sulla base dell’orientamento della medesima Corte in relazione alla nozione di “comunità virtuale in Internet” e alla sua idoneità strutturale a configurare la fattispecie criminosa. Infatti, tenuto conto delle peculiarità delle attività svolte in Rete dalle associazioni di cui sopra, i requisiti di stabilità e organizzazione necessari all’integrazione del reato sono rinvenibili nell’attività di gestione delle comunicazioni sul web, mentre l’elemento soggettivo è individuato nella conoscenza e condivisione da parte degli affiliati delle finalità e obiettivi perseguiti dal gruppo.

In merito agli ulteriori profili del ricorso, la Corte ha statuito che non rileva che il sito sia costituito all’estero, e così l’ubicazione del server, per escludere la giurisdizione e la competenza del giudice italiano.

Nel caso di specie la giurisdizione italiana è determinata tenuto conto del fatto che, in relazione ai reati associativi, è consolidata la sua configurabilità in relazione al luogo dove si realizza in tutto o in parte l’operare della struttura organizzativa. La Cassazione, operando un richiamo ad una sua precedente pronuncia in tema di diffamazione proveniente da un sito registrato all’estero, afferma che la stessa è incardinata in maniera certa alla luce delle attività poste in essere dall’indagato e dagli altri affiliati.

In relazione alla competenza territoriale, posto che l’articolo 6 del Codice Penale prevede che l’applicazione della norma si estende a tutti gli affiliati sulla base della rilevanza della frazione di attività commessa da taluno dei partecipi nel territorio italiano, ai fini della determinazione rileva il luogo “in cui si svolgonoprogrammazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio, ossia il luogo ove si manifesta l’operatività dell’associazione, piuttosto che il luogo in cui sia radicato il pactum sceleris”. Laddove ciò non sia possibile, è utile il ricorso ai criteri suppletivi di cui all’articolo 9 del Codice Penale.

(Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale, Sentenza 31 luglio 2013, n. 33179)
 

La Cassazione ha statuito il principio per cui costituisce una associazione a delinquere finalizzata all’incitamento ed alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi anche una struttura operante su internet, il cui sito sia stato costituito all’estero e sia allocato su un server ubicato fuori dai confini nazionali.


Nel caso di specie il ricorrente, indagato per la promozione e direzione di un gruppo estremista attraverso l’organizzatore di un sito e la gestione di un blog, lamenta l’inosservanza o erronea applicazione di norme in tema di procedibilità e configurabilità del reato contestato.

Secondo la Suprema Corte il reato di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 654/1975, è configurato in presenza di una struttura il cui operare si manifesta nella “gestione di un blog per tenere i contatti tra gli aderenti, fare proselitismo, anche mediante la diffusione di documenti e testi inneggianti al razzismo, programmare azioni dimostrative o violente, raccogliere elargizioni economiche a favore del forum, censire episodi o persone [...]e pertanto, in conformità alla pronuncia del riesame, è ascrivibile in capo all’indagato per i sussistenti gravi indizi di colpevolezza.

Ciò sulla base dell’orientamento della medesima Corte in relazione alla nozione di “comunità virtuale in Internet” e alla sua idoneità strutturale a configurare la fattispecie criminosa. Infatti, tenuto conto delle peculiarità delle attività svolte in Rete dalle associazioni di cui sopra, i requisiti di stabilità e organizzazione necessari all’integrazione del reato sono rinvenibili nell’attività di gestione delle comunicazioni sul web, mentre l’elemento soggettivo è individuato nella conoscenza e condivisione da parte degli affiliati delle finalità e obiettivi perseguiti dal gruppo.

In merito agli ulteriori profili del ricorso, la Corte ha statuito che non rileva che il sito sia costituito all’estero, e così l’ubicazione del server, per escludere la giurisdizione e la competenza del giudice italiano.

Nel caso di specie la giurisdizione italiana è determinata tenuto conto del fatto che, in relazione ai reati associativi, è consolidata la sua configurabilità in relazione al luogo dove si realizza in tutto o in parte l’operare della struttura organizzativa. La Cassazione, operando un richiamo ad una sua precedente pronuncia in tema di diffamazione proveniente da un sito registrato all’estero, afferma che la stessa è incardinata in maniera certa alla luce delle attività poste in essere dall’indagato e dagli altri affiliati.

In relazione alla competenza territoriale, posto che l’articolo 6 del Codice Penale prevede che l’applicazione della norma si estende a tutti gli affiliati sulla base della rilevanza della frazione di attività commessa da taluno dei partecipi nel territorio italiano, ai fini della determinazione rileva il luogo “in cui si svolgonoprogrammazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio, ossia il luogo ove si manifesta l’operatività dell’associazione, piuttosto che il luogo in cui sia radicato il pactum sceleris”. Laddove ciò non sia possibile, è utile il ricorso ai criteri suppletivi di cui all’articolo 9 del Codice Penale.

(Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale, Sentenza 31 luglio 2013, n. 33179)