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Cassazione Penale: nessuna efficacia alla PEC nel processo penale

La Corte di Cassazione ha stabilito che, allo stato attuale e in assenza di una regolamentazione normativa, il sistema di trasmissione degli atti attraverso posta elettronica certificata (PEC) non può essere utilizzato nel processo penale. Unico sistema rimane il deposito degli atti nella cancelleria del Tribunale.

Diversamente da quanto avviene nel processo civile, in quello penale la comunicazione e la notificazione degli atti dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari del giudice non può avvenire con l’utilizzo di strumenti telematici o mediante indirizzo di posta elettronica, seppur certificata.

Nel caso di specie, il difensore della parte imputata in un processo penale aveva rivolto istanza di rinvio per legittimo impedimento a comparire all’udienza fissata per la trattazione del processo d’appello, inviando una e-mail con indirizzo di posta privato alla cancelleria della Corte d’appello. Aveva, inoltre, depositato l’atto presso la cancelleria del tribunale il giorno prima della data di tale udienza.

I giudici della Corte territoriale non avevano valutato l’istanza di rinvio del difensore, pronunciando, secondo il ricorrente, una sentenza viziata da nullità assoluta. Avverso tale decisione, la parte ha proposto ricorso in Cassazione.

I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso, affermando un importante principio di diritto processuale. Innanzitutto, i giudici hanno ritenuto inammissibile l’istanza di rinvio dell’udienza trasmessa a mezzo di posta elettronica, a fortiori se si considera che il difensore della parte aveva utilizzato un indirizzo di posta elettronica privato, dunque non certificato e, di conseguenza, non riconosciuto dalla legge.

Ciò nonostante il legale aveva comunque depositato l’atto presso la cancelleria del tribunale, rendendo conoscibile lo stesso attraverso le modalità previste dalla legge. Il comportamento dei giudici di merito, che non avevano considerato tale istanza di rinvio dell’udienza, era da censurare per il fatto di non aver preso in considerazione non la comunicazione a mezzo di posta elettronica, ma quella effettuata tramite il deposito.

Ciò vizia la sentenza di nullità, ragione per cui la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando gli atti alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un riesame nel merito.

Secondo quanto osservato dai giudici della Cassazione, il legislatore ha espressamente previsto forme alternative di comunicazione solo nel processo civile: l’articolo 366, comma 2, del codice di procedura civile (modificato dalla legge 12 novembre 2011, n. 183) ha introdotto espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati. Inoltre, la legge 17 dicembre 2012, n. 221 (c.d. Decreto crescitalia 2.0) prevede all’articolo 16, comma 4, che:

Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”.

Ne consegue, pertanto, che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è – allo stato – consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 13 febbraio 2014, n.7058)

La Corte di Cassazione ha stabilito che, allo stato attuale e in assenza di una regolamentazione normativa, il sistema di trasmissione degli atti attraverso posta elettronica certificata (PEC) non può essere utilizzato nel processo penale. Unico sistema rimane il deposito degli atti nella cancelleria del Tribunale.


Diversamente da quanto avviene nel processo civile, in quello penale la comunicazione e la notificazione degli atti dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari del giudice non può avvenire con l’utilizzo di strumenti telematici o mediante indirizzo di posta elettronica, seppur certificata.

Nel caso di specie, il difensore della parte imputata in un processo penale aveva rivolto istanza di rinvio per legittimo impedimento a comparire all’udienza fissata per la trattazione del processo d’appello, inviando una e-mail con indirizzo di posta privato alla cancelleria della Corte d’appello. Aveva, inoltre, depositato l’atto presso la cancelleria del tribunale il giorno prima della data di tale udienza.

I giudici della Corte territoriale non avevano valutato l’istanza di rinvio del difensore, pronunciando, secondo il ricorrente, una sentenza viziata da nullità assoluta. Avverso tale decisione, la parte ha proposto ricorso in Cassazione.

I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso, affermando un importante principio di diritto processuale. Innanzitutto, i giudici hanno ritenuto inammissibile l’istanza di rinvio dell’udienza trasmessa a mezzo di posta elettronica, a fortiori se si considera che il difensore della parte aveva utilizzato un indirizzo di posta elettronica privato, dunque non certificato e, di conseguenza, non riconosciuto dalla legge.

Ciò nonostante il legale aveva comunque depositato l’atto presso la cancelleria del tribunale, rendendo conoscibile lo stesso attraverso le modalità previste dalla legge. Il comportamento dei giudici di merito, che non avevano considerato tale istanza di rinvio dell’udienza, era da censurare per il fatto di non aver preso in considerazione non la comunicazione a mezzo di posta elettronica, ma quella effettuata tramite il deposito.

Ciò vizia la sentenza di nullità, ragione per cui la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando gli atti alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un riesame nel merito.

Secondo quanto osservato dai giudici della Cassazione, il legislatore ha espressamente previsto forme alternative di comunicazione solo nel processo civile: l’articolo 366, comma 2, del codice di procedura civile (modificato dalla legge 12 novembre 2011, n. 183) ha introdotto espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati. Inoltre, la legge 17 dicembre 2012, n. 221 (c.d. Decreto crescitalia 2.0) prevede all’articolo 16, comma 4, che:

Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”.

Ne consegue, pertanto, che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è – allo stato – consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 13 febbraio 2014, n.7058)