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Cassazione Penale: nozione di profitto nella duplicazione abusiva del software

La Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sulla rilevanza penale della detenzione di software duplicato abusivamente.

La questione oggetto d’esame prende le mosse dalla condanna, in primo e in secondo grado, del legale rappresentante e di alcuni dipendenti di una società di servizi informatici condannati, per violazioni della legge sul diritto d’autore (articoli 171 e 171 bis Legge 22 aprile 1941, n. 633) derivanti da downloading, memorizzazione e messa a disposizione del pubblico di files contenenti opere musicali e cinematografiche, nonché dalla duplicazione abusiva di software.

In particolare, il Giudice di prime cure aveva ritenuto gli imputati responsabili di tutti i reati contestati e alla condanna penale aveva fatto seguito quella al risarcimento dei danni in favore della parte civile, fissando la somma di euro 3.000,00 quale provvisionale immediatamente esecutiva.

Il Giudice di secondo grado, chiamato a pronunciarsi su ricorso degli imputati, aveva in parte riformato la sentenza del Tribunale: “assolvendo gli imputati dal reato contestato al capo A della rubrica (art. 110 c.p., e L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171, comma 1, lett. a bis) − vale a dire la messa a disposizione del pubblico − “perché il fatto non sussiste” e, esclusa la continuazione, ha ridotto a quattro mesi di reclusione e 1.350,00 Euro di multa la pena inflitta a ciascuno in relazione al capo B (art. 110 c.p., e L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 bis, comma 1), (OMISSIS); con conferma delle restanti statuizioni anche in favore della parte civile costituita, SIAE”.

Avverso tali decisioni, gli imputati hanno proposto unico ricorso.

La Corte ha affrontato due questioni:
a. se possa sussistere la finalità commerciale o imprenditoriale;
b. se l’ipotesi di reato possa essere applicata a supporti privi di contrassegno SIAE qualora la condotta contestata risalga all’anno 2006.

La Corte, soffermandosi sulla finalità di profitto che accompagna necessariamente – ex lege – la condotta di duplicazione abusiva di programma per elaboratore di cui all’articolo 171 bis succitato, ha inteso tale nozione di profitto coincidente con la finalità di commercio o impresa, ritenendo però che la stessa non debba essere valutata esclusivamente con riguardo alla vendita diretta dei software, bensì facendo riferimento anche a ulteriori indici, quali, come nel caso concreto, l’installazione dei medesimi sugli apparecchi e il loro utilizzo in favore dei clienti.

Per quel che attiene, invece, la configurabilità del reato ex articolo 171 bis, La Suprema Corte ha evidenziato che i principi affermati nella sentenza Schwibbert della Corte di Giustizia Ue conducono a ritenere che la condotta consistente nella detenzione di supporti privi di contrassegno Siae non può integrare reato se commessa nel periodo anteriore all’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31.
Trattandosi, nel caso in esame, di ipotesi di reato risalenti all’anno 2006, è stato escluso che la detenzione dei programmi di elaboratori potesse integrare il reato ex art. 171 bis, in quanto tali programmi erano contenuti in supporti privi di contrassegno.

Per tali motivi, la Suprema Corte, annullando la sentenza impugnata, ha rinviato ad altra Sezione della Corte di appello.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 13 febbraio 2014, n. 6988)

Avv. Francesco Di Tano

La Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sulla rilevanza penale della detenzione di software duplicato abusivamente.

La questione oggetto d’esame prende le mosse dalla condanna, in primo e in secondo grado, del legale rappresentante e di alcuni dipendenti di una società di servizi informatici condannati, per violazioni della legge sul diritto d’autore (articoli 171 e 171 bis Legge 22 aprile 1941, n. 633) derivanti da downloading, memorizzazione e messa a disposizione del pubblico di files contenenti opere musicali e cinematografiche, nonché dalla duplicazione abusiva di software.

In particolare, il Giudice di prime cure aveva ritenuto gli imputati responsabili di tutti i reati contestati e alla condanna penale aveva fatto seguito quella al risarcimento dei danni in favore della parte civile, fissando la somma di euro 3.000,00 quale provvisionale immediatamente esecutiva.

Il Giudice di secondo grado, chiamato a pronunciarsi su ricorso degli imputati, aveva in parte riformato la sentenza del Tribunale: “assolvendo gli imputati dal reato contestato al capo A della rubrica (art. 110 c.p., e L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171, comma 1, lett. a bis) − vale a dire la messa a disposizione del pubblico − “perché il fatto non sussiste” e, esclusa la continuazione, ha ridotto a quattro mesi di reclusione e 1.350,00 Euro di multa la pena inflitta a ciascuno in relazione al capo B (art. 110 c.p., e L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 bis, comma 1), (OMISSIS); con conferma delle restanti statuizioni anche in favore della parte civile costituita, SIAE”.

Avverso tali decisioni, gli imputati hanno proposto unico ricorso.

La Corte ha affrontato due questioni:
a. se possa sussistere la finalità commerciale o imprenditoriale;
b. se l’ipotesi di reato possa essere applicata a supporti privi di contrassegno SIAE qualora la condotta contestata risalga all’anno 2006.

La Corte, soffermandosi sulla finalità di profitto che accompagna necessariamente – ex lege – la condotta di duplicazione abusiva di programma per elaboratore di cui all’articolo 171 bis succitato, ha inteso tale nozione di profitto coincidente con la finalità di commercio o impresa, ritenendo però che la stessa non debba essere valutata esclusivamente con riguardo alla vendita diretta dei software, bensì facendo riferimento anche a ulteriori indici, quali, come nel caso concreto, l’installazione dei medesimi sugli apparecchi e il loro utilizzo in favore dei clienti.

Per quel che attiene, invece, la configurabilità del reato ex articolo 171 bis, La Suprema Corte ha evidenziato che i principi affermati nella sentenza Schwibbert della Corte di Giustizia Ue conducono a ritenere che la condotta consistente nella detenzione di supporti privi di contrassegno Siae non può integrare reato se commessa nel periodo anteriore all’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31.
Trattandosi, nel caso in esame, di ipotesi di reato risalenti all’anno 2006, è stato escluso che la detenzione dei programmi di elaboratori potesse integrare il reato ex art. 171 bis, in quanto tali programmi erano contenuti in supporti privi di contrassegno.

Per tali motivi, la Suprema Corte, annullando la sentenza impugnata, ha rinviato ad altra Sezione della Corte di appello.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 13 febbraio 2014, n. 6988)

Avv. Francesco Di Tano