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Cassazione SU Civili: le valli della laguna di Venezia sono beni comuni

Secondo le Sezioni Unite della Cassazione "le valli da pesca della Laguna di Venezia configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di bene pubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale spettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali", e sono pertanto da considerarsi bene "comune".

In generale le Sezioni Unite hanno rilevato che "la "demanialità" esprime una duplice appartenenza alla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda (titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire, come appartenenza di servizio che è necessaria, perché è questo ente che può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione. Sicché, al fine di riconoscere se in concreto il particolare bene di cui si discute fa parte della realtà materiale che la norma, denominandola, inserisce nel demanio, si deve tener conto in modo specifico del duplice aspetto finalistico e funzionale che connota la categoria dei beni in questione. Ne consegue ancora che la titolarità dello Stato (come Stato-collettività, vale a dire come ente espositivo degli interessi di tutti) non è fine a se stessa e non rileva solo sul piano proprietario ma comporta per lo stesso gli oneri di una governance che renda effettivi le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene".

La Cassazione ha ricordato che "tale impostazione già ha avuto nella stessa giurisprudenza della Cassazione delle preliminari "intuizioni" e previsioni come quando (tra le altre Cass. nn. 1863/1984 e 1300/1999) si è affermato che agli effetti dell’art. 28 lett. B) c.n., secondo cui fanno parte del demanio (necessario) marittimo i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’ anno comunicano "liberamente" con il mare, l’indispensabile elemento fisico-morfologico della comunicazione con il mare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interramento delle acque, non costituisce di per sé solo il fattore decisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essere accertato e valutato in senso finalistico-funzionale, in quanto, cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastra le stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rilevando l’idoneità attuale, e non meramente potenziale e futura, del bene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire i pubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamente destinato all’uso pubblico.

Detta natura di tali beni (come del resto per tutti i beni pubblici) ha la sua origine costitutiva nella legge, quale ordinamento composto da una pluralità di fonti (in particolar modo la Costituzione con le norme sopra richiamate), sulla base della sussistenza "all’attualità" di determinate caratteristiche (fisiche-geografiche) in concreto previste dal legislatore, e prescinde quindi da disposizioni e provvedimenti di ordine amministrativo, come già affermato da questa Corte (in particolare, Cass. n. 1228/1990, ove si afferma che l’inclusione di un bene nel demanio naturale discende della presenza delle connotazioni fisiche al riguardo considerate dalla legge, indipendentemente da atti ricognitivi o formalità pubblicitarie).

Non rilevano anche, trattandosi di beni comunque dello Stato, eventuali atti privatistici di trasferimento di detti beni risultando nulli per impossibilità giuridica dell’oggetto degli atti stessi, come pure eventuali comportamenti "concludenti" posti in essere dalla pubblica amministrazione mediante suoi funzionari in quanto illeciti perché ovviamente contra legem".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 14 febbraio 2011, n.1465)

Secondo le Sezioni Unite della Cassazione "le valli da pesca della Laguna di Venezia configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di bene pubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale spettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali", e sono pertanto da considerarsi bene "comune".

In generale le Sezioni Unite hanno rilevato che "la "demanialità" esprime una duplice appartenenza alla collettività ed al suo ente esponenziale, dove la seconda (titolarità del bene in senso stretto) si presenta, per così dire, come appartenenza di servizio che è necessaria, perché è questo ente che può e deve assicurare il mantenimento delle specifiche rilevanti caratteristiche del bene e la loro fruizione. Sicché, al fine di riconoscere se in concreto il particolare bene di cui si discute fa parte della realtà materiale che la norma, denominandola, inserisce nel demanio, si deve tener conto in modo specifico del duplice aspetto finalistico e funzionale che connota la categoria dei beni in questione. Ne consegue ancora che la titolarità dello Stato (come Stato-collettività, vale a dire come ente espositivo degli interessi di tutti) non è fine a se stessa e non rileva solo sul piano proprietario ma comporta per lo stesso gli oneri di una governance che renda effettivi le varie forme di godimento e di uso pubblico del bene".

La Cassazione ha ricordato che "tale impostazione già ha avuto nella stessa giurisprudenza della Cassazione delle preliminari "intuizioni" e previsioni come quando (tra le altre Cass. nn. 1863/1984 e 1300/1999) si è affermato che agli effetti dell’art. 28 lett. B) c.n., secondo cui fanno parte del demanio (necessario) marittimo i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’ anno comunicano "liberamente" con il mare, l’indispensabile elemento fisico-morfologico della comunicazione con il mare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interramento delle acque, non costituisce di per sé solo il fattore decisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essere accertato e valutato in senso finalistico-funzionale, in quanto, cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastra le stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rilevando l’idoneità attuale, e non meramente potenziale e futura, del bene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire i pubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamente destinato all’uso pubblico.

Detta natura di tali beni (come del resto per tutti i beni pubblici) ha la sua origine costitutiva nella legge, quale ordinamento composto da una pluralità di fonti (in particolar modo la Costituzione con le norme sopra richiamate), sulla base della sussistenza "all’attualità" di determinate caratteristiche (fisiche-geografiche) in concreto previste dal legislatore, e prescinde quindi da disposizioni e provvedimenti di ordine amministrativo, come già affermato da questa Corte (in particolare, Cass. n. 1228/1990, ove si afferma che l’inclusione di un bene nel demanio naturale discende della presenza delle connotazioni fisiche al riguardo considerate dalla legge, indipendentemente da atti ricognitivi o formalità pubblicitarie).

Non rilevano anche, trattandosi di beni comunque dello Stato, eventuali atti privatistici di trasferimento di detti beni risultando nulli per impossibilità giuridica dell’oggetto degli atti stessi, come pure eventuali comportamenti "concludenti" posti in essere dalla pubblica amministrazione mediante suoi funzionari in quanto illeciti perché ovviamente contra legem".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 14 febbraio 2011, n.1465)