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Cenni sulla normativa premiale e le misure di protezione predisposte a favore dei collaboratori di giustizia

Abstract:

Il testo affronta, seppur per grandi linee, l’origine, l’evoluzione e i principi generali della disciplina normativa in materia di collaboratori di giustizia.

Per i procedimenti penali relativi ai delitti di criminalità organizzata il legislatore italiano ha ritenuto opportuno prevedere un regime differenziato e per questo è stato affermato che nel nostro sistema processuale penale si realizza una sorta di doppio binario procedimentale. Queste differenziazioni riguardano soprattutto la fase delle indagini preliminari e sono il frutto di una attenta riflessione da parte di chi (come magistrati, forze di polizia, etc.) è chiamato ogni giorno a combattere la delinquenza organizzata, specie quella di tipo mafioso.

Il legislatore è stato peraltro consapevole che ogni modifica processuale si sarebbe rivelata poco utile in assenza di una compiuta disciplina in materia di “sollecitazione e protezione” di coloro che aiutano gli organi inquirenti a raccogliere prove a carico dei più significativi esponenti delle organizzazioni mafiose, ovvero dei collaboratori di giustizia.

Questi, impropriamente, vengono anche chiamati “pentiti”: in realtà non è loro richiesta alcuna presa di posizione di natura morale circa il loro passato criminale.

La decisione di estendere (anche alla luce dell’esperienza statunitense) la normativa premiale, originariamente prevista nell’ambito della legislazione d’emergenza contro la criminalità terroristica, ai collaboratori provenienti dal crimine organizzato vide impegnati magistrati, come Giovanni Falcone, che dovettero affrontare una vera e propria reazione politica di rigetto nei confronti di questo fenomeno.

Tali resistenze furono, principalmente, dovute all’asserita eterogeneità delle motivazioni della dissociazione del terrorista “collaboratore” rispetto al mafioso “collaboratore”: infatti si ritiene che il primo sarebbe indotto a collaborare dopo aver preso atto della sconfitta dell’associazione di cui faceva parte, mentre il secondo offrirebbe, invece, il suo contributo per fini utilitaristici (ad esempio per poter usufruire di sconti di pena o per vendicarsi nei confronti degli ex “compagni”).

Nondimeno è stato sostenuto che l’applicazione della normativa premiale si sarebbe risolta in una intollerabile violazione del principio che vuole la pena proporzionata alla gravità del reato e al grado di responsabilità personale, incompatibile con le funzioni costituzionalmente attribuite alla sanzione penale .

In realtà la riflessione sul tema è stata anche condizionata da alcune esperienze giudiziarie negative e dalla diffusa ostilità verso i maxiprocessi.

Allorquando l’introduzione di una efficiente normativa premiale anche in materia di mafia è divenuta un’esigenza ineludibile, vi si è provveduto sotto la spinta di situazioni d’emergenza e quindi senza una adeguata riflessione, con le inevitabili imperfezioni tecniche e di impostazione che ciò comporta.

Così fu emanato il d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (poi convertito dalla l. 15 marzo 1991 n. 82) mediante il quale venne introdotta un’organica disciplina della protezione dei collaboratori e dei testimoni nei processi di mafia.

Infine, soltanto dopo la strage di Capaci (23 maggio 1992) venne emanato il d.l. 8 giugno 1992 n. 306, rapidamente convertito in legge subito dopo la strage di via D’Amelio (19 luglio 1992), mediante il quale furono introdotti, accanto agli inevitabili inasprimenti per gli imputati di associazione mafiosa, ulteriori benefici per i collaboratori di mafia.

Queste disposizioni sono state, di recente, modificate ad opera della legge 13 febbraio 2001 n. 45, contenente “Nuove norme per la protezione dei testimoni di giustizia nonché per la protezione ed il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia” e dal relativo regolamento di attuazione emanato nel 2004.

La nuova normativa premiale è caratterizzata innanzitutto da una dichiarazione iniziale, che deve essere resa obbligatoriamente entro 180 giorni da quando si è manifestata l’intenzione di collaborare e che contiene tutte le notizie inerenti fatti criminali conosciuti e tutte le informazioni relative a beni patrimoniali posseduti dall’associazione per consentire allo Stato di individuare eventuali beni di provenienza illecita.

In secondo luogo sono stati previsti quattro fondamentali benefici innovativi.

Si tratta, in particolare di:

• benefici sanzionatori, che prevedono delle significative diminuzioni di pena, mediante una serie di circostanze attenuanti speciali ed ad effetto speciale, per gli autori di reati di terrorismo, mafia, sequestro di persona, traffico di stupefacenti, contrabbando internazionale, favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina che, dissociandosi dagli altri, si adoperano per evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, anche aiutando l’Autorità di polizia o giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione o la cattura degli autori dei reati;

• benefici penitenziari, che prevedono un trattamento differenziato collegato alla collaborazione del condannato, detenuto o internato, che può godere, dopo aver scontato un quarto della pena inflitta o almeno dieci anni di reclusione in caso di condanna all’ergastolo, ad esempio, della concessione della detenzione domiciliare anche se il periodo di pena che gli resta da espiare è ben superiore ai due anni previsti dall’art. 47-ter co. 1-bis L. 345/75 per la concessione della suddetta misura alternativa ad un condannato per fatti di criminalità organizzata non collaborante;

• benefici processuali, che prevedono una particolare disciplina che consente la partecipazione e l’esame a distanza, mediante videoconferenza, anche per collaboratori coimputati nello stesso procedimento in corso;

• benefici tutori, che prevedono nei confronti dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari, esposti a gravi rischi per la propria incolumità personale, l’adozione di speciali misure di protezione adottate dalla Commissione Centrale istituita presso il Ministero dell’Interno e presieduta da un Sottosegretario di Stato.

L’attuazione dei programmi di protezione è, poi, affidata al Servizio Centrale di Protezione che è un ufficio interforze costituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, nell’ambito della Direzione Centrale della Polizia Criminale. Il Servizio Centrale di Protezione si avvale dei Nuclei Operativi territoriali di Protezione (N.O.P.) che sono in continuo contatto con il collaboratore, mentre i compiti strettamente collegati alla sicurezza del collaboratore (come la vigilanza dell’abitazione, l’accompagnamento alle udienze, etc.) sono assegnati direttamente agli organi territoriali delle Forze di Polizia. L’attuazione dei programmi di protezione è caratterizzata da quattro fasi:

a) l’assistenza psicologica, necessaria per rendere meno traumatico per il collaboratore e la sua famiglia il distacco dal loro ambiente sociale, culturale, lavorativo, etc. e volta a superare le difficoltà di adattamento ed inserimento in realtà completamente nuove e diverse, specie se nel nucleo familiare sono presenti dei minori; assistenza che si attua attraverso i c.d. colloqui di sostegno con un operatore N.O.P. che avrà l’obbligo di accreditare l’interessato presso uno psicologo o uno psichiatra di una struttura pubblica laddove riscontri delle situazioni patologiche;

b) la mimetizzazione dell’identità, attuata attraverso il rilascio dei documenti di copertura, a carattere provvisorio e in attesa che, al termine del programma di protezione, si abbia il cambiamento definitivo delle generalità;

c) l’assistenza economica, per le spese che il soggetto protetto, impossibilitato a svolgere un’attività lavorativa, deve sostenere per l’assistenza legale e il mantenimento proprio e della sua famiglia, e quella sanitaria, realizzata rilasciando alle persone sottoposte al programma di protezione tessere sanitarie con nominativi di copertura per poter utilizzare le prestazioni delle strutture pubbliche in condizioni di sicurezza;

d) il reinserimento socio-lavorativo, al fine di raggiungere l’autonomia economica, attraverso attività di supporto e agevolazioni amministrative, promuovendo anche l’iscrizione a corsi professionali organizzati dagli enti locali o dalle Camere di Commercio per avviare attività autonome.

Abstract:

Il testo affronta, seppur per grandi linee, l’origine, l’evoluzione e i principi generali della disciplina normativa in materia di collaboratori di giustizia.

Per i procedimenti penali relativi ai delitti di criminalità organizzata il legislatore italiano ha ritenuto opportuno prevedere un regime differenziato e per questo è stato affermato che nel nostro sistema processuale penale si realizza una sorta di doppio binario procedimentale. Queste differenziazioni riguardano soprattutto la fase delle indagini preliminari e sono il frutto di una attenta riflessione da parte di chi (come magistrati, forze di polizia, etc.) è chiamato ogni giorno a combattere la delinquenza organizzata, specie quella di tipo mafioso.

Il legislatore è stato peraltro consapevole che ogni modifica processuale si sarebbe rivelata poco utile in assenza di una compiuta disciplina in materia di “sollecitazione e protezione” di coloro che aiutano gli organi inquirenti a raccogliere prove a carico dei più significativi esponenti delle organizzazioni mafiose, ovvero dei collaboratori di giustizia.

Questi, impropriamente, vengono anche chiamati “pentiti”: in realtà non è loro richiesta alcuna presa di posizione di natura morale circa il loro passato criminale.

La decisione di estendere (anche alla luce dell’esperienza statunitense) la normativa premiale, originariamente prevista nell’ambito della legislazione d’emergenza contro la criminalità terroristica, ai collaboratori provenienti dal crimine organizzato vide impegnati magistrati, come Giovanni Falcone, che dovettero affrontare una vera e propria reazione politica di rigetto nei confronti di questo fenomeno.

Tali resistenze furono, principalmente, dovute all’asserita eterogeneità delle motivazioni della dissociazione del terrorista “collaboratore” rispetto al mafioso “collaboratore”: infatti si ritiene che il primo sarebbe indotto a collaborare dopo aver preso atto della sconfitta dell’associazione di cui faceva parte, mentre il secondo offrirebbe, invece, il suo contributo per fini utilitaristici (ad esempio per poter usufruire di sconti di pena o per vendicarsi nei confronti degli ex “compagni”).

Nondimeno è stato sostenuto che l’applicazione della normativa premiale si sarebbe risolta in una intollerabile violazione del principio che vuole la pena proporzionata alla gravità del reato e al grado di responsabilità personale, incompatibile con le funzioni costituzionalmente attribuite alla sanzione penale .

In realtà la riflessione sul tema è stata anche condizionata da alcune esperienze giudiziarie negative e dalla diffusa ostilità verso i maxiprocessi.

Allorquando l’introduzione di una efficiente normativa premiale anche in materia di mafia è divenuta un’esigenza ineludibile, vi si è provveduto sotto la spinta di situazioni d’emergenza e quindi senza una adeguata riflessione, con le inevitabili imperfezioni tecniche e di impostazione che ciò comporta.

Così fu emanato il d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (poi convertito dalla l. 15 marzo 1991 n. 82) mediante il quale venne introdotta un’organica disciplina della protezione dei collaboratori e dei testimoni nei processi di mafia.

Infine, soltanto dopo la strage di Capaci (23 maggio 1992) venne emanato il d.l. 8 giugno 1992 n. 306, rapidamente convertito in legge subito dopo la strage di via D’Amelio (19 luglio 1992), mediante il quale furono introdotti, accanto agli inevitabili inasprimenti per gli imputati di associazione mafiosa, ulteriori benefici per i collaboratori di mafia.

Queste disposizioni sono state, di recente, modificate ad opera della legge 13 febbraio 2001 n. 45, contenente “Nuove norme per la protezione dei testimoni di giustizia nonché per la protezione ed il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia” e dal relativo regolamento di attuazione emanato nel 2004.

La nuova normativa premiale è caratterizzata innanzitutto da una dichiarazione iniziale, che deve essere resa obbligatoriamente entro 180 giorni da quando si è manifestata l’intenzione di collaborare e che contiene tutte le notizie inerenti fatti criminali conosciuti e tutte le informazioni relative a beni patrimoniali posseduti dall’associazione per consentire allo Stato di individuare eventuali beni di provenienza illecita.

In secondo luogo sono stati previsti quattro fondamentali benefici innovativi.

Si tratta, in particolare di:

• benefici sanzionatori, che prevedono delle significative diminuzioni di pena, mediante una serie di circostanze attenuanti speciali ed ad effetto speciale, per gli autori di reati di terrorismo, mafia, sequestro di persona, traffico di stupefacenti, contrabbando internazionale, favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina che, dissociandosi dagli altri, si adoperano per evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, anche aiutando l’Autorità di polizia o giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e l’individuazione o la cattura degli autori dei reati;

• benefici penitenziari, che prevedono un trattamento differenziato collegato alla collaborazione del condannato, detenuto o internato, che può godere, dopo aver scontato un quarto della pena inflitta o almeno dieci anni di reclusione in caso di condanna all’ergastolo, ad esempio, della concessione della detenzione domiciliare anche se il periodo di pena che gli resta da espiare è ben superiore ai due anni previsti dall’art. 47-ter co. 1-bis L. 345/75 per la concessione della suddetta misura alternativa ad un condannato per fatti di criminalità organizzata non collaborante;

• benefici processuali, che prevedono una particolare disciplina che consente la partecipazione e l’esame a distanza, mediante videoconferenza, anche per collaboratori coimputati nello stesso procedimento in corso;

• benefici tutori, che prevedono nei confronti dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari, esposti a gravi rischi per la propria incolumità personale, l’adozione di speciali misure di protezione adottate dalla Commissione Centrale istituita presso il Ministero dell’Interno e presieduta da un Sottosegretario di Stato.

L’attuazione dei programmi di protezione è, poi, affidata al Servizio Centrale di Protezione che è un ufficio interforze costituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, nell’ambito della Direzione Centrale della Polizia Criminale. Il Servizio Centrale di Protezione si avvale dei Nuclei Operativi territoriali di Protezione (N.O.P.) che sono in continuo contatto con il collaboratore, mentre i compiti strettamente collegati alla sicurezza del collaboratore (come la vigilanza dell’abitazione, l’accompagnamento alle udienze, etc.) sono assegnati direttamente agli organi territoriali delle Forze di Polizia. L’attuazione dei programmi di protezione è caratterizzata da quattro fasi:

a) l’assistenza psicologica, necessaria per rendere meno traumatico per il collaboratore e la sua famiglia il distacco dal loro ambiente sociale, culturale, lavorativo, etc. e volta a superare le difficoltà di adattamento ed inserimento in realtà completamente nuove e diverse, specie se nel nucleo familiare sono presenti dei minori; assistenza che si attua attraverso i c.d. colloqui di sostegno con un operatore N.O.P. che avrà l’obbligo di accreditare l’interessato presso uno psicologo o uno psichiatra di una struttura pubblica laddove riscontri delle situazioni patologiche;

b) la mimetizzazione dell’identità, attuata attraverso il rilascio dei documenti di copertura, a carattere provvisorio e in attesa che, al termine del programma di protezione, si abbia il cambiamento definitivo delle generalità;

c) l’assistenza economica, per le spese che il soggetto protetto, impossibilitato a svolgere un’attività lavorativa, deve sostenere per l’assistenza legale e il mantenimento proprio e della sua famiglia, e quella sanitaria, realizzata rilasciando alle persone sottoposte al programma di protezione tessere sanitarie con nominativi di copertura per poter utilizzare le prestazioni delle strutture pubbliche in condizioni di sicurezza;

d) il reinserimento socio-lavorativo, al fine di raggiungere l’autonomia economica, attraverso attività di supporto e agevolazioni amministrative, promuovendo anche l’iscrizione a corsi professionali organizzati dagli enti locali o dalle Camere di Commercio per avviare attività autonome.