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Art. 11

Decisione sulle questioni di giurisdizione

1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito.

2. Quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato.

3. Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest’ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione.

4. Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest’ultima al giudice amministrativo, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio è riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite.

5. Nei giudizi riproposti, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, può concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti.

6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.

7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione.

Bibliografia: Quaranta – Lopilato , Il processo amministrativo: Commentario al Decreto Legislativo 104/2010, Milano, 2011; S. Veneziano, La giurisdizione e la competenza inderogabile, in www.giustizia-amministrativa.it

 

Sommario: 1. Il principio della translatio iudicii: la sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2007. 2. La riproposizione del processo. 3. Il conflitto di giurisdizione. 4. Il riconoscimento dell’errore scusabile e la rimessione in termini

 

1. Il principio della translatio iudicii: la sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2007

L’articolo 11 CPA codifica il principio della translatio iudicii, principio imposto dalla celebre sentenza n. 77/2007 della Corte Costituzionale. Nel testo della sentenza viene sottolineato come il riparto di giurisdizione è stato creato a tutela del cittadino, e non può mai costituire un danno per quest’ultimo. È proprio in quest’ottica che è stato introdotto all’interno del nostro ordinamento il principio della translatio iudicii, secondo cui quando la giurisdizione è declinata da un giudice amministrativo in favore di un altro giudice nazionale o viceversa, vengono sempre fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda qualora il processo venga riproposto innanzi al giudice designato in sede di pronuncia di declino della giurisdizione (entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato di detta sentenza). Nella celebre sentenza appena richiamata, i giudici hanno stabilito la sussistenza del principio della transaltio iudicii nel rapporto tra giudice ordinario e giudice speciale, ogni qualvolta vi sia una pronuncia sulla giurisdizione. La Corte Costituzionale ha infatti affermato che il divieto di transaltio iudicii si tradurrebbe in un meccanismo contrastante con l’effettività del diritto alla difesa, e che l’esistenza di più ordini giurisdizionali non può rappresentare in alcun modo un depotenziamento del diritto della difesa dei cittadini. 

A seguito di questa sentenza, con l’articolo 11 del Codice, il legislatore ha definitivamente recepito quanto sostenuto dalla giurisprudenza, prevedendo, tuttavia, che la salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda non si estende anche alla piena utilizzabilità delle prove dedotte innanzi al giudice privo di giurisdizione. L’articolo 11 comma 6 prevede infatti che le prove raccolte in precedenza possono essere valutate dal nuovo giudice come meri argomenti di prova. Il giudice dinnanzi a cui è riassunto il giudizio, non potrà infatti decidere unicamente sulla base delle prove acquisite dal giudice privo di giurisdizione nel giudizio precedente. Tale assunto lascia intendere che non vi è una assoluta e completa comunicabilità tra giurisdizioni differenti.

 

2. La riproposizione del processo

Al primo comma dell’articolo 11, al fine di fare salvi gli effetti sostanziali e processuali, viene stabilito che condizione necessaria è che il processo venga “riproposto”. L’uso del termine “riproposto” fa dunque intendere che l’autore della domanda non potrà essere qualsiasi parte coinvolta nel processo precedente, ma dovrà necessariamente essere colui che originariamente aveva proposto domanda innanzi al giudice sfornito di giurisdizione. 

Una volta declinata la propria giurisdizione, il giudice, sia esso amministrativo, civile, contabile, tributario o speciale, deve indicare il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. Non deve invece riferire nulla per quanto riguarda i termini per la riassunzione della causa e sugli effetti della riassunzione, poiché tali profili, sono tutti disciplinati dalla legge.

 

3. Il conflitto di giurisdizione

Il giudice designato in seguito al declino di giurisdizione da parte di un altro giudice, deve sempre e in via preliminare verificare se egli stesso possiede la giurisdizione e di conseguenza è tenuto ad autolegittimarsi. Qualora non sia così, è tenuto invece a sollevare il conflitto di giurisdizione, rimettendo la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che dovranno risolverla in maniera definitiva. Quanto deciso infatti dalla Cassazione non potrà più essere in alcun modo messo in discussione. Anche in questa circostanza, vengono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, qualora il giudizio venga riproposto entro tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite.

 

4. Il riconoscimento dell’errore scusabile e la rimessione in termini

Il comma 5 dell’articolo 11 del Codice regola la possibilità di rimessione in termini per errore scusabile. Nei giudizi riproposti è infatti possibile per il giudice concedere, con riguardo a preclusioni e decadenze intervenute, la remissione in termini per errore scusabile. 

Tale beneficio, previsto dall’articolo 37 del CPA, riveste carattere strettamente eccezionale, in quanto rappresenta una deroga al principio della perentorietà dei termini processuali, ed è dunque soggetto a regole di stretta interpretazione. I presupposti per rilevare l’errore scusabile e concedere la rimessione in termini, infatti, sono esclusivamente riferiti a: oscurità del quadro normativo, oscillazioni giurisprudenziali, comportamenti ambigui dell’amministrazione, ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge ed infine nel caso fortuito e nella forza maggiore (Cons. St. IV, n. 1965/2017). L’uso del suddetto istituto, seppur circoscritto nelle caratteristiche che sono state appena evidenziate, con l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico, è stato piuttosto frequente.

 

Il punto di vista dell’autore

Negli ultimi anni, il tema della translatio iudicii è stato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali che ne hanno definito limiti e caratteristiche. 

Ad esempio, il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 573 del 22 gennaio 2019, ha chiarito che, qualora un giudice abbia declinato la propria giurisdizione, l’atto successivo necessario alla prosecuzione del giudizio è diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima. 

È necessario infatti verificare se si tratti di un passaggio da un processo di tipo di tipo prevalentemente impugnatorio ad uno esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa: in questo caso l’atto di prosecuzione dovrà assumere la forma di riproposizione della domanda, con conseguente adattamento del petitum. Nel caso in cui invece il giudizio prosegua verso altro avente le medesime caratteristiche, detto atto assume la forma di un atto di riassunzione, regolato dall’articolo 125-bis disp. att. c.p.c.