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Art. 112

Disposizioni generali sul giudizio di ottemperanza

1. I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.

2. L’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione:

a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;

b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;

d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;

e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

3. Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione. (1)

(...) (2)

5. Il ricorso di cui al presente articolo può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza.

 

(1) Il comma che così recitava: "3. Può essere proposta anche azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonchè azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato." è stato sostituito dal Decreto Legislativo 15 novembre 2011, n. 195.

(2) Il comma che così recitava: "4. Nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all’articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario." è stato soppresso dal Decreto Legislativo 15 novembre 2011, n. 195.

Bibliografia. Cacciavillani, Il giudizio di ottemperanza: il processo esecutivo amministrativo, Roma, 1998; Castro, Il giudizio di ottemperanza amministrativa, Milano, 2012; Chieppa, Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2011; Daidone – Patroni Griffi, Il giudizio di ottemperanza, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015; De Nictolis, Processo amministrativo Formulario commentato, Milano, 2019; Giovagnoli (a cura di), Formulario del processo amministrativo, Milano, 2012; Pepe, Giudicato amministrativo e sopravvenienze, Napoli, 2017; Quaranta – Lopilato, Il processo amministrativo: Commentario al Decreto Legislativo. 104/2010, Milano, 2011; Sanino, Codice del processo amministrativo, Milano, 2011; Scoca, Giustizia Amministrativa, Torino, 2003.

 

Sommario. 1. L’evoluzione del giudizio di ottemperanza. 2. Il dovere di esecuzione da parte della pubblica amministrazione. 3. L’Ambito del giudizio di ottemperanza. 4. I presupposti per l’instaurazione del giudizio. 5. L’ottemperanza e il risarcimento del danno.

 

1. L’evoluzione del giudizio di ottemperanza

Il giudizio di ottemperanza è un istituto peculiare del diritto processuale amministrativo, storicamente controverso, in ragione principalmente del fatto che prima dell’emanazione del Codice la sua disciplina risultava essere vetusta e lacunosa. 

L’articolo 27, primo comma, n. 4 del regio decreto del 26 giugno 1924, n. 1054 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) è stato utilizzato, fino all’entrata in vigore dell’attuale Codice, per disciplinare la giurisdizione di merito nei riguardi dei “ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbiano riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico”, attribuendo tale giurisdizione proprio al Consiglio di Stato. A tale norma si è poi aggiunta la l. n. 1034/1971, istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali, la quale, tuttavia, si limitava nell’articolo 37 a disciplinare le questioni relative al riparto di competenze tra i Tribunali Amministrativi Regionali ed il Consiglio di Stato e tramite l’articolo 27 operava un vago rinvio al già citato articolo 27 del r.d. n. 1054 del 1924, il quale come già osservato, riguardava esclusivamente l’esecuzione delle sentenze del giudice ordinario. 

In questo contesto, in cui il giudizio di ottemperanza non riceveva una regolamentazione dettagliata e le regole processuali non erano altro che un derivato della giurisprudenza amministrativa, si chiedeva a gran voce, già dagli inizi degli anni ’90, una disciplina puntuale ed organica dell’istituto, che la dottrina (tra gli altri, M. Nigro) e la giurisprudenza intendevano come un processo a natura mista “di cognizione e di esecuzione” (Cons. St., Sez. VI, 3 marzo 2008, n. 796), volto a “integrare l’originario disposto della sentenza da eseguire con statuizioni che ne costituiscono non una mera “esecuzione”, ma “attuazione” in senso stretto, dando così luogo al c.d. fenomeno del giudicato a formazione progressiva e risolvendo eventuali problemi di interpretazione e di integrazione che sarebbero comunque devoluti alla propria giurisdizione”(Cons. St., Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3871; sulla natura del giudizio di ottemperanza v. anche Corte Cost., ord. 10 dicembre 1998, n. 406, secondo cui “il giudizio di ottemperanza assume diversi modi di essere in relazione alla situazione concreta, alla statuizione giudiziale da attuare, alla natura dell’atto censurato. In particolare il giudizio di ottemperanza può costituire semplice giudizio esecutivo, […] può essere utilizzato anche in difetto di completa individuazione del contenuto della prestazione o attività oggetto del dovere dell’Amministrazione […] non deve modellarsi necessariamente anche nei presupposti sul processo esecutivo ordinario, tenuto conto delle peculiarità funzionali del giudizio amministrativo, con potenzialità sostitutive e intromissive nell’azione amministrativa incomparabili ai poteri del giudice dell’esecuzione del processo civile”). 

Tale disciplina è giunta con l’emanazione del Codice del processo amministrativo, che contiene una puntuale normazione del giudizio di ottemperanza. 

Va subito rilevato come il legislatore abbia volutamente evitato di incardinare il processo di ottemperanza entro uno schema predefinito. Le disposizioni codicistiche infatti, delineano solo le caratteristiche di fondo del giudizio, confermando la natura “mista” del processo di ottemperanza, che, tuttavia, assume una portata diversa rispetto a come era precedentemente intesa almeno sotto due profili. Il primo profilo, con carattere che potrebbe definirsi incidentale (lo definisce così ad esempio V. Lopilato), riguarda la possibile proposizione di azioni risarcitorie derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato, ovvero azioni di nullità degli atti posti in essere sempre in violazione o elusione del precedente giudicato. Pretese dunque che non hanno connessione con il precedente giudizio, ma collegate ad eventi che si possono verificare nella stessa fase esecutiva. Il secondo profilo, invece, è legato alla tipologia di azioni esperite nel processo di cognizione, dipendendo quindi dalle modalità di tutela azionate e dal contenuto della sentenza emanata. Gli spazi di cognizione sono diversi a seconda del tipo di azione proposta. Spetta infatti al giudice dell’ottemperanza integrare l’originario disposto della sentenza, con statuizioni che ne siano attuazione in senso stretto, risolvendo egli stesso eventuali problemi di interpretazione, più o meno accentuati, a seconda del grado di dettaglio della decisione da eseguire. Quest’ultimo profilo, peraltro, avrebbe potuto essere ampliato qualora si fosse accolta la proposta, contenuta nel testo approvato del Consiglio di Stato, di introduzione nel processo amministrativo dell’azione di adempimento. Tale azione, infatti, qualora accolta, avrebbe potuto estendere la parte dispositiva delle sentenze del giudice amministrativo, ricomprendendo anche la condanna per l’amministrazione a rilasciare un determinato provvedimento con conseguente minore necessità di interventi interpretativi e integrativi da parte del giudice dell’ottemperanza. La mancata adozione nel testo del Codice di suddetto elemento ha fatto sì che sia rimasto del tutto inalterata la sequenza formata da: annullamento, successiva inerzia della P.A. ovvero manifesta volontà di non adempiere della P.A. e infine conseguente attivazione del giudizio di ottemperanza. 

 

2. Il dovere di esecuzione da parte della pubblica amministrazione

Il primo comma dell’articolo 112 prevede che “i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti”. La disposizione è in linea con il precedente riferimento normativo presente nel testo dell’articolo 88 del r.d. n. 1054 del 1924, il quale, emanato in un periodo storico in cui non era previsto il giudizio di ottemperanza, stabiliva che “l’esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa, eccetto che per la parte relativa alle spese”. I provvedimenti del giudice amministrativo infatti, ai sensi del comma 1 del articolo 112 devono essere sempre eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti, e, solo ove questo non si verifichi, può essere proposta l’azione di ottemperanza. L’inerzia della P.A. nell’eseguire i provvedimenti emanati dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario costituiscono dunque presupposto necessario affinché possa essere instaurato il giudizio di ottemperanza.

 

3. L’Ambito del giudizio di ottemperanza

Il secondo comma dell’articolo 112 delinea l’ambito del giudizio di ottemperanza, ricomprendendo al suo interno diverse tipologie di decisioni emesse nei confronti della P.A.: a) sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) sentenze esecutive e altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; c) sentenze passate in giudicato, e altri provvedimenti ad esse equiparati, del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato; d) sentenze passate in giudicato e altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione; e) lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

Per quanto concerne le sentenze ricomprese alla lettera a) del primo comma dell’articolo in esame, la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare che il giudizio di ottemperanza non è attivabile quando ci si trova in presenza di decisioni strettamente auto esecutive, ossia quelle sentenze che non necessitano di alcun atto successivo da parte della P.A. per la soddisfazione della parte vincitrice, in quanto l’interesse sostanziale della suddetta parte vincitrice risulta pienamente soddisfatto già con la sola emanazione della sentenza che ha carattere demolitorio(ex multis Cons. St. III, n. 130/2013; Cons. St., n. 908/2012; Cons. St., n. 6875/2011 e Cons. St., n. 5549/2010). Il giudizio di ottemperanza non è inoltre attivabile quando viene emanata una pronuncia di rigetto (Cons. St. VI, 1675/2013) ovvero di rito. 

L’articolo 112 prevede poi anche l’esperibilità del giudizio di ottemperanza per conseguire l’esecuzione dei giudicati del giudice ordinario, nonché dei giudicati di giudici speciali per i quali non è previsto un rimedio esecutivo davanti ad essi. In questi casi è presupposto necessario per poter instaurare il giudizio, che la sentenza del giudice ordinario (o speciale) sia passata in giudicato. Si ritiene non ci sia alcun tipo di pregiudizialità tra il giudizio di revocazione e quello di ottemperanza, possibile anche nei confronti di sentenze non definitive emesse dal giudice amministrativo. Controverso è invece il caso in cui venga esperito il giudizio di ottemperanza per sentenze di altre giurisdizioni: in tali casi la pendenza di un giudizio di revocazione straordinaria, che non impedisce il formarsi del giudicato, è ritenuta da parte della dottrina (tra tutti: Chieppa) pregiudiziale rispetto al giudizio di ottemperanza, perché dall’esito del giudizio di revocazione dipenderebbe l’obbligo o meno della P.A. di conformarsi al giudicato ordinario e di conseguenza dipenderebbe la possibilità o meno per la parte di chiedere l’ottemperanza della P.A. In ogni caso, l’ottemperanza delle sentenze emanate dal giudice ordinario presuppone sempre la necessità di ottenere l’adempimento da un soggetto che sia identificabile in una pubblica amministrazione in senso stretto. È per questa ragione che tale istituto non può essere applicato ove la decisione sia stata emessa nei confronti delle società in house. Nonostante, infatti, quest’ultime siano equiparate a un ente pubblico (Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2013 n. 26283, ribadito con ordinanza 2 dicembre 2013 n. 26936), la giurisprudenza del Consiglio di Stato tende ad escludere l’esperibilità dell’azione di ottemperanza ex articolo 112, comma 2, lett. c), cod. proc. amm. nei confronti di una società in house (Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2015 n. 502), non esistendo alcuna norma che equipari le società in house ad una Pubblica Amministrazione ed essendo evidente che nella generalità delle ipotesi il provvedimento del giudice ordinario del quale si chiede l’esecuzione ha per oggetto comportamenti posti in essere senza spendita di potere, ma nell’esercizio di potestà privatistiche (v. in proposito T.A.R. Emilia Romagna 16 febbraio 2015, n. 47, che non ammette alcuna possibilità di estensione del giudizio di ottemperanza nei confronti delle società in house, ritenendo fermamente che il giudizio di ottemperanza sia un giudizio “contro l’amministrazione”, azionabile esclusivamente al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della stessa di conformarsi al giudicato, poiché l’esperimento del rimedio in esame ha come conseguenza, nella maggioranza dei casi, la nomina di un commissario ad acta, una “figura prevista dall’ordinamento per il caso di perdurante inerzia dell’amministrazione e non certo del privato, nei cui confronti sono esperibili diversi rimedi […] la cui esistenza, conduce i giudici a ritenere l’ottemperanza avverso i privati non soltanto irrealizzabile ma neanche necessaria non configurandosi alcun vuoto di tutela”).

Alla sentenza passata in giudicato è equiparato il decreto ingiuntivo, dichiarato esecutivo per mancata opposizione nei termini (TAR Calabria, Sez. II, 7 febbraio 2011, n. 164). Nel processo civile, il decreto ingiuntivo non opposto, definendo la controversia al pari di una sentenza passata in giudicato, ed essendo dunque impugnabile solo con la revocazione o con l’opposizione di terzo nei casi previsti dall’articolo 656 c.p.c., ha valore di cosa giudicata anche ai fini del ricorso per l’ottemperanza (previsto appunto alla lettera c) dell’articolo 112 del CPA). Condizione essenziale per la proposizione del ricorso per l’esecuzione di decreto ingiuntivo non opposto è però la seguente: lo stesso deve essere stato dichiarato esecutivo ai sensi dell’articolo 647 c.p.c. (a conferma di ciò cfr. Cons. St., sez. V, n. 1609/2015).

L’articolo 112 ha inoltre espressamente introdotto alla lettera e) la possibilità di utilizzare l’azione di ottemperanza per vedere eseguiti i lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili. Il dettato del nuovo Codice recepisce l’equiparazione di cui all’articolo 824 bis c.p.c (secondo il quale “il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”). Tale equiparazione è stata anche supportata dalla giurisprudenza (si osservi ad esempio: Cons. St., n. 2542/2011), la quale ha rilevato che il lodo arbitrale, che ha tra le sue caratteristiche quella di acquistare l’efficacia di cosa giudicata e, una volta reso esecutivo, è riconosciuto ai sensi dell’articolo 474 del c.p.c come titolo esecutivo, idoneo a costituire presupposto per l’iscrizione di ipoteca giudiziale ex articolo 2818 c.c.,  nonché titolo per la trascrizione o l’annotazione nei registri immobiliari, può essere senza alcun dubbio oggetto di  un eventuale giudizio di ottemperanza.

 

4. I presupposti per l’instaurazione del giudizio

I presupposti del giudizio di ottemperanza sono: l’esistenza di una decisione da eseguire e il mancato adempimento rispetto alla suddetta decisione.

Come è stato sottolineato nel paragrafo precedente l’articolo 112, co. 2, lettera a) stabilisce che il giudizio di ottemperanza può essere proposto avverso le sentenze del Giudice Amministrativo passate in giudicato. Alla lettera b) del medesimo comma dell’articolo 112 invece il legislatore mantiene distinte dalle sentenze passate in giudicato le sentenze e gli altri provvedimenti solo esecutivi, avverso i quali è comunque possibile proporre giudizio di ottemperanza. 

Per giudicato amministrativo è da richiamarsi senza alcuna perplessità la nozione di giudicato formale prevista all’articolo 324 del c.p.c. A norma di detto articolo, si definisce passata in giudicato la sentenza avverso la quale non sono più ammessi mezzi di impugnazione. 

Per esperire il giudizio è necessario, inoltre, che la P.A. sia inadempiente. In particolare, la possibilità di dare avvio al giudizio di ottemperanza si realizza solo ed esclusivamente nel caso in cui l’amministrazione non abbia dato esecuzione, corretta esecuzione ovvero completa esecuzione di quanto disposto all’interno della sentenza. L’inadempimento va quindi inteso non solo come omissione dell’amministrazione, ma anche come azione non conforme al giudicato (M. Nigro). Secondo la giurisprudenza inoltre, costituiscono inadempimento sia l’inerzia o il rifiuto esplicito di provvedere (Cons. St. VI, n. 469/1991), sia l’adempimento parziale, l’emanazione di atti preparatori, meramente istruttori o atti non necessari, non seguiti poi da effettivo adempimento. Viene inteso come inadempimento anche l’inizio di ottemperanza mai portata a definitivo compimento (sul punto la giurisprudenza è ormai consolidata e alquanto risalente: Cons, St. Ad. Plen., n. 2/1980; Cons. St. VI, n. 125/1990; Cons. St. IV, n.5354/2003). 

 

5. L’ottemperanza e il risarcimento del danno

Ottemperanza e risarcimento del danno possono, nel processo amministrativo, essere considerati, in termini di tutela per il ricorrente, l’uno il completamento dell’altra. L’azione di risarcimento, quando sopravviene un ostacolo insuperabile alla soddisfazione dell’interesse leso dalla P.A., fa sì che la tutela per l’interessato venga comunque garantita.

In molti casi tuttavia, in sede di cognizione il giudice di merito non è in grado di prevedere se ed in che misura l’amministrazione condannata potrà conformarsi al giudicato. Nei casi in cui la domanda del privato è volta conseguire un bene della vita, sovente la possibilità di conseguire il bene oggetto della pretesa dipende dal momento in cui l’amministrazione esegue il giudicato. Naturale conseguenza di quanto espresso è che solo all’esito dell’ottemperanza di un giudicato di annullamento è possibile procedere all’eventuale quantificazione di un danno per equivalente. Fino all’entrata in vigore del Codice, la proponibilità di domande risarcitorie in sede di ottemperanza è stata oggetto di pronunce giurisprudenziali ondivaghe, dettate dall’assenza di una espressa previsione legislativa che consentisse la possibilità di proporre le due azioni in maniera cumulativa. Il Codice, con la previsione dell’articolo 112 comma 4, prevedeva la possibilità di proporre domanda di risarcimento in sede di ottemperanza qualora ci fosse connessione tra le due azioni. La novità risiedeva nella circostanza di poter cumulare due azioni (quella di esecuzione e quella di risarcimento), che solitamente sono tra di loro alternative. 

La giurisprudenza ha da subito recepito ed evidenziato la novità rispetto alla precedente disciplina (Cons. St. V, n. 8142/2010). Il cumulo delle due domande, sulla base di quanto determinato dall’articolo 112 comma 4, determinava solamente che il giudizio venisse trattato in udienza pubblica con modalità e termini del rito ordinario. 

In sede di prima applicazione del citato articolo tuttavia, la giurisprudenza si è trovata a dover analizzare una diversa tesi interpretativa, secondo la quale il riferimento al rito ordinario si sarebbe dovuto estendere anche alle regole di competenza di tale giudizio e dunque si sarebbe dovuto imporre sempre il doppio grado di giudizio. Secondo una parte della giurisprudenza, la domanda risarcitoria sarebbe dovuta essere proponibile nel processo di ottemperanza sia per i danni derivanti da mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato, sia per i danni derivanti dall’originario illegittimo esercizio della funzione pubblica; in quest’ultimo caso la legge avrebbe dovuto imporre il rispetto delle forme del processo ordinario e dunque avrebbe dovuto essere rispettato anche il principio del doppio grado di giudizio(Cons. St. V, n. 2031/2011). Tale interpretazione aveva come inevitabile conseguenza quella di ritenere che suddetta domanda poteva essere avanzata in sede di ottemperanza solo nei giudizi innanzi al Tar e non in quelli relativi ad un giudicato formatosi a seguito di sentenza emessa dal Consiglio di Stato. Tale tesi si trovava però in contrasto ad esempio nei confronti dell’articolo 113 CPA, che disciplina proprio la competenza nel giudizio di ottemperanza e prevede anche ipotesi di competenza del Consiglio di Stato in un unico grado, non potendo il criterio di distribuzione tra più giudici della potestas iudicandi variare qualora venga proposta domanda ulteriore (ossia la domanda di risarcimento).

Per ovviare a suddetto dubbio interpretativo il legislatore è intervenuto sulla questione in sede di primo correttivo del Codice. La soluzione prevalsa è stata quella di abrogare l’intero comma 4 dell’articolo 112, e di ampliare l’applicazione del comma 3, chiarendo che quando la domanda di risarcimento è proponibile in sede di ottemperanza viene rispettata la competenza del giudice dell’ottemperanza, anche in deroga al doppio grado di giudizio. La novità risiede nel fatto che ora il comma 3 stabilisce che in sede di ottemperanza non è più possibile proporre una qualsiasi domanda risarcitoria connessa all’ottemperanza stessa, ma solo la domanda di risarcimento dei danni connessi alla mancata esecuzione o impossibilità di esecuzione del giudicato, oltre che alla sua violazione o elusione.  Rispetto alla precedente disciplina possono ora essere chiesti, in sede di ottemperanza, sia i danni successivi al giudicato, sia quelli antecedenti.

 

Il punto di vista dell’autore

L’articolo 112 del Codice è espressione della sensibilità, maturata negli ultimi venti anni, verso il tema dell’effettività della tutela, elevato a principio generale del processo amministrativo dall’articolo 1 del Codice. 

Il giudizio di ottemperanza, infatti, si colloca nella prospettiva di garantire al cittadino, nei rapporti con la pubblica amministrazione, la concreta possibilità di utilizzare strumenti di tutela e di coazione, in grado di assicurargli, qualora l’esito della controversia sia a lui favorevole, la restaurazione specifica del “bene della vita” leso ovvero una soddisfazione equivalente. 

L’esecuzione della decisione del giudice amministrativo ha senza dubbio una portata più ampia rispetto a quella propria delle decisioni del giudice civile, poiché ricomprende, come espresso nel testo dell’articolo 112, tutte le attività cognitive necessarie e idonee a garantire l’attuazione del comando giudiziale. Tanto che la normativa italiana che disciplina il giudizio di ottemperanza è considerata più avanzata rispetto ad altri ordinamenti europei, proprio perché in grado di assicurare, per il fatto di mettere a disposizione del giudice potenti strumenti coercitivi, una tutela piena per il soggetto vittorioso.