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Art. 114

Procedimento

1. L’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

2. Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato. (1)

3. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.

4. Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:

a) ordina l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione; 

b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;

c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano; 

d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;

e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali (3).

5. Se è chiesta l’esecuzione di un’ordinanza il giudice provvede con ordinanza.

6. Il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell’ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni. Gli atti emanati dal giudice dell’ottemperanza o dal suo ausiliario sono impugnabili dai terzi estranei al giudicato ai sensi dell’articolo 29, con il rito ordinario. (2)

7. Nel caso di ricorso ai sensi del comma 5 dell’ articolo 112, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.

8. Le disposizioni di cui al presente Titolo si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza.

9. I termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III.

 

(1) Comma così sostituito dall’articolo 1, comma 1, lett. dd, n. 1), Decreto Legislativo 15 novembre 2011, n. 195.

(2) Comma così sostituito dall’articolo 1, comma 1, lett. dd, n. 2), Decreto Legislativo 15 novembre 2011, n. 195.

(3) Lettera così modificata dall’ articolo 1, comma 781, lett. a), L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Bibliografia: Cacciavillani, Il giudizio di ottemperanza: il processo esecutivo amministrativo, Roma, 1998; Castro, Il giudizio di ottemperanza amministrativa, Milano, 2012; Chieppa, Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2011; Daidone – Patroni Griffi, Il giudizio di ottemperanza, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015; De Nictolis, Processo amministrativo Formulario commentato, Milano, 2019; Giovagnoli (a cura di), Formulario del processo amministrativo, Milano, 2012; Pepe, Giudicato amministrativo e sopravvenienze, Napoli, 2017; Quaranta – Lopilato, Il processo amministrativo: Commentario al Decreto Legislativo. 104/2010, Milano, 2011; Sanino, Codice del processo amministrativo, Milano, 2011; Scoca, Giustizia Amministrativa, Torino, 2003.

 

Sommario: 1. La Diffida ad adempiere e le modalità di svolgimento del giudizio di ottemperanza. 2. La legittimazione. 3. Il contraddittorio. 4. I poteri del giudice dell’ottemperanza. 5. Il contenuto della sentenza. 6. Il regime degli atti adottati dal commissario ad acta. 7. Il regime delle impugnazioni.

 

1. La diffida ad adempiere e le modalità di svolgimento del giudizio di ottemperanza

L’articolo 114 CPA regola il procedimento del rito di ottemperanza, che si svolge in camera di consiglio. La legge vigente prima del Codice prevedeva che per poter proporre l’azione di ottemperanza fosse necessaria la notifica alla P.A. di una diffida ad adempiere, entro un termine non inferiore a trenta giorni. La giurisprudenza pre-codicistica riteneva tuttavia non necessaria la suddetta diffida, qualora fosse manifesta la volontà della P.A. di non adempiere in tutto o in parte al giudicato (Cons. St., sez. VI, n. 3160/2008 e, in precedenza, Cons. St., sez. IV, n. 4568/2001). 

La soluzione adottata nel Codice è stata quella di optare per la non necessarietà della diffida: l’azione, infatti, ai sensi del comma 1 dell’articolo 114 CPA, può essere proposta “anche senza previa diffida”, dovendo quindi il ricorso essere unicamente notificato alla P.A. e alle altre parti del giudizio definito con la sentenza da ottemperare. Questa eliminazione semplifica la tutela giurisdizionale, poiché garantisce all’interessato una possibilità di tutela più rapida che non pregiudichi l’interesse a vedere eseguite le statuizioni della sentenza da ottemperare. La parte può in ogni caso decidere di mettere in mora l’amministrazione attraverso l’uso di ulteriori strumenti più semplici rispetto alla diffida, quali la raccomandata ovvero la mail certificata. 

L’articolo 114 determina inoltre il termine di prescrizione decennale per l’actio iudicati. Dal dettato normativo emerge, infatti, la volontà del legislatore di circoscrivere l’esperimento dell’azione di ottemperanza nell’ordinario termine decennale di prescrizione, non emergendo inoltre dal testo del Codice ragioni per cui escludere l’applicabilità delle ipotesi di interruzione di cui agli articolo 2943 e seguenti del c.c. Anche la giurisprudenza è concorde nell’ammettere la possibilità di atti interruttivi della prescrizione dell’azione di ottemperanza (in questo senso Cons. St. VI, n. 6432/2014).

Per quanto attiene alle modalità di svolgimento del giudizio di ottemperanza, questo viene effettuato con modalità semplificate, in virtù dell’assoggettamento al rito camerale. Qualora però la domanda di ottemperanza venga cumulata con ulteriori domande, vi è la possibilità di passare al più formale rito dell’udienza pubblica. Va qui precisato, che la semplificazione del rito non fa venir meno in nessun modo la garanzia del pieno esercizio dei diritti di difesa, che anzi con l’emanazione del Codice sono stati rafforzati. 

 

2. La legittimazione

L’articolo in esame non determina nulla rispetto alla legittimazione attiva ad agire in ottemperanza, ma è ormai pacifico ritenere che suddetta legittimazione spetti alle parti del giudicato da eseguire. Di recente, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha poi rilevato la possibilità che il giudicato in determinati casi possa produrre effetti ultra partes. Ciò accade quando l’annullamento ha per oggetto: i) un atto regolamentare per la sua normativa generale e astratta; ii) un atto plurimo scindibile, se l’accoglimento del ricorso si riferisce ad un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari; iii) un atto plurimo inscindibile; iv) un atto che provvede in maniera unitaria nei confronti di una pluralità di soggetti (Cons. St. Ad. Plen., n. 4/2019). 

Dalla lettera del comma 1 dell’articolo 114 si evince, invece, che la legittimazione passiva spetta alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio, ossia a tutti i soggetti a cui deve essere notificato il ricorso. Un’opzione interpretativa sostiene che il ricorso per ottemperanza può essere esperito anche nei confronti di un soggetto pubblico estraneo al giudizio di merito ma chiamato a porre in essere dal giudice amministrativo “un’attività vincolata o adempitiva” (Cons. St. VI, n. 4934/2008). Per P.A. è da intendersi, come specificato anche nell’articolo 7 comma 2 del CPA, anche il soggetto ad essa equiparato o comunque tenuto al rispetto dei principi del procedimento amministrativo (equiparazione che va naturalmente effettuata sempre in concreto in base alla attività effettivamente svolta dal soggetto che può, come è stato sottolineato in precedenza per quanto attiene ad esempio alle società in house, qualificarsi per certi aspetti come attività pubblica e dunque assoggettata ai principi del procedimento amministrativo, per altri come attività di matrice privatistica e dunque assoggettabile ai rimedi di regime civilistico).

 

3. Il contraddittorio

Prima dell’entrata in vigore del Codice, l’articolo 90 del regio decreto n. 642 del 1907 si limitava a stabilire che la segreteria desse immediata comunicazione del ricorso “al Ministero competente”, il quale, entro venti giorni dalla ricezione della comunicazione, aveva facoltà di presentare le sue osservazioni alla segreteria stessa. La Corte Costituzionale non aveva ritenuto illegittima tale norma, avendola in più pronunce interpretata “nel senso di prevedere un obbligo di comunicare l’atto nella sua interezza, in tempo utile e in modo da consentire alla pubblica amministrazione un’effettiva conoscenza della domanda e dell’articolazione tempestiva dei mezzi di difesa” (Corte Cost. n.100/2006 e Corte Cost. n. 441/2005). Questa interpretazione sostanzialmente equiparava la comunicazione alla notificazione. L’articolo 114 comma 1 del Codice ha invece ora previsto, che il ricorso di ottemperanza debba essere notificato “a tutte le parti del giudizio”. Vengono quindi ricompresi non soltanto i controinteressati, ossia i soggetti che hanno interesse al mantenimento della situazione oggetto della sentenza che definisce il giudizio, ma anche tutti i soggetti che beneficiano dall’attuazione del giudicato e che dunque potrebbero proporre a loro volta il giudizio di ottemperanza (in questo senso D. Giannini).

Ai sensi del comma 2 dell’articolo 114 inoltre, deve essere depositato congiuntamente al ricorso il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del passaggio in giudicato del suddetto provvedimento.

 

4. I poteri del giudice dell’ottemperanza

All’interno del giudizio di ottemperanza, il giudice competente è titolare di poteri finalizzati ad assicurare la piena attuazione del contenuto della sentenza da eseguire. 

Nell’articolo 114 comma 4 lett. a), è previsto che il giudice ordina l’ottemperanza, prescrivendone le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione. Alla lettera d) del medesimo comma è poi previsto che il giudice, ove occorra, può nominare il c.d. commissario ad acta, figura che verrà analizzata più avanti. È quindi il giudice che, in base alla situazione che gli si prospetta innanzi, ha il potere di stabilire quali siano le misure più idonee per garantire l’ottemperanza del giudicato. Non è tuttavia chiaro dal testo del Codice se l’amministrazione conservi o meno il potere di eseguire la sentenza una volta spirato il termine deciso dal giudice dell’ottemperanza. Secondo un orientamento confermato di recente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen., n. 7/2019), una volta scaduto il suddetto termine, l’amministrazione vedrebbe consumato il proprio potere, con il successivo subentro del commissario ad acta. Il giudice dell’ottemperanza ha poi il potere di dichiarare nulli gli eventuali atti posti in essere in violazione o elusione del giudicato (articolo114, co. 4, lett. b, CPA) e, nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, il giudice determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti posti in essere in violazione o elusione della sentenza e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano.

 

5. Il contenuto della sentenza

Il giudice del giudizio dell’ottemperanza è titolare, come è stato appena detto, di estesi poteri per poter consentire l’attuazione del giudicato. Egli può infatti sostituirsi, in sede di emanazione della sentenza, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, all’amministrazione stessa. 

Il Codice non prevede alcun principio per quanto attiene alle sopravvenienze di fatto e di diritto al giudicato, dovendo queste essere valutate dal giudice dell’ottemperanza in maniera sistematica sulla base del caso concreto. Le sopravvenienze di fatto possono rappresentare un ostacolo all’attuazione del giudicato e di conseguenza aprire la strada al risarcimento per equivalente; per le sopravvenienze di diritto invece, orientamento diffuso è quello che ritiene si debba applicare la norma vigente al momento della notificazione della sentenza definitiva (Cons. St. IV,  n. 3615/2008).

Nei casi in cui non è possibile o è chiaro che la P.A. non ha alcuna intenzione di conformarsi al giudicato amministrativo, il Codice ha introdotto una significativa novità: la previsione di un mezzo di coazione indiretta, simile alla figura delle astreintes, previste in diversi ordinamenti europei, uno tra tutti, quello francese. Le astreintes nel diritto francese sono infatti dei modelli giurisprudenziali di coercizione indiretta volti a spingere un obbligato inadempiente ad un adempimento coatto. Consistono in una somma da pagare da parte del debitore qualora si rifiuti di ottemperare all’ordine del giudice di eseguire la prestazione dovuta. L’articolo 114 comma 4, lett. e) prevede appunto che “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, [il giudice] fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo” (in conformità con quanto previsto dall’articolo 614-bis comma 1, c.p.c.).

Secondo la giurisprudenza, detto istituto, costituisce a tutti gli effetti una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, che ha come obiettivo quello di far desistere il debitore dal non adempiere e di eseguire l’obbligazione disposta dal giudice a suo carico. La misura appare essenzialmente sanzionatoria, in quanto volta non a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma piuttosto a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e a spingere il debitore all’adempimento (Cons. St. V, n. 6688/2011). 

Va sottolineato che tale misura, nel diritto amministrativo, si può applicare solo ed esclusivamente alle sentenze pronunciate in sede di ottemperanza. La fissazione del quantum della sanzione avviene su richiesta di parte, viene emessa a seguito di un giudizio insindacabile e deve essere formulata secondo determinati parametri. Secondo la giurisprudenza inoltre, l’astreinte può trovare applicazione anche in un periodo successivo alla nomina del commissario ad acta, ma non dopo l’insediamento dello stesso (Cons. St. V, n. 2547/2012). 

Sull’alternatività della nomina del commissario rispetto alla sanzione tramite astreinte, la giurisprudenza degli ultimi anni ha avuto orientamenti contrastanti. Da una parte è stato sostenuto che tale istituto risulta compatibile con la nomina del commissario ad acta ( TAR Campania VIII, n. 959/2012), mentre orientamento opposto sostiene che la nomina del commissario ad acta per il caso di persistente inerzia dell’amministrazione esclude la possibilità di condannare quest’ultima anche al pagamento dell’astreinte, poiché così facendo si finirebbe per far gravare sull’amministrazione anche sanzioni derivanti da possibili ulteriori ritardi imputabili esclusivamente al commissario (TAR Liguria I, n. 194/2013).

Essendo la sua natura prettamente sanzionatoria, la c.d. penalità di mora, decorre dal giorno della comunicazione in via amministrativa e/o dal giorno della notificazione del provvedimento contenente l’ordine di pagamento formulato dal giudice (Cons. St. IV, n. 469/2013). 

 

6. Il regime degli atti adottati dal commissario ad acta

È stato precedentemente rilevato che all’interno del giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo ha la possibilità di sostituirsi all’amministrazione per provvedere direttamente in favore dell’interessato. 

Tale tipologia di intervento viene di solito perseguita attraverso la nomina di un commissario ad acta. Sono diverse le tesi riguardanti la natura giuridica di questa figura: la prima lo identifica come un organo ausiliario del giudice; la seconda come organo straordinario dell’amministrazione; la terza come organo misto, per determinati aspetti ausiliario dell’amministrazione e, per altri, ausiliario del giudice. Il Codice ha optato per la tesi che vede questa figura come un ausiliario del giudice. Questa conclusione è stata poi ancor di più avvalorata in sede di primo correttivo del Codice (tramite il Decreto Legislativo n. 195/2011); all’articolo 114 comma 6 si legge infatti che è il giudice dell’ottemperanza la figura preposta a conoscere tutti gli atti posti in essere dal commissario e che qualora le parti vogliano contestare i suddetti atti, l’unico mezzo a loro disposizione è il reclamo da proporre al medesimo giudice dell’ottemperanza (Cons. St. VI, n. 4299/2015). Giurisprudenza successiva ha tuttavia effettuato un distinguo: se il commissario viene nominato in sede di giudizio di ottemperanza per l’esecuzione del giudicato ai sensi degli articoli 112 e seguenti, allora si tratta di un ausiliario del giudice; diverso è, se viene nominato per porre rimedio ad una persistente inerzia dell’amministrazione, non avendosi in questo caso un vero e proprio giudizio di ottemperanza (Cons. St. VI, n. 338/2016).

Per quanto attiene al controllo sugli atti posti in essere dal commissario ad acta, questo spetta, come già specificato, allo stesso giudice dell’ottemperanza. Le parti, qualora ritengano che il commissario con gli atti adottati abbia violato il giudicato dell’ottemperanza, possono proporre reclamo da notificare e depositare entro 60 giorni. Gli atti adottati dal commissario sono impugnabili in via funzionale dinanzi al Giudice che ne ha disposto l’investitura, il quale gode appunto di specifica competenza funzionale alla luce del combinato disposto degli articoli 114 e 117 CPA (Cons. St. n. 6953/2011). 

Le eventuali contestazioni di terzi nei confronti degli atti posti in essere dal commissario non sono invece di competenza del giudice dell’ottemperanza, ma devono essere introdotte con rito ordinario, poiché essi sono estranei al giudicato e dunque non soggetti al relativo vincolo (Cons. St. IV, n. 52/2015). 

 

7. Il regime delle impugnazioni

In merito al regime delle impugnazioni avverso le sentenze rese in sede di ottemperanza, il Codice contiene un rinvio ai termini delle impugnazioni previsti dal Libro III, con la conseguenza che il principio adottato è quello dell’impugnabilità delle decisioni.

Il rito da seguire in appello è il procedimento in camera di consiglio, come si può evincere dallo stesso testo dell’articolo 114, ma anche dalla casistica giurisprudenziale (Cons. St. V, n. 5440/2014). La giurisprudenza ha anche precisato che i termini applicabili per la proposizione delle impugnazioni, sono i termini dimezzati ex articolo 87, relativo ai procedimenti in camera di consiglio (come si può evincere ad esempio da: Cons. St. V, n. 4613/2016). 

Per quanto attiene infine al ricorso in Cassazione nei confronti della decisione del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, l’articolo 110 CPA precisa che “il ricorso per Cassazione è ammesso contro le sentenze del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”. Si deve dunque trattare di un ricorso che contesti i limiti c.d. esterni della giurisdizione, ossia la possibilità stessa di ricorrere al giudizio di ottemperanza. Non si può infatti ricorrere alla Suprema Corte qualora l’oggetto del ricorso è il modo in cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (ossia i limiti interni della giurisdizione).

 

Il punto di vista dell’autore

L’articolo 114, sempre nell’ottica di garantire il principio di effettività della tutela, sistematizza le regole procedurali del giudizio di ottemperanza, semplificandole.

La scelta di non rendere obbligatoria la previa diffida garantisce, infatti, all’interessato una tutela più rapida proprio in vista di una tutela più effettiva, che si realizza anche consentendo al giudice amministrativo di orientare e guidare l’attività stessa dell’amministrazione.