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Art. 91

Mezzi di impugnazione 

1. I mezzi di impugnazione delle sentenze sono l’appello, la revocazione, l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Bibliografia. R. De Nictolis, Processo Amministrativo. Formulario commentato, IV ed., Ipsoa, 2019; S. Perongini, Le impugnazioni in generale, in G.P. Cirillo, a cura di, Diritto processuale amministrativo, Utet, 2017; E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, XVIII ed., Giuffrè editore, 2016; A. Police, Il nuovo codice del processo amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, fasc. 11; F.P. Luiso, Le impugnazioni nel progetto di codice del processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, 2010,  fasc. 3.

 

Sommario. 1. Il sistema delle impugnazioni all’interno del Codice del processo amministrativo. 2. Le diverse tipologie dei mezzi di impugnazione. 3. I criteri di classificazione dei mezzi di impugnazione e i principi ad essi comuni.

 

1. Il sistema delle impugnazioni all’interno del Codice del processo amministrativo

Il libro terzo del codice del processo amministrativo è dedicato alle impugnazioni e, come ogni altro codice di procedura del nostro ordinamento, si apre con un apposito titolo, il primo, dedicato ai principi generali che sovraintendono la proposizione dei mezzi di impugnazione. Detti principi sono dettati con specifico riferimento ai mezzi di impugnazione innanzi al giudice amministrativo sicché, salvo che per alcuni profili circostanziati, non si applicano anche al ricorso in cassazione che resta disciplinato dalle pertinenti disposizioni del codice di procedura civile.  

Al primo titolo ne seguono altri recanti disposizioni specifiche per i singoli mezzi di gravame. In particolare, vi è il secondo titolo (dall’articolo 100 al 105) per l’appello, il terzo (articoli 106 e 107) per la revocazione, il quarto (articolo 108 e 109) per l’opposizione di terzo ed il quinto (articoli 110 e 111) per il ricorso in cassazione.

Il primo titolo, come già detto, contiene una serie di disposizioni generali per le impugnazioni che disciplinano i mezzi di impugnazione ammissibili (articolo 91), i termini (articolo 92), i luoghi della loro notificazione (articolo 93) e il deposito dei relativi ricorsi (articolo 94). A tutela del principio di unitarietà dei giudizi di impugnazione, invece, si pongono l’articolo 95 che individua le parti necessarie in tali giudizi e le modalità di integrazione del contraddittorio, nonché l’articolo 96 sulla proposizione delle impugnazioni incidentali e la riunione delle impugnazioni promosse separatamente avverso la stessa sentenza. 

Segue poi l’articolo 97 sull’intervento nei giudizi impugnatori da parte di chi vi ha interesse, mentre chiudono il primo titolo gli articoli 98 e 99 che disciplinano rispettivamente il rito cautelare nei giudizi di impugnazione ed il ruolo nomofilattico riconosciuto all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sulla falsariga di quanto previsto dall’articolo 374 c.p.c. per le sezioni unite della Corte di Cassazione.

 

2. Le diverse tipologie dei mezzi di impugnazione

Il primo titolo del terzo libro si apre con l’articolo 91 che, con una forma analoga a quella dell’articolo 323 c.p.c., elenca i mezzi di impugnazione ammessi avverso le sentenze amministrative circoscrivendoli all’appello, alla revocazione, all’opposizione di terzo e al ricorso in cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Così come avviene per l’articolo 323 c.p.c., dietro l’elencazione dei mezzi di impugnazione contenuta all’articolo 91 CPA vi è l’implicita affermazione dei principi di tipicità e tassatività delle impugnazioni in forza dei quali possono essere promossi esclusivamente i mezzi di impugnazione consentiti dalla legge e nel rispetto delle formalità e delle modalità previste dalla medesima. A titolo esemplificativo, vi è un consolidato orientamento che ritiene inammissibili le censure proposte per la prima volta nelle memorie difensive depositate successivamente al ricorso in appello in quanto intempestive e, dunque, lesive proprio del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1194; Id., sez. II, 30 agosto 2019, n. 6002; Id., sez. IV, 10 luglio 2019, n. 4822).  

Ciò detto, la norma non elenca tutti i mezzi di gravame ammessi nel giudizio amministrativo, ma unicamente quelli che possono essere promossi avverso le sentenze, ovverosia i provvedimenti adottati dal giudice amministrativo ogniqualvolta, ex articolo 33, c. 1, lett. a), CPA, definisce in tutto o in parte il giudizio di cui è investito. Vi sono difatti ulteriori mezzi di impugnazione contemplati dal codice ma non menzionati dall’articolo 91 CPA, in quanto rivolti contro le ordinanze, le quali costituiscono i provvedimenti adoperati dal giudice per decidere sulla propria competenza nel giudizio ovvero per adottare misure cautelari ed interlocutorie.

Sono pertanto da intendersi come mezzi di impugnazione anche l’appello cautelare disciplinato dall’articolo 62 CPA e promosso innanzi al Consiglio di Stato avverso le ordinanze che decidono del rito cautelare ed il regolamento di competenza previsto dall’articolo 16 CPA e proposto sempre innanzi ai Giudici di Palazzo Spada avverso le ordinanze che intervengono sulle questioni di competenza. 

Viceversa, il regolamento preventivo di giurisdizione, il ricorso per ricusazione e la correzione materiale della sentenza non possono neppure qualificarsi come mezzi di impugnazione, per i quali si intendono in via generale quegli strumenti di cui si avvale la parte soccombente per censurare le statuizioni sfavorevoli contenuti in un provvedimento avente carattere decisionale.

Il ricorso per ricusazione ed il regolamento preventivo di ricusazione, disciplinati rispettivamente dagli articoli 10 e 18 CPA, non sono difatti promossi avverso una decisione dell’autorità giudiziaria; mentre l’istanza per la correzione materiale di cui all’articolo 86 CPA, pur avendo ad oggetto una sentenza del giudice, non interviene sulla decisione del medesimo ma soltanto su un mero refuso formale. Per consolidata giurisprudenza l’errore materiale della sentenza riguarda quella fortuita divergenza, cagionata da una mera svista o disattenzione rilevabile ictu oculi, tra il giudizio elaborato dal giudice e la sua espressione letterale nella redazione della sentenza; sicché è “da ritenere inammissibile la richiesta di correzione dell’errore materiale che abbia in maniera preponderante il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria” (così Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2020, n. 1270; Id., Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4209; Id., sez. VI, 28 giugno 2018, n. 36066).

 

3. I criteri di classificazione dei mezzi di impugnazione e i principi ad essi comuni

La dottrina e la giurisprudenza, dapprima civilista e poi anche amministrativa, hanno elaborato diversi criteri per la classificazione dei mezzi di impugnazione e dei quali si riportano di seguito i più rilevanti

Innanzitutto, si distingue tra mezzi di impugnazione ordinari e straordinari.

Sono ordinari quei mezzi di impugnazione promossi avverso le sentenze al fine di impedirne il passato in giudicato, con l’ulteriore conseguenza che detti mezzi non sono più proponibili una volta che la pronuncia sia passata in giudicato. 

La disposizione qui di riferimento è l’articolo 324 c.p.c. secondo la quale “Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395 (la c.d. revocazione ordinaria)”. Per giurisprudenza pacifica, la disposizione civilistica sul c.d. giudicato formale si applica anche al processo amministrativo in forza del rinvio generale al codice processuale civile operato dall’articolo 39 CPA (sul punto Cons. Stato, ad. plen., 3 luglio 2012, n.24); resta fermo tuttavia, come già richiamato, che il regolamento di competenza non costituisce nel sistema amministrativo un mezzo di impugnazione ordinario delle sentenze essendo proposto avverso ordinanze. 

Sono invece mezzi straordinari di impugnazione l’opposizione di terzo e la c.d. revocazione straordinaria (per i motivi di cui ai n. 1, 2 3 e 6, dell’articolo 395 c.p.c.), ovverosia quelle impugnazioni che possono essere promosse anche, ma non necessariamente, avverso sentenze passate in giudicato al ricorrere delle condizioni aventi carattere eccezionale e tassativamente previste dal legislatore.

Ulteriori distinzioni, sebbene più sfumate rispetto a quella di carattere generale tra mezzi ordinari e straordinari, sono tracciate con riferimento alla portata cognitiva ed agli effetti dei mezzi di impugnazione.

Al riguardo, una delle ripartizioni più note è quella tra mezzi di impugnazione devolutivi e non. Sono mezzi devolutivi quelli che consentono al giudice dell’impugnazione la piena cognizione sulla sentenza oggetto di gravame e sui fatti di causa, mentre non sono devolutivi i mezzi che postulano la formulazione di specifiche censure che delimitano i poteri cognitivi del giudice adito in sede di impugnazione (sul tema si veda S. Perongini, Le impugnazioni in generale, in G. P. Cirillo, a cura di, Diritto processuale amministrativo, 2017, Utet, p. 688). Detta distinzione ha però perso la propria rilevanza dato che la giurisprudenza impone di formulare specifiche censure contro i capi della sentenza impugnata anche per l’appello che costituisce il principale mezzo devolutivo nella giustizia amministrativa (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 28 marzo 2018, n.1959, Id., sez. IV, 24 ottobre 2017, n. 4888).

Una ripartizione simile è poi quella tra mezzo di impugnazione a critica libera ovvero vincolata. 

Il primo, come precisato dall’adunanza plenaria con riferimento all’appello, è “il mezzo di impugnazione a vocazione generale (…) idoneo a far valere tutti i vizi della sentenza, sia quelli che ne determino l’ingiustizia, sia quelli che ne determinano l’invalidità.” (Cons. Stato, ad. plen., 30 luglio 2018, n.11). 

Viceversa, è a critica vincolata il mezzo esperibile soltanto avverso determinati vizi della sentenza impugnata e previsti dalla legge; in tal senso è emblematico il ricorso in cassazione avverso le sentenze amministrative che è ammissibile unicamente per motivi inerenti alla giurisdizione, ovverosia per “difetto assoluto di giurisdizione, allorchè il Consiglio di Stato affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (…), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (…), nonchè allorchè sussista il difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo affermi cioè la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici” (in tali termini, da ultimo, Cass. civ., sez. unite, 11 marzo 2020, n. 7012).

Un’ulteriore distinzione è poi tracciata rispetto agli effetti derivanti dall’accoglimento dei mezzi di impugnazione e che possono essere sostitutivi o rescissori oppure cassatori o rescindenti. Vi sono effetti rescissori quando il giudice investito dell’impugnazione è chiamato al riesame del thema decidendum sostanziale adottando una nuova pronuncia che sostituisce quella impugnata (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2011, n. 1080); si producono invece effetti rescindenti se l’impugnazione porta all’annullamento della sentenza gravata con conseguente rinvio però allo stesso giudice che l’ha pronunciata per il riesame nel merito della causa. 

A prescindere dai criteri di classificazione appena elencati, tutti i mezzi di impugnazione sono comunque soggetti ai medesimi principi generali mutuati dal diritto processuale civile.

In primo luogo, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che i mezzi di impugnazione sono tenuti al rispetto delle stesse tre condizioni (titolo, interesse ad agire e legittimazione) richieste, sulla falsariga del processo civile, per la proposizione dell’azione di annullamento nel processo amministrativo di primo grado. Dette condizioni, che devono sussistere sin dal momento della proposizione della domanda e permanere sino a quello della decisione, vanno valutate in astratto rispetto alla causa petendi, anziché secundum litis, affinché venga accertata la lesione concreta e attuale subita dalla parte in giudizio e, al contempo, la possibilità di trarre un’utilità dall’eventuale esito favorevole dell’azione (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre2019, n. 6689; Id., sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6256) 

L’unica peculiarità dei giudizi di impugnazione, pur nel silenzio del CPA sul punto, risiede nel fatto che l’interesse all’impugnazione deve essere valutato rispetto alla sussistenza di una “soccombenza, anche parziale, subita nel giudizio di primo grado, da intendersi in senso sostanziale e non formale” (così, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2020, n. 2533, e, ex multis, Id., sez. III, 7 luglio 2014, n.3441; Id., sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4132). E, per soccombenza sostanziale, la giurisprudenza fa riferimento ad una soccombenza da valutare in relazione alla statuizione sul merito ovvero all’impossibilità di giungere alla pronuncia di merito data la soccombenza sotto un profilo processuale. 

Inoltre, per i mezzi di impugnazione nel processo amministrativo valgono anche gli altri principi generali operanti in quello civile. Tra questi possono ricordarsi il già menzionato principio di tassatività e tipicità delle impugnazioni, il principio dell’unitarietà dei giudizi di impugnazione ed il correlato principio di concentrazione delle impugnazioni regolato dagli articoli 95 e 96 del CPA che adottano però soluzioni solo parzialmente corrispondenti a quelle del c.p.c. 

Una particolare menzione merita poi il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione sancito dagli articoli 358 e 387 c.p.c. secondo i quali l’appello e il ricorso in cassazione non possono essere riproposti, anche se non sono scaduti i termini di legge, quando sono dichiarati improcedibili o inammissibili. Come chiarito dal Consiglio di Stato, dal principio di consumazione discende il divieto di frazionamento dei mezzi di impugnazione che preclude alla parte che ha già proposto un primo gravame di promuoverne anche un secondo pur nella pendenza dei relativi termini. L’unica eccezione a tale divieto ricorre nell’ipotesi in cui il primo gravame sia stato proposto irritualmente e il secondo gravame intervenga anteriormente alla dichiarazione di inammissibilità, irricevibilità o improponibilità del primo (Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2019, n. 1097; Id., sez. IV, 9 luglio 2018, n.4152). 

 

Il punto di vista degli Autori

Come evidenziato nelle pagine precedenti, per i mezzi di impugnazione nel processo amministrativo valgono in linea di massima, e salvo alcuni accorgimenti, i medesimi corollari elaborati dalla scienza giuridica per il processo civile che difatti, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del CPA, costituisce il modello di riferimento per la disciplina di quello amministrativo.

Negli ultimi anni è tuttavia emerso in alcune sentenze del Consiglio di Stato un nuovo principio di diritto valevole per i mezzi di impugnazione e che presenta un carattere tipicamente “amministrativo”. Si fa riferimento, in particolare, alle pronunce secondo le quali “nel processo amministrativo, quando una sentenza si fonda su una pluralità di capi autonomi, tutti convergenti verso il medesimo risultato processuale, è sufficiente accertare la resistenza di uno solo di essi ai mezzi di impugnazione per escluderne la riforma” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 28 maggio 2020, n. 3375; Id., sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392; Id., sez. V, 5 maggio 2016, n. 1807; Id., sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5013). Tale principio si ricollega a quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui se è impugnato un provvedimento amministrativo che si fonda su una pluralità di argomenti autonomi, è sufficiente accertare la resistenza di uno solo di essi ai mezzi di impugnazione per escluderne l’annullamento (si veda, ex multis, Cons. Stato, ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5; Id., sez. IV, 20 aprile 2016, n.1557). 

In disparte l’impossibilità di equiparare la sentenza ed il provvedimento amministrativo, va osservato che il principio di diritto enucleato dalla giurisprudenza, sebbene ragionevole, può suscitare delle perplessità nella misura in cui possa legittimare un esame sommario e soltanto parziale dei motivi di impugnazione, soprattutto nel giudizio di appello. Benché vi siano ragioni di speditezza e di economia processuale che consentano di giustificare l’esame della sola questione ritenuta dirimente ai fini della pronuncia di merito, l’esame parziale delle censure sembra difatti porsi in contrasto con diversi corollari giuridici. 

Innanzitutto, risulterebbe eluso il carattere devolutivo dell’appello che determina l’integrale riesame dei fatti di causa al giudice dell’impugnazione con conseguente lesione, almeno parziale, del principio del doppio grado di giudizio e del principio di parità delle armi data l’evidente posizione di vantaggio della parte appellata su quella appellante.  Ancor più evidente sarebbe poi la violazione del principio dispositivo e di effettiva tutela che, sebbene con diverse eccezioni, nell’esame dei motivi di appello obbligano il giudice financo a rispettare l’ordine di trattazione delle questioni prescelto dalla parte impugnante. 

Infine, questo orientamento appare in contrasto anche con la recente valorizzazione del precedente giudiziale all’interno del sistema di giustizia amministrativa in conseguenza del rafforzamento del ruolo nomofilattico attribuito all’adunanza plenaria dall’articolo 99 CPA Invero, a fronte di un esame solo parziale delle censure di appello, non può escludersi il rischio del passaggio in giudicato anche di quelle argomentazioni delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali che non siano conformi alla legge e che, ciononostante, potrebbero consolidarsi nella giurisprudenza almeno di primo grado.  Per tale ragione, anche alla luce della mancata applicazione dell’articolo 99 CPA nei confronti dei Tar, appare semmai auspicabile un controllo più intenso del C.G.A.R.S. e delle sezioni del Consiglio di Stato sulle argomentazioni dei giudici di primo grado.