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Art. 99

Deferimento all’adunanza plenaria

1. La sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d’ufficio può rimettere il ricorso all’esame dell’adunanza plenaria. L’adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l’opportunità, può restituire gli atti alla sezione.

2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d’ufficio, può deferire all’adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.

3. Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.

4. L’adunanza plenaria decide l’intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.

5. Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l’adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato.

Bibliografia. R. De Nictolis, Processo Amministrativo. Formulario commentato, IV ed., Ipsoa, 2019; S. Spuntarelli, Il ruolo del rinvio pregiudiziale alla CGUE nella giurisdizione amministrativa, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 2018 fasc. 3; G. Amoroso, I principi vincolanti dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: non condivisione da parte della Sezione del principio di diritto enunciato dalla Adunanza Plenaria (articolo 99 CPA), in www.giustizia-amministrativa.it, 2016;  A. Pajno, Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2015, fasc.2; E. Follieri, L’introduzione del principio dello stare decisis nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Diritto processuale amministrativo, 2012, fasc. 4; S. Oggianu, Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica, Cedam, 2011. 

 

Sommario. 1. Le ipotesi di deferimento facoltativo all’Adunanza plenaria 2. L’ipotesi di deferimento obbligatorio all’Adunanza plenaria.  3. Il contenuto della decisione dell’Adunanza plenaria.

 

1. Le ipotesi di deferimento facoltativo all’Adunanza plenaria

L’art 99 CPA sancisce il ruolo nomofilattico dell’Adunanza plenaria in via analoga a quanto previsto dall’articolo 374 c.p.c. per le sezioni unite della Corte di Cassazione e dall’articolo 114 del Codice di giustizia contabile (Decreto Legislativo. 26 agosto 2016, n. 174) per le sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei Conti. La norma apre al principio dello stare decisis anche nella giustizia amministrativa consentendo all’Adunanza plenaria di adottare principi di diritto latu sensu vincolanti per le singole sezioni del Consiglio di Stato sebbene il nostro ordinamento costituisca un modello di civil law con la conseguenza che, ex articolo 101, c. 2, Cost. “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Prima di valutare quale siano le implicazioni della norma sul funzionamento della giustizia amministrativa vanno però esaminate le modalità ed i presupposti per la rimessione dei ricorsi all’Adunanza plenaria.

In via preliminare, si precisa che all’Adunanza plenaria possono rivolgersi soltanto il Consiglio di Stato e, data l’analogia delle funzioni, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia. Difatti, l’articolo 99 CPA non solo è inserito all’interno del titolo I del libro III dedicato alle impugnazioni ma, innanzitutto, fa espresso riferimento alla “sezione” e al “Presidente del Consiglio del Stato” quali soggetti rimettenti delle questioni di diritto (sul punto si veda R. De Nictolis, Processo Amministrativo. Formulario commentato, IV ed., Ipsoa, 2019, p. 1447-1448).  E, d’altronde, la stessa giurisprudenza ha riconosciuto l’irrilevanza dell’articolo 99 CPA per i Tribunali amministrativi regionali che non sono tenuti a seguire i principi di diritto sanciti dalla plenaria pur dovendo “evitare difformità per incuriam” rispetto agli stessi e dai quali possono discostarsi previa adeguata motivazione (cfr. Cons. Stato sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6858). 

Ciò detto, l’articolo 99 CPA individua tre diverse modalità di deferimento, due facoltative ed una obbligatoria. 

L’articolo 99, c. 1, CPA consente il deferimento all’Adunanza plenaria qualora la sezione del Consiglio di Stato cui è assegnato il ricorso ritenga che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali. La rimessione all’adunanza plenaria si dispone, d’ufficio ovvero su richiesta delle parti, con ordinanza anche se la sezione può vedersi restituire gli atti di causa dall’adunanza se quest’ultima ne ravvisi l’opportunità. Tale ipotesi di deferimento ricalca quella precedentemente prevista dall’articolo 45 del Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, r.d. 26 giugno 1954, n. 158, così come sostituito dall’articolo 5, L. 21 dicembre 1950, n. 1018, il quale, utilizzando la medesima formula normativa oggi vigente, prevedeva che: “La sezione, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può rimettere il ricorso all’Adunanza plenaria.

Presupposto dell’ipotesi facoltativa di cui all’articolo 99, c. 1, CPA è la sussistenza di un conflitto giurisprudenziale reale ovvero potenziale, di talché una sezione del Consiglio di Stato può rimettere gli atti all’adunanza plenaria qualora non intenda conformarsi all’orientamento giurisprudenziale prevalente nella risoluzione della questione di diritto sottopostagli (Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 2016, n.4629; Id., ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 34; Id., sez. V, 31 ottobre 2013, n. 5246). Al contempo, come già anticipato, resta però ferma la possibilità per la plenaria di restituire gli atti alla sezione rimettente. Ad esempio, l’Adunanza plenaria, con sentenza 11 maggio 2018, n. 7 ha restituito gli atti deferiti dalla Sez. V del Consiglio di Stato con sentenza non definitiva in quanto la pronuncia della plenaria avrebbe potuto interferire con i profili già esaminati nella sentenza non definitiva, e al contempo, sarebbe state condizionata dalle ricostruzioni già operate dalla sezione rimettente  “così escludendo la possibilità stessa di un esame approfondito dei quesiti prospettati non condizionato da tali scelte.”.

Un’ulteriore ipotesi facoltativa di rimessione è prevista al secondo comma che, prima della decisione e sempre d’ufficio o su richiesta delle parti, attribuisce al Presidente del Consiglio di Stato la possibilità di rivolgersi all’adunanza plenaria. L’articolo 99, c. 2, CPA recepisce così per il processo amministrativo l’analoga regola dettata dall’articolo 374, c. 2, c.p.c., che consente al Primo presidente della Corte di Cassazione di disporre che su determinati ricorsi decidano le sezioni unite della Cassazione.

 I presupposti per la rimessione da parte del Presidente del Consiglio di Stato individuati dall’articolo 99, c. 2, CPA sono due. 

Da un lato, il ricorso può essere deferito “per dirimere contrasti giurisprudenziali”; sicché, a differenza di quanto previsto per la rimessione facoltativa da parte della sezione, la norma sembra ammettere il deferimento all’Adunanza plenaria soltanto a fronte di conflitti giurisprudenziali reali e non anche potenziali. Dall’altro, ricalcando la formula utilizzata dall’articolo 374 c.p.c., il ricorso può essere deferito per risolvere questioni di particolare importanza. A questo proposito, non è chiara quale sia la distinzione tra i contrasti giurisprudenziali cui fa riferimento l’articolo 99, c. 1, CPA e le “questioni di massima di particolare importanza” di cui al secondo comma; tuttavia, appare plausibile ricondurre quest’ultime a quelle questioni di diritto che siano dirimenti per lo stesso funzionamento della giustizia amministrativa. In favore di tale interpretazione milita sia il ruolo di vertice amministrativo-istituzionale del Presidente del Consiglio di Stato che, ex articolo 3, c. 2, del regolamento di organizzazione approvato con d.P.C.S. 29 gennaio 2018, n. 9) “individua gli obiettivi e i programmi generali della gestione della giustizia amministrativa”, sia l’articolo 13-bis delle disp. att. CPA  Tale norma, difatti, al fine di garantire l’uniforma applicazione del p.a.t. e quindi l’efficienza del nuovo processo amministrativo, consentiva eccezionalmente e per il triennio 2017-2019 al collegio di primo grado, cui era stato assegnato il ricorso e che rilevava un contrasto giurisprudenziale sulle norme in tema di p.a.t., di sottoporre al presidente del Consiglio di Stato istanza di rimessione del ricorso all’esame dell’adunanza plenaria. 

 

2. L’ipotesi di deferimento obbligatorio all’Adunanza plenaria

Il carattere latu sensu vincolante delle decisioni dell’Adunanza plenaria si rinviene rispetto all’ipotesi di rimessione obbligatoria introdotta nel nostro ordinamento con l’articolo 99, c. 3, CPA La norma prevede l’obbligo della sezione cui è assegnato il ricorso di rimetterlo, con ordinanza motivata, alla plenaria se ritiene di non condividere il principio di diritto affermato da quest’ultima.

La differenza tra le ipotesi di cui al primo e al terzo comma risiede nel fatto che se la sezione non condivide un orientamento giurisprudenziale ha la semplice facoltà di rimettere la questione all’Adunanza plenaria, ma tale deferimento diviene obbligatorio se il principio di diritto che la sezione non condivide è stato pronunciato dalla stessa Adunanza Plenaria. (cfr. Cons. Stato sez. V, 4 novembre 2016, n.4629; Id., sez. III, 1° aprile 2016, n. 1307; Id., sez. V, 23 settembre 2015, n. 4441; Id. sez. V, 22 settembre 2015, n. 4419).

La “vincolatività” del principio di diritto sancito dall’adunanza plenaria opera soltanto in via indiretta al fine di garantire il rispetto dell’articolo 101 cost. che sancisce la soggezione dei giudici soltanto alla legge. Difatti, la sezione del Consiglio di Stato non è obbligata ad applicare il precedente di diritto elaborato dalla adunanza plenaria ma, qualora non condivida la soluzione fornita dalla plenaria, è tenuta ad interpellarla nuovamente con ordinanza motivata (Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2018, n.6858).

La disciplina del deferimento obbligatorio appare però lacunosa. Da un lato, non si è provveduto a coordinare la potestà interpretativa spettante alla plenaria ed alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea cui l’articolo 19 TUE attribuisce il compito di assicurare la corretta interpretazione del diritto dell’unione. Dall’altro, non sono state individuate le conseguenze in cui incombe la sezione del Consiglio di Stato che eluda l’onere di deferimento di cui all’articolo 99, c. 3, CPA

La prima questione ha comunque trovato una soluzione nella sentenza della CGUE, 5 aprile 2016, C-689/13, pronunciatasi sulle modalità di coordinamento tra l’articolo 267, par. 3, TFUE e l’articolo 99, c. 3 CPA, e nella successiva sentenza dell’Adunanza Plenaria 27 luglio 2016, n. 19. 

La CGUE ha temperato l’obbligatorietà del deferimento di cui all’articolo 99, c. 3, CPA in ragione dell’ulteriore onere posto dell’articolo 267 TFUE che impone ai giudici nazionali di ultima istanza, quali sono le sezioni del Consiglio di Stato, di sollevare innanzi alla CGUE le questioni pregiudiziali sull’interpretazione del diritto unionale.

Nello specifico, le soluzioni fornite dal giudice europeo sono state poi recepite dall’adunanza plenaria, la quale ha precisato che la sezione del Consiglio di Stato che non condivide un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria su una questione di interpretazione del diritto europeo può: i) adire direttamente la CGUE senza dover prima rimettere la questione all’adunanza; ovvero ii) disattendere il principio enunciato dall’adunanza se risulta in aperto contrasto con un’interpretazione del diritto unionale già fornita dalla giurisprudenza comunitaria.

Ad ogni modo, aggiunge l’adunanza plenaria, resta fermo come la stessa nei casi “in cui sia stata investita dalla sezione cui è assegnato il ricorso di una questione diretta a provocare in senso lato un “ripensamento” (…) su un principio di diritto precedentemente enunciato, possa pronunciarsi sulla relativa questione, eventualmente (…) anche rimettendo alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE”.

La giurisprudenza non ha invece chiarito in che modo il mancato rispetto dell’obbligo di deferimento all’adunanza plenaria incida sulla legittimità della sentenza e si presenta divisa anche la dottrina interessatasi al tema. Ad esempio vi è chi ritiene esperibile soltanto l’opposizione di terzo da parte delle parti rimaste estranee alla controversia (cfr. E. Follieri, L’introduzione del principio dello stare decisis nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Diritto processuale amministrativo, 2012, fasc. 4, p. 1237 ss.) e chi, viceversa, propende per la promozione del ricorso in cassazione per difetto di giurisdizione (R. De Nictolis, Processo Amministrativo. Formulario commentato, IV ed., Ipsoa, 2019, p. 1677).

 

3. Il contenuto della decisione dell’Adunanza plenaria

A norma dell’articolo 99, c. 4, CPA l’Adunanza plenaria, una volta che le è stato rimesso il ricorso, è chiamata ad una scelta; decidere l’intera controversia ovvero enunciare il principio di diritto e restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.

In quest’ultimo caso e se la questione deferita è di particolare importanza, l’articolo 99, c. 5, CPA consente inoltre alla plenaria di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche se dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. Tuttavia, precisa sempre il quinto comma, in tale ipotesi, la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha poi effetto sul provvedimento eventualmente impugnato.

Come chiarito dalla stessa Adunanza plenaria, l’articolo 99, c. 4, CPA rimette alla stessa la scelta in merito al contenuto della sua sentenza, con l’ulteriore conseguenza che verrà a formarsi un giudicato soltanto qualora l’Adunanza definisca nel merito l’intera controversia (si veda Cons. Stato, ad. plen., 23 febbraio 2018, n. 2.). In termini simili si è recentemente espressa anche la Corte di Cassazione che  ha recentemente escluso la possibilità di promuovere un ricorso in cassazione avverso una sentenza dell’Adunanza Plenaria che abbia enunciato un principio di diritto e restituito per il resto il giudizio alla sezione remittente, “non avendo detta statuizione carattere decisorio e definitorio, neppure parzialmente, del giudizio di appello, il quale implica un’operazione di riconduzione della regula iuris al caso concreto che è rimessa alla sezione remittente.” (in tali termini, Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2019, n. 27842).

In aggiunta, la pronuncia della plenaria che si limiti ad enunciare il principio di diritto ha natura essenzialmente interpretativa e, salvo l’ipotesi di cui all’articolo 99, c. 5, CPA, efficacia nei giudizi in corso; tuttavia la stessa plenaria può stabilire che la propria decisione produca effetti unicamente pro futuro, escludendone la retroattività mediante il ricorso al c.d. prospective overruling. Per escludere la retroattività della pronuncia è però necessario che sussistano tutti i seguenti requisiti: “l’esegesi deve incidere su una regola del processo; 2) l’esegesi deve essere imprevedibile ovvero seguire ad altra consolidata nel tempo tale da considerarsi diritto vivente e quindi da indurre un ragionevole affidamento; 3) l’innovazione comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa”(così Cons. Stato, sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6858, Id.,. ad plen., 2 novembre 2015, n. 9; Id., sez. III, ord. 7 novembre 2017, n. 5138).

 

Il punto di vista dell’Autore

L’articolo 99 CPA e, segnatamente, il terzo comma sull’ipotesi di deferimento obbligatorio all’Adunanza Plenaria, introducono un significativo elemento di novità nel nostro ordinamento di giustizia amministrava avvicinandolo ai sistemi di common law fondati sul precedente giudiziale. 

Tuttavia, la norma si traduce in un recepimento sui generis ed attenuato del principio dello stare decisis dal momento che il precedente dell’adunanza plenaria non vincola comunque le singole sezioni del Consiglio di Stato al suo rispetto. Le sezioni, d’altronde, non solo non sono sanzionate espressamente dalla legge per il mancato rispetto dell’obbligo di deferimento, ma, in determinati casi, possono financo superare l’articolo 99, c. 3, CPA applicando l’articolo 276 TFUE e rivolgendosi direttamente alla CGUE.

Già solo per queste ragioni appare difficile definire l’articolo 99 CPA come il risultato di un compiuto processo di rottura con le nostre tradizioni di civil law; diversamente la norma, nelle sue lacune e zone d’ombra, sembra al più fotografare il dinamico momento di evoluzione che sta interessando il nostro ordinamento ma del quale non è ancora possibile conoscere l’esito.

La norma è sicuramente espressione dell’avvertita esigenza di una maggiore stabilità interpretativa anche in ragione di un endemico disordine legislativo, ma il potere nomofilattico dell’Adunanza plenaria risulta ancora piuttosto contenuto nei confronti delle sezioni del Consiglio ed è pressoché nullo nei confronti dei giudici di primo grado. In altri termini, la norma non ha ancora codificato il nuovo ruolo del giudice amministrativo nella creazione delle regole di diritto, ma sembra evidenziarne l’esigenza. 

A questo proposito, si segnala che questo nuovo scenario è stato efficacemente descritto dall’allora Presidente del Consiglio di Stato Pajno nella sua relazione per la inaugurazione dell’anno giudiziario 2017. 

Il presidente, nell’evidenziare la necessità di un’azione più ordinata del legislatore e di una giurisprudenza chiara e stabile sulle vicende del cittadino, ha osservato che: “Si modificano i rapporti tra giudice amministrativo e legislatore: si dequotano le fonti; la legge tende a farsi provvedimento amministrativo, perdendo i suoi connotati di generalità e astrattezza; in un sistema “a legislazione confusa” il giudice lavora sempre di più per categorie generali e contribuisce a “creare diritto” anche nei sistemi a tradizione di civil law. Si modificano i rapporti tra giudice amministrativo e amministrazione: l’amministrazione ha paura di decidere; tende a difendersi più che a fare; quando non si “amministra per legge”, al giudice si impone talvolta, suo malgrado, di “amministrare per sentenza”.