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Art. 93

Luogo di notificazione dell’impugnazione 

1. L’impugnazione deve essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte nell’atto di notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza.

2. Qualora la notificazione abbia avuto esito negativo perché il domiciliatario si è trasferito senza notificare una formale comunicazione alle altre parti, la parte che intende proporre l’impugnazione può presentare al presidente del tribunale amministrativo regionale o al presidente del Consiglio di Stato, secondo il giudice adito con l’impugnazione, un’istanza, corredata dall’attestazione dell’omessa notificazione, per la fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione o per la rinnovazione dell’impugnazione.

Bibliografia. R. De Nictolis, Processo Amministrativo. Formulario commentato, IV ed., Ipsoa, 2019; G. Leone, Elementi di diritto processuale amministrativo, IV ed., Cedam, 2017; S. Perongini, Le impugnazioni in generale, in G. P Cirillo, a cura di, Diritto processuale amministrativo, Utet, 2017; A. Batà e V. Carbone, Le notificazioni. Dottrina e Giurisprudenza, ed. VII, Ipsoa, 2016; S; R. d’Aquino di Caramanico, Le impugnazioni, in A. Police, a cura di, Processo amministrativo, Ipsoa, 2013; A. Batà, Le impugnazioni, Ipsoa, 2012.

 

Sommario. 1. Le caratteristiche generali delle notificazioni nei giudizi di impugnazione. 2. La rimessione in termini per trasferimento del domiciliatario. 3. Le notificazioni presso le pubbliche amministrazioni.

 

1. Le caratteristiche generali delle notificazioni nei giudizi di impugnazione innanzi al giudice amministrativo.

In base all’articolo 93 CPA, nelle ipotesi in cui si applica il termine breve di impugnazione, ovverosia quando è stata notificata la sentenza oggetto di gravame, l’impugnazione va notificata presso il luogo in cui è stato eletto il domicilio o è stata dichiarata la residenza dalla parte che ha notificato la sentenza poi oggetto dell’impugnazione. In difetto di tali indicazioni ovvero nel caso di mancata notificazione della sentenza, con conseguente applicazione del termine lungo, l’impugnazione va notificata presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza.

Rispetto alla corrispondente disciplina del processo civile dettata dall’articolo 330 c.p.c., l’articolo 92 CPA si discosta quindi sotto alcuni profili. 

Innanzitutto, a differenza di quanto richiesto dall’articolo 330 c.p.c., non è necessario che il domicilio eletto o la residenza dichiarata dalla parte nell’atto di notificazione della sentenza risiedano nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata. E, in assenza di queste indicazioni, neppure è necessario che sia fatta personalmente, secondo le modalità di cui agli articoli 137 e seguenti del c.p.c., la notificazione presso il difensore o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio. Al contempo, diversamente dalla disposizione civilistica, l’articolo 93, c. 1, CPA si preoccupa di precisare che la residenza dichiarata o il domicilio eletto devono risultare dalla stessa sentenza oggetto di impugnazione. 

Vi sono però alcune fattispecie che non sono esaminate nel Decreto Legislativo n. 104/2010, sicché la relativa disciplina si rinviene comunque nell’articolo 330 c.p.c. in forza del rinvio esterno al codice processuale civile operato dall’articolo 39, c. 2, CPA, in forza del quale le notificazioni nel processo amministrativo restano disciplinate dal c.p.c. e dalla normativa di settore per la notificazione degli atti giudiziari in materia civile (sul punto si veda anche Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2016, n. 4072).

Dette fattispecie attengono alle notificazioni effettuate agli eredi della parte defunta e a quelle intervenute oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza.

Nel primo caso, l’articolo 330, c. 2, c.p.c., dopo la notificazione della sentenza, consente di notificare l’impugnazione collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte defunta.

Nel secondo caso, in forza dell’articolo 330, c. 3, c.p.c., qualora l’impugnazione sia ancora ammessa dopo un anno, la notificazione va effettuata personalmente alla parte secondo le formalità previste dagli articoli 137 e seguenti del c.p.c.

Ciò esposto, anche per le impugnazioni nel processo amministrativo si applicano i principi generali in materia di notificazione degli atti processuali. Secondo la giurisprudenza amministrativa e civile, la notificazione di un atto è da ritenersi inesistente ovverosia affetta da vizio non sanabile, soltanto qualora ne manchino gli elementi costitutivi essenziali ovvero nel caso di una materiale mancanza dell’atto. In tutte le altre ipotesi, ivi ricompresi i vizi che attengono al luogo della notificazione, questa è da ritenersi nulla e, pertanto, sanabile. I vizi possono essere sanati mediante il rinnovo della notificazione ovvero, per il principio del raggiungimento dello scopo codificato dall’articolo 156 c.p.c., grazie alla costituzione della parte intimata, anche se fatta dichiaratamente al solo fine di far rilevare detta nullità (Cass. civ., sez. un., 20 luglio 2016, n. 14916; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2018, n. 7996; Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 2019, n. 6763; Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2018, n. 2462).

Con specifico riguardo alle impugnazioni, la giurisprudenza amministrativa ritiene che eventuali vizi della notificazione comportino la nullità della medesima e, di conseguenza, l’inammissibilità delle impugnazioni promosse. L’unica peculiarità del processo amministrativo risiede nel fatto che per quest’ultimo non trova applicazione l’articolo 291 c.p.c. che, qualora la parte convenuta non  si sia costituita, consente di sanare ex tunc la notificazione affetta da vizi di nullità mediante la fissazione di un termine perentorio da parte del giudice (pressoché in tali termini Cons. Stato sez. III, 7 novembre 2019, n. 7631; Id., sez. III, 14 maggio 2019, n. 3119; Id., sez. III, 14 gennaio 2019, n. 356; Id., sez. III, 12 marzo 2018, n. 1561; Id., sez. IV, 29 gennaio 2018, n. 577; Id. , sez. IV, 20 marzo 2017, n. 1234). 

Nel processo amministrativo vige difatti la diversa regola dettata dall’articolo 44, c. 4, CPA che consente al giudice di assegnare un termine perentorio per la rinnovazione della notificazione nulla soltanto qualora ritenga che “l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”.

Sempre l’art 44 CPA, al comma 3, disponeva che la costituzione dell’intimato sanasse la nullità della notificazione “salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione” sicché la giurisprudenza amministrativa aveva riconosciuto alla costituzione un’efficacia sanante ex nunc, anziché ex tunc come nel processo civile, “ossia con salvezza delle eventuali decadenze già maturate in danno del notificante prima della costituzione in giudizio del destinatario della notifica” (in tali termini Cons. Stato, sez. III, 18 maggio 2016, n. 2064; Id., sez. III, 20 gennaio 2016, n. 189). 

L’articolo 44, c. 2, CPA è stato tuttavia dichiarato incostituzionale dal Giudice delle leggi, con la sentenza 26 giugno 2018, n. 132, nella parte in cui faceva salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparazione e, dunque, nella parte in cui attribuiva efficacia ex nunc agli effetti sananti della costituzione. La Corte ha così riconosciuto l’efficacia ex tunc anche per le costituzioni delle parti nei giudizi amministrativi, sancendo l’illegittimità della norma per il mancato rispetto dei criteri direttivi dell’articolo 44, c. 1, della legge delega n. 69/2009 che aveva demandato al il Governo il compito di adeguare le norme sul processo amministrativo “alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele”. Più precisamente, la Corte ha riscontrato che la previsione di una efficacia ex nunc si poneva in contrasto sia con l’art 156 c.p.c., ritenuto espressione di un principio generale, sia con la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di notificazione degli atti processuali.

A questo proposito si segnala che per le medesime ragioni, id est il contrasto con i criteri della legge delega n. 69/2009, era stata sollevata anche la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 94, c. 4, CPA nella parte in cui consentiva la rimessione in termine soltanto qualora l’esito negativo della notificazione fosse riconducibile ad un fatto non imputabile al notificante. Cionondimeno, la relativa questione è stata ritenuta infondata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 31 gennaio 2014, n. 18.

 

2. La rimessione in termini per trasferimento del domiciliatario

Una volta delineate le regole generali per la notifica delle impugnazioni, l’articolo 93 CPA detta al secondo comma una specifica ipotesi di rimessione in termini per sanare le notificazioni che non si siano perfezionate in ragione del trasferimento del domiciliatario che non ha comunicato alle altre parti il suo nuovo domicilio.  

La norma fa riferimento alla mancata notificazione da parte del domiciliatario di una “comunicazione formale” del suo nuovo domicilio senza però chiarire quale sia la forma o il contenuto di tale comunicazione. E, nel silenzio della legge, la giurisprudenza tende ad individuare una comunicazione formale del nuovo domicilio, escludendo così la possibilità della rimessione in termini, anche negli atti processuali notificati per altri fini quale, ad esempio, la dichiarazione di riserva di impugnazione della sentenza parziale (in tal senso Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2017, n.1092).

Ad ogni modo, se la notificazione dell’impugnazione ha avuto esito negativo a causa della mancata comunicazione del nuovo domicilio, la parte impugnante potrà rivolgersi al presidente del Consiglio di Stato o del Tar, a seconda di quale sia il giudizio di impugnazione promosso. Presentando un’istanza accompagnata dall’attestazione della mancata notificazione, parte impugnante potrà difatti ottenere la fissazione di un termine perentorio ai fini del completamento della notificazione o della rinnovazione dell’impugnazione.

In altri termini, la disposizione esclude che l’esito negativo della notificazione pregiudichi la proposizione dell’impugnazione e prevede l’onere della parte impugnante di presentare apposita istanza per la propria rimessione in termini, posto che “legittimamente la parte rimasta soccombente nel giudizio di primo grado fa affidamento, al fine di stabilire il luogo della notifica dell’appello, su quanto attestato dal giudice nel provvedimento contro il quale si intende proporre gravame e che il mutamento di domicilio è comportamento integralmente imputabile alla parte che lo pone in essere, quindi le sue conseguente non possono essere poste a carico degli altri soggetti del giudizio” (così Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 966; Id., sez. VI, 12 ottobre 2010, n. 7424).

La presentazione dell’istanza al Presidente del collegio adito rappresenta quindi un onere processuale posto a carico della parte impugnante e la cui inosservanza implica la decadenza della stessa dal suo potere di impugnazione. Cionondimeno, come osservato anche dalla giurisprudenza (Cfr. Cons. Stato sez. III, Sent.,  9 gennaio 2017, n. 22), detto onere è stato introdotto dall’articolo 93, c. 2, CPA nello stesso interesse di chi impugna dal momento che l’orientamento precedente all’entrata in vigore del CPA riteneva diversamente che: “ove la notifica dell’atto venga tentata nel domicilio eletto in primo grado, ma non sia eseguita per avvenuto trasferimento del difensore, l’appello va dichiarato irricevibile, ove notificato a termine ormai scaduto nel nuovo domicilio" (Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 1998, n. 475; Id. sez. VI, 14 gennaio 2009, n. 141).

 

3. Le notificazioni presso le pubbliche amministrazioni

Le regole esposte all’articolo 93 CPA trovano una vistosa eccezione per le notificazioni da effettuare alle pubbliche amministrazioni, per le quali restano ferme “le norme vigenti per la difesa in giudizio delle stesse” così come specificato dall’articolo 41, c. 3, CPA per i ricorsi nel processo amministrativo di primo grado.

La norma di riferimento per le pubbliche amministrazioni patrocinate dall’Avvocatura dello Stato è l’articolo 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1661, così come modificato dall’articolo 1, della l. 25 marzo 1958, n. 260, il quale è poi espressamente richiamato anche per i giudizi innanzi alle giurisdizioni amministrative dall’articolo 10 della l. 3 aprile 1979, n. 103.  

In base alle disposizioni citate, le notificazioni di ogni atto giudiziale e delle sentenze alle amministrazioni ed agli enti pubblici patrocinati dall’Avvocatura dello Stato devono essere effettuate presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria presso cui la causa è pendente o che ha pronunciato la sentenza. Viceversa, in forza dell’articolo 144 c.p.c., le notificazioni per le amministrazioni che non si avvalgono del patrocinio dell’avvocatura pubblica vanno effettuate presso le stesse amministrazioni destinatarie. 

Inoltre, posto che l’articolo 11, c. 3, del r.d. n. 1611/1933 sanziona con la nullità il mancato rispetto delle norme sulle notificazioni nei confronti delle amministrazioni patrocinate dall’Avvocatura, la giurisprudenza amministrativa è pacifica nel ritenere inammissibili i mezzi di impugnazione che non siano notificati alle pubbliche amministrazioni a norma di legge. Nello specifico, la giurisprudenza ritiene nulle sia le notificazioni effettuate direttamente alle amministrazioni parti in causa anziché presso l’ufficio dell’Avvocatura nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria adita, sia le notificazioni per i giudizi innanzi al Consiglio di Stato che non siano effettuate a Roma presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato in Via dei Portoghesi, bensì presso l’ufficio dell’Avvocatura distrettuale in cui ha sede il Tribunale che ha pronunciato la sentenza oggetto di impugnazione (sul punto si veda, ex multis, Cons. Stato, sez. III, 23 dicembre 2019, n. 8740;Id., sez. II, 18 novembre 2019, n. 7865; Id., sez. III, 20 marzo 2019, n. 1843).

Da ultimo, si ricorda che le norme sulle notificazioni per le amministrazioni valgono tanto per i mezzi di impugnazione quanto per le sentenze che possano essere oggetto di gravame. Ne consegue, ad esempio, che qualora la parte vittoriosa abbia notificato la sentenza di primo grado all’amministrazione invece che alla compente Avvocatura dello Stato, la notificazione sarà da ritenersi nulla e, pertanto, inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione; con l’ulteriore conseguenza che l’amministrazione soccombente potrà eventualmente impugnare la pronuncia nel termino lungo di 6 mesi.

 

Il punto di vista degli Autori

Soltanto poco tempo fa, con riferimento all’irrituale notificazione di un appello avverso una sentenza amministrativa di primo grado, il Consiglio di Stato, sez. V, con ordinanza n. 2489 del 20 aprile 2020 ha nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 44, c. 4, CPA nella parte in cui consente la rimessione in termini soltanto se il giudice “ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”.

Il giudizio a quo concerne un ricorso in appello avverso una sentenza del Tar Campania che era stato notificato presso gli uffici dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, anziché presso gli uffici dell’Avvocatura generale dello Stato competente per i giudizi innanzi al Consiglio di Stato e che non si era poi costituita in giudizio. I giudici di Palazzo Spada, pur riconoscendo che secondo la normativa e giurisprudenza vigente l’appello doveva dichiararsi inammissibile per nullità della notifica, hanno però sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 44, c. 4, CPA per due principali ordini di ragione.

Da un lato, nella misura in cui dei vizi formali pregiudicano l’esercizio del diritto di difesa, sono stati avanzati dubbi sulla compatibilità della norma con i principi di ragionevolezza e proporzionalità desumibili dall’articolo 3 Cost., con il principio di effettività di tutela di cui all’articolo 111 Cost.  e con l’articolo 117, c.1, Cost. per contrasto con la giurisprudenza della Corte EDU sull’articolo 6 della CEDU che tutela il diritto ad un equo processo.

Dall’altro, è stato nuovamente prospettato il contrasto tra l’articolo 44, c. 4, CPA e l’articolo 291 c.p.c. che, come già ricordato, ammette in via generalizzata la possibilità di sanare le notificazioni nulle mediante la fissazione di un termine perentorio da parte del giudice. Da qui, il possibile conflitto con i criteri della legge delega n. 69/2009 e, quindi, con l’articolo 76 Cost. per eccesso di delega, nonostante la Corte Costituzionale nella sentenza n. 18/2014 si fosse già pronunciata sulla questione ritenendo che la ratio dell’articolo 44, c. 4, CPA fosse riconducibile alla peculiare struttura del giudizio amministrativo, caratterizzato da brevi termini perentori per la sua introduzione e dall’assenza dell’istituto della contumacia.

Invero, secondo il Consiglio di Stato, la pronuncia della Consulta potrebbe essere superata alla luce della successiva giurisprudenza costituzionale e, in particolare, dalla sentenza n. 132/2018 che ha riconosciuto l’illegittimità dell’articolo 44, c. 2., CPA per contrasto con la corrispondente disposizione civilista, id est l’articolo 156 c.p.c. ritenuto espressione di un principio generale. Peraltro, osserva sempre il Consiglio di Stato, anche l’articolo 291 c.p.c. dovrebbe ritenersi espressione di un corollario generale dell’ordinamento e, in aggiunta, l’istituto della contumacia è sconosciuto anche nel procedimento tributario e nel ricorso in Cassazione, per i quali tuttavia la giurisprudenza della Cassazione ammette pacificamente l’applicazione dell’articolo 291 c.p.c.

Per verificare la fondatezza delle questioni sottoposte dal Consiglio di Stato occorrerà attendere la pronuncia della Consulta, ma possono comunque dirsi condivisibili le preoccupazioni espresse dai Giudici di Palazzo Spada in merito alla necessità di garantire una piena tutela al diritto di difesa anche nel processo amministrativo. Inoltre, benché non sia stato prospettato nell’ordinanza di rimessione, potrebbe in linea teorica avanzarsi un’ulteriore tesi ermeneutica anche qualora la Corte Costituzionale ribadisca la legittimità dell’articolo 44, c. 4, CPA Ovverosia, sostenere l’applicazione dell’articolo 291 c.p.c. non in via indifferenziata a tutte le notificazioni nulle intervenute nel giudizio amministrativo, ma soltanto per quelle conseguenti al manco rispetto delle norme sulla notificazione alle amministrazioni patrocinate dall’Avvocatura dello Stato. Tale tesi sembra difatti trovare pieno raffronto nella giurisprudenza costituzionale ed amministrativa.

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 97 del 26 giugno 1967, ha sancito l’illegittimità dell’articolo 11, c. 3, del r.d. n. 1611/1933 nella parte in cui esclude la possibilità di sanare le notificazioni nulle in quanto non effettuate presso la competente Avvocatura dello Stato. Sicché sembra porsi in contrasto con il principio di diritto affermato dalla Corte l’articolo 94, c. 4, CPA che, nei fatti, circoscrive la possibilità di sanare la nullità delle notificazioni delle amministrazioni soltanto nel caso di costituzione in giudizio delle medesime dal momento che il mancato rispetto del r.d. n. 1611/1933 non costituisce un vizio di nullità non imputabile al notificante.

Inoltre, come ricorda la giurisprudenza amministrativa, appare difficile giustificare l’impossibilità di sanare dette notificazioni in ragione di qualche sovraordinato interesse pubblico posto che la regola della notifica presso l’avvocatura rappresenta una “deroga alla disciplina generale, che costituisce un evidente favor, riconosciuto all’amministrazione statale in sede processuale, al fine di meglio consentirne il diritto di difesa (…). Nondimeno, l’applicazione di tale regola deve trovare i giusti contemperamenti, non potendo essa risolversi in una compressione del diritto alla tutela giurisdizionale del privato nei confronti della pubblica amministrazione statale, e ciò attraverso una applicazione rigida e formale, che, impedendo di giudicare nel merito, si risolva in una non ammissibile compressione del diritto di difesa.” (così Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4660).