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Art. 94

Deposito delle impugnazioni

1. Nei giudizi di appello, di revocazione e di opposizione di terzo il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall’ultima notificazione ai sensi dell’articolo 45, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni.

Bibliografia. G. Grasso, Il processo amministrativo solidale, in www.giustizia-amministrativa.it, 2020;  C. Volpe, Il superamento del “processo cartolare coatto”. Legislazione della pandemia o pandemia della legislazione?, in www.giustizia-amministrativa.it, 2020; A. Dapas e L. Viola, Gli orari per il deposito degli atti processuali telematici dopo la Corte Cost. n. 75/2019, in Urbanistica e appalti, 2019, fasc. 4; A. Dapas e L. Viola, Il p.a.t.: disorientamenti giurisprudenziali (e normativi) in materia di termini di deposito degli atti – il commento, in Urbanistica e appalti, 2018, fasc. 2: L. Viola, il deposito del ricorso dopo il p.a.t., tra sanatoria per raggiungimento dello scopo e automazione del processo, in Urbanistica e appalti, 2017, fasc. 6, I. S. I. Pisano, Prime riflessioni sull’avvio del pat, tra principio di sinteticità e regime transitorio, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2017 fasc. 1.

 

Sommario. 1. Parallelismi e divergenze nella disciplina del deposito dei giudizi di primo grado e di impugnazione. 2. Il deposito nel processo amministrativo telematico.

 

1. Parallelismi e divergenze nella disciplina del deposito dei giudizi di primo grado e di impugnazione

A norma dell’articolo 94 del CPA, nei giudizi di appello, opposizione di terzo e revocazione il ricorso va depositato, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni dalla sua ultima notificazione. 

Vi è pertanto un evidente parallelismo con il ricorso di primo grado per il quale l’articolo 45 CPA, cui peraltro rinvia l’articolo 94 CPA, prevede parimenti un termine di decadenza di trenta giorni per il deposito. Inoltre, i giudizi di impugnazione condividono con quello di primo grado anche il dies a quo per il decorso del termine perentorio di trenta giorni che decorre “nel momento in cui si perfeziona l’ultima notificazione per il destinatario dell’atto (…) e non dalla conoscenza che il soggetto notificante ha avuto di tale evento.” (così Cons. Stato Sez. VI, 28 giugno 2016, n. 2856). E, parimenti, nei giudizi di impugnazione innanzi al giudice amministrativo opera poi la riduzione dei termini processuali prevista per i riti camerali e quelli abbreviati. Di talché nei riti previsti rispettivamente dagli articoli 87, c. 3, e 119 CPA l’ordinario termine di deposito di 30 giorni è ridotto a quindici (in tal senso si vedano Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2018, n. 1179, sul deposito di un ricorso in appello in un giudizio di ottemperanza e Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2017, n. 397, con riferimento ad un appello nel rito appalti). 

L’unica differenza tra le discipline dettate per i giudizi di primo e grado e di impugnazione attiene all’oggetto del deposito ed è riconducibile alla diversa natura dei giudizi.

Nel giudizio di primo grado, modellato dal legislatore del 2010 intorno all’azione di annullamento, il deposito del ricorso dovrebbe avere ad oggetto anche una copia del provvedimento impugnato. L’articolo 45, c. 4, CPA esclude tuttavia che la mancata produzione da parte del ricorrente di una copia dell’atto impugnato sia sanzionata con la decadenza dal momento che, in forza del principio di prossimità della prova e di parità delle armi, l’onere di depositare il provvedimento è posto dal seguente articolo 46, c. 2, a carico dell’amministrazione che lo ha emanato. 

Diversamente, nei giudizi di impugnazione l’articolo 94 CPA richiede che il deposito del riscorso avvenga, a pena di decadenza, “unitamente ad una copia della sentenza impugnata” e la previsione della sanzione della decadenza appare qui coerente con la natura dei giudizi impugnatori aventi ad oggetto la sentenza nei cui confronti è promossa l’impugnazione; tant’è che secondo la giurisprudenza “la sentenza integrale (ovverosia completa di motivazione e dispositivo) diventa strumento indispensabile per la concreta, e specifica, riferibilità delle censure svolte avverso i diversi capi della sentenza gravata, (così Cons. Stato, sez. III, 14 giugno 2011, n.3619).

  La rigida formulazione dell’articolo 93 ha comunque visto dei temperamenti nell’applicazione datagli dalla giurisprudenza amministrativa. 

Innanzitutto, nonostante il tenore letterale della norma, è stato riconosciuto che il deposito della copia della sentenza può avvenire anche separatamente da quello del mezzo di gravame purché sempre nel rispetto del termine perentorio di 30 giorni. Detto orientamento si fonda, in particolare, sul rinvio esterno all’articolo 372, c. 2, c.p.c. per il quale “il deposito dei documenti relativi all’ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti.”. 

In secondo luogo, qualora la parte impugnante non abbia provveduto a depositare copia della sentenza, è riconosciuta la possibilità per le altre parti in giudizio di assolvere l’onere di deposito al fine di scongiurare l’effetto decadenziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1455).

Infine, va precisato che l’articolo 94 si applica soltanto ai giudizi di impugnazione innanzi al giudice amministrativo e non anche al ricorso in cassazione, la cui disciplina resta dettata dall’articolo 369 del c.p.c. e si differenzia dalla disposizione del CPA sotto due profili.

Da un lato, il deposito del ricorso in cassazione deve avvenire, a pena di improcedibilità, nel termine di soli venti giorni, e non trenta, dal perfezionamento dell’ultima notificazione e, dall’altro, deve avere ad oggetto una copia autentica della sentenza impugnata ovvero del provvedimento da cui è scaturito il conflitto di giurisdizione o di competenza. 

La differenza tra le discipline dettate per il ricorso in cassazione e le impugnazioni innanzi al giudice amministrativo è stata valorizzata dal Consiglio di Stato, il quale ha precisato che, anche a seguito dell’introduzione del processo civile telematico, la copia della sentenza non deve essere autentica nei giudizi di impugnazione dinnanzi al giudice amministrativo. Difatti, l’articolo 94 del CPA, a differenza dell’articolo 369 del c.p.p., richiede soltanto “una copia” della sentenza impugnata, sicché l’improcedibilità ovvero l’inammissibilità del gravame può essere dichiarata solo nel caso estremo di mancata produzione di copia, anche semplice, della sentenza impugnata (così Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 2773 del 28.5.2014; Cons. Stato, Sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 1136).

 

2. Il deposito nel processo amministrativo telematico

Anche il deposito nei giudizi di impugnazione, al pari di quanto avviene in primo grado, deve essere effettuato secondo le modalità telematiche cui fanno riferimento gli articoli 136, c. 2, CPA e 13, c. 1., disp. att. CPA

La disciplina delle regole tecnico-operative per il processo amministrativo telematico (p.a.t.) era contenuta, sino al 1° giugno 2020, nel d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40. A partire appunto dal 1° giugno 2020, il citato d.P.C.M. è stato abrogato e sostituito dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 144 del 22 maggio 2020 adottato in occasione dell’emergenza epidemiologica del Covid-19 ed in forza dell’articolo 4, c. 3, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28. Il decreto del Presidente del Consiglio di Stato si compone di tre allegati di cui i primi due si limitano a riprodurre fedelmente le previgenti previsioni del d.p.c.m. n. 40/2016, mentre il terzo allegato introduce le specifiche tecniche per le sole udienze da remoto previste dall’articolo 4 del d.l. n. 28/2020 e da svolgersi durante la fase emergenziale legata al Covid-19. 

Di conseguenza, le regole adottate dal Presidente del Consiglio di Stato ricalcano le previsioni del d.P.C.M. n. 40/2016 anche per quanto concerne il deposito degli atti digitali che avviene mediante posta elettronica certificata (PEC) e, in via residuale, tramite upload.

Nello specifico, il deposito mediante PEC va effettuato dalla casella PEC individuale dell’avvocato difensore alla casella PEC della sede giudiziaria adita pubblicata sul Sito Istituzionale. Ai fini del perfezionamento del deposito, l’avvocato riceve tre PEC: quella di accettazione della PEC, quella di consegna della PEC e, infine, dal SIGA quella di avvenuta registrazione del deposito. Una volta ricevuta quest’ultima PEC, il deposito si considera comunque effettuato dal momento in cui è stata generata la prima PEC di accettazione. Si procede invece con il deposito tramite upload, che avviene mediante collegamento al Sito Istituzionale e nella relativa sezione presente nel Portale dell’Avvocato, quando non è possibile per comprovate ragioni tecniche il deposito con PEC ovvero se i documenti da depositare superano i 30 MB.

La normativa sino ad oggi adottata in funzione dell’emergenza del coronavirus non sembra aver introdotto elementi idonei a superare la consolidata giurisprudenza formatasi sull’abrogato d.P.C.M. n.  40/2016 e secondo la quale il mancato rispetto delle regole tecniche operative sul p.a.t. non costituisce un’ipotesi di nullità o inesistenza dei relativi atti processuali, ma soltanto di mera irregolarità.  

Appaiono pertanto ancora attuali le conclusioni della giurisprudenza amministrativa che ritiene soltanto irregolari gli atti depositati in formato cartaceo ovvero secondo modalità digitali diverse da quelle contemplate dalle regole tecniche in quanto, “poiché nella disciplina del PAT manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale, viene meno il presupposto necessario per dichiarare il ricorso nullo nella sua fase genetica, ovvero in relazione alla successiva notificazione e deposito; difettando, anche in questo caso, disposizioni che sanciscano la nullità dell’adempimento se realizzato in formato cartaceo” (Cons. Stato, sez. V, 7 febbraio 2018, n. 817; Id., sez. IV, 4 aprile 2017, n. 1541). 

Pertanto, a differenza di quanto avviene per le notificazioni nulle ove la rimessione in termine è consentita soltanto a fronti di vizi non imputabili al notificante, nell’ipotesi di mancato rispetto delle regole sul p.a.t. il giudice “deve sempre e comunque” fissare un termine per la regolarizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord.,  18 novembre 2019, n. 7895; Id., sez. V, 24 novembre 2017, n. 5490; Id., sez. III, 11 settembre 2017 n. 4286). Peraltro, la rimessione in termini si rende necessaria quand’anche si siano costituite in giudizio le parti intimate (cfr. Cons. Stato, sez, VI, ord., 30 gennaio 2020, n. 777, Id., sez. V, 25 gennaio 2019, n. 649). La giurisprudenza difatti, benché parli di una mera ipotesi di irregolarità, esclude l’applicazione dell’art 44, c. 3, CPA, per il quale la costituzione dell’intimato comporta in ogni caso la sanatoria dell’atto irregolare,  dal momento che: “Per mantenere intatte le finalità proprie del PAT ed impedirne la pratica elusione - che rischierebbe di tramutarsi in una fuga sistematica dalla forma digitale (…) deve tuttavia ritenersi che (…) l’irregolarità che si verifica (diversa da quella per così dire "ordinaria") non possa essere sanata dalla costituzione degli intimati”(così sempre Cons. Stato sez. IV, 4 aprile 2017, n. 1541). 

 

Il punto di vista dell’Autore

Nell’affrontare l’emergenza legata al Covid-19 il legislatore nazionale ha voluto adottare i soli accorgimenti tecnici necessari a garantire la prosecuzione dei giudizi amministrativi “da remoto” senza procedere ad un ripensamento complessivo del p.a.t. Gli interventi messi in causa, sebbene inizialmente ad eccessivo discapito del principio di oralità, hanno consentito di evitare un blocco della giustizia amministrativa ed è condivisibile la scelta di non procedere ad una riforma organica della disciplina in un momento tanto delicato e peculiare. Cionondimeno, vi sono alcuni profili del p.a.t. che richiedono da tempo un intervento del legislatore, sicché si può comunque affermare che nella redazione del d.l. n. 38/2020 non sono state sfruttate due importanti occasioni di riforma.

In primo luogo, si sarebbe potuto intervenire sulla disciplina per l’orario dei depositi telematici ricomponendo così i molteplici orientamenti giurisprudenziali che hanno tentato, fornendo soluzioni antitetiche tra loro, di garantire un’interpretazione coordinata tra il primo ed il terzo periodo dell’articolo 4 disp. att. CPA  

Più precisamente, l’articolo 4, c. 4, delle disp. att. CPA, così come modificato dall’articolo 7, comma 2, lett. b), D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 dispone, al primo periodo, che "È assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell’ultimo giorno consentito.”. Tuttavia, il successivo terzo periodo della stessa norma prevede che: “agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”.

Da tale antinomia normativa si sono formati diversi orientamenti, dei quali possono richiamarsi i due più recenti. 

Uno, maggiormente rigoroso e in questi ultimi mesi prevalente in senso al Consiglio di Stato, ritiene che: “il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un’udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un’udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell’ultimo giorno utile è inammissibile” (così Cons. Stato sez. IV, 13 febbraio 2020, n.1137 e, con specifico riferimento anche alle previsioni del d.l. n. 28/2020, Id., sez. VI, 18 maggio 2020, n.3149).

L’altro, comunque recente e consolidatosi sempre in capo ai giudici di Palazzo Spada, ha  però fornito  una diversa chiave di lettura della normativa che “il deposito telematico si considera quindi perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora”; con l’ulteriore conseguenza che il deposito telematico è sempre ammesso fino alle ore 24 dell’ultimo giorno (si veda Cons. Stato sez. IV, 15 luglio 2019, n.4955; Id., sez. IV,  primo giugno 2018, n. 3309; Id., sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3419).  Di talché, secondo questo orientamento, l’articolo 4 delle disp att. CPA, nella parte in cui precisa che il deposito in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell’ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo, va interpretato nel senso che il termine assegnato alle altre parti per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 comincia a decorrere soltanto dal giorno successivo.

Il contrasto giurisprudenziale richiamato rende quindi necessario un chiarimento da parte del legislatore che non potrà essere rimandato ancora a lungo.

In secondo luogo, è stata persa l’occasione di abrogare l’obbligo di deposito della c.d. copia di cortesia degli atti processuali che, ad oggi, è stato semplicemente sospeso sino al 30 luglio. Tale obbligo appare di per sé in contrasto con le finalità proprie del p.a.t. riconducibili sia ad una logica ambientale di risparmio della carta stampata, sia di efficienza ed economicità delle attività processuali in ragione degli evidenti risparmi di tempo e di spesa per i difensori. L’onere di depositare una copia di cortesia degli atti processuali doveva, difatti, avere una durata limitata essendo stato introdotto al solo fine di garantire il passaggio dal processo cautelare a quello telematico. E, a 4 anni di distanza dall’implementazione del p.a..t, tale compito può ormai ritenersi pienamente assolto.

Per di più la sola sospensione dell’obbligo appare ancor più contraddittoria se si pensa che il d.l. n. 28/2020, nel riformulare l’articolo 13 disp. att. CPA, ha abrogato la previsione per cui: “In casi eccezionali, e se non è possibile effettuare più invii dello stesso scritto difensivo o documento, il presidente del tribunale o del Consiglio di Stato, il presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o il collegio se la questione sorge in udienza possono autorizzare il deposito cartaceo”.

Da qui la criticità di una normativa che ha solamente sospeso l’obbligo di depositare in via generale una copia cartacea degli atti cartacei ma, al contempo, ha eliminato quella previsione che ammetteva, a fronte di esigenze reali ed eccezionali, il ricorso al deposito cartaceo quando davvero necessario.