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Art. 97

Intervento nel giudizio di impugnazione

1. Può intervenire nel giudizio di impugnazione, con atto notificato a tutte le parti, chi vi ha interesse.

Bibliografia. M. R. Calderaro, L’intervento nel processo amministrativo: antichi problemi e nuove prospettive dopo il Codice del 2010, in Diritto Processuale Amministrativo, 2018, fasc.1;, A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, XII ed., Giappichelli, 2018 A. Carbone, L’opposizione di terzo ex articolo 108 comma 1° CPA, in Foro amministrativo TAR, 2012, fasc. 9; P. Patrito e M. Protto, Intervento adesivo ex articolo 28 CPA: modalità di proposizione e termini, in Urbanistica e appalti, 2012, fasc. 8; P. Patrito, M. Protto e G. Ferrari, Breve riflessioni sull’intervento volontario e sulla chiamata iussu iudicis nel processo amministrativo, in Foro amministrativo CDS, 2011, fasc.3;  

 

Sommario. 1. La disciplina dell’intervento nei giudizi di impugnazione 2. La natura dell’interesse per l’intervento nei giudizi impugnatori.

 

1. La disciplina dell’intervento nei giudizi di impugnazione

L’articolo 97 CPA riconosce, a chi ne abbia interesse, la facoltà di intervenire nel giudizio di impugnazione previa notificazione a tutte le altre parti in causa del proprio atto di intervento.

Come chiarito dalla giurisprudenza intervenuta all’indomani dell’entrata in vigore del CPA, la scarna previsione dell’articolo 97 va integrata con le disposizioni sull’intervento nel primo grado di giudizio in forza dell’articolo 38 CPA che, salva diversa disposizione espressa, estende anche alle impugnazioni e ai riti speciali le disposizioni del secondo libro sul processo amministrativo in primo grado (cfr. Cons. Stato sez. IV, 30 novembre 2010, n .8363). Dal rinvio interno alle previsioni sul giudizio di primo grado discende la piena applicabilità anche ai giudizi di impugnazione delle formalità prescritte dall’articolo 50 CPA e, pertanto, l’onere dell’interveniente di presentare un atto di intervento che sia sottoscritto a norma dell’articolo 40 CPA e che contenga le indicazioni delle generalità dell’interveniente, le ragioni di diritto sui cui l’atto si fonda, nonché la produzione dei documenti giustificativi. 

Della disciplina dettata per il processo di primo grado sono da ritenersi applicabili anche i termini per il deposito dell’atto di intervento che deve avvenire entro trenta giorni dal perfezionamento dell’ultima notificazione e trenta giorni prima dell’udienza di fissazione nel merito se l’intervento è promosso da chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni (sul punto, Tar Lazio, sez. II, 28 gennaio 2019, n. 1076; Tar Piemonte, sez. I, 8 settembre 2017, n. 1041).

Quanto alle caratteristiche specifiche dell’intervento nei giudizi di impugnazione, l’articolo 97 CPA richiede la notificazione dell’atto di intervento a tutte le parti in causa, sicché la giurisprudenza amministrativa ritiene inammissibile l’atto di intervento che non sia notificato a tutte le controparti (cfr. Cons. Stato, sez. V, primo marzo 2017, n.952: Id., sez. V, 26 marzo 2012, n. 1732). 

Inoltre, in ragione del collegamento previsto dall’articolo 109, c. 2, CPA, l’intervento nel giudizio di impugnazione viene esaminato dalla giurisprudenza anche in relazione al rimedio dell’opposizione di terzo ordinaria. Nello specifico, l’articolo 109, c. 2, CPA, se è proposto appello contro la sentenza di primo grado, richiede al terzo di introdurre, a pena di improcedibilità, la propria domanda di opposizione intervenendo nel giudizio di appello.  

Invero, benché sia pacifico che il controinteressato pregiudicato dalla decisione pronunciata sia legittimato ad impugnarla mediante l’opposizione di terzo, è ritenuto onere dello stesso intervenire nel giudizio nella forma dell’intervento ad opponendum qualora il suo interesse all’impugnazione sorga in pendenza del giudizio e di questo abbia avuta conoscenza. 

Più precisamente, la giurisprudenza ha stabilito come  i soggetti legittimati all’opposizione di terzo ordinaria, se messi  a conoscenza della pendenza del ricorso d’appello contro una sentenza intervenuta inter aliose il cui esito sulla base di una valutazione ex ante del possibile epilogo della controversia, potrebbe pregiudicare la propria posizione giuridica soggettiva, essi siano onerati, a pena di preclusione, di far valere le proprie ragioni con lo strumento dell’intervento in appello, il quale, per l’effetto, si atteggia, in tale contesto, a rimedio necessario.” (cfr. Cons. Stato, sez,. V, 8 marzo 2018, n. 1498; Id., sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 322).  Da qui, la formazione dell’orientamento giurisprudenziale che dichiara l’improcedibilità delle opposizioni di terzo promosse da chi, pur ricorrendo le condizioni precedentemente riportate, non sono intervenute ex articolo 97 CPA nel relativo giudizio di appello (si veda, tra le tante, Tar Basilicata, sez. I, 15 luglio 2019, n. 620).

La ratio di tale orientamento e dell’articolo 109, c. 2, CPA è quindi quella  di impedire la trasformazione dell’opposizione di terzo, configurato dal codice come un rimedio straordinario nelle eccezionali ipotesi di pretermissione di una parte necessaria del processo, in un mezzo di impugnazione ordinaria che possa essere esperito da chi non interviene nel processo per attenderne l’esito potendo confidare sulla possibilità di impugnare l’eventuale giudicato sfavorevole (sul punto si veda Cons. Stato, sez. IV, 7 agosto 2017, n. 3956).

 

2. La natura dell’interesse per l’intervento nei giudizi impugnatori

L’articolo 97 CPA ammette l’intervento di “chi vi ha interesse” e rispetto alla natura dell’interesse che legittima l’intervento nel giudizio di impugnazione possono riscontrarsi due principali orientamenti giurisprudenziali solo in parte sovrapponibili tra di loro. 

Il primo, invero minoritario, pone l’accento unicamente sull’ampia formulazione contenuta dall’articolo 97 CPA ritenendo sufficiente ai fini dell’intervento “un qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, anche riflesso o indiretto, e finanche privo dei requisiti idonei a fondare in capo all’interveniente una posizione di controinteresse in senso tecnico-giuridico” (in tali termini, Cons. Stato, sez. V, 24 novembre 2016, n. 4957; Id., sez. VI, 26 luglio 2016, n. 3356). 

Il secondo valuta l’interesse dell’interveniente nel giudizio di impugnazione alla stregua di quanto avviene nel primo grado di giudizio per gli interventi ad adiuvandum e ad opponendum. Per l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum, che corrisponde all’intervento adesivo dipendente del processo civile, la giurisprudenza amministrativa richiede anche nei giudizi di impugnazione che l’iniziativa processuale sia “espressione di un interesse - a seconda delle formulazioni - connesso, derivato, dipendente o almeno accessorio o riflesso rispetto a quello proprio della parte principale” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2020, n. 1484; Id., sez. V, 26 luglio 2016, n. 3378; 28 settembre 2015, n. 4509; 31 marzo 2015, n. 1687 e 2 agosto 2011, n. 4557; VI, 18 febbraio 2015, n. 832; IV, 8 giugno 2010, n. 3589). 

È invece peculiare la disciplina dell’intervento ad opponendum che nel processo amministrativo può essere promosso dal terzo titolare di un interesse con un rilievo giuridico sufficiente a differenziarlo dalla generalità dei consociati e che gli consente di conseguire un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso (sul punto Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 2017, n. 573, e, riguardo agli interventi nei giudizi di impugnazione, Id., sez. V, 23 novembre 2018, n. 6632). 

Nei giudizi di impugnazione e in particolare di appello la giurisprudenza valuta l’ammissibilità degli interventi ad opponendum a seconda che l’impugnazione sia proposta o meno dall’amministrazione o dal controinteressato soccombenti in primo grado. In tale ipotesi la posizione dell’interveniente ad opponendum nel giudizio di impugnazione è equiparata a quella dell’interveniente ad adiuvandum nel ricorso di primo grado: l’intervento è da ritenersi inammissibile se presentato da chi vanta un interesse autonomo alla rimozione dei provvedimenti impugnati. 

Difatti, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, chi vanta un interesse personale all’impugnazione dei provvedimenti direttamente lesivi della sua posizione è tenuto ad agire mediante la proposizione del ricorso in via principale e nel rispetto dei relativi termini di decadenza che non possono essere aggirati intervenendo nel giudizio promosso da altri. 

Da qui, l’equivalenza cui è giunta la giurisprudenza che equipara l’intervento ad opponendum nel giudizio di appello promosso dall’amministrazione resistente e soccombente in primo grado all’intervento ad adiuvandum promosso nel processo di primo grado instaurato mediante la promozione dell’azione di annullamento del provvedimento dell’amministrazione. Di talché l’inammissibilità per l’intervento ad adiuvandum di chi, vantando una posizione autonoma, doveva impugnare direttamente il provvedimento lesivo viene estesa anche per l’intervento ad opponendum nel giudizio di impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5985; Id., sez. III, 14 dicembre 2016, n.5268).

Peraltro, la posizione dell’intervenente ad adiuvandum nel primo grado di giudizio è esaminata anche ai fini della legittimazione attiva per la proposizione dell’appello che, ex articolo 102, c. 2, CPA può essere proposto soltanto da chi è titolare di una posizione giuridica autonoma. 

La giurisprudenza amministrativa esclude che l’interveniente ad adiuvandum in primo grado, vantando una posizione dipendente rispetto a quella della ricorrente principale, sia titolare di una posizione autonoma che gli consente di proporre l’appello in via principale e autonoma.  Le uniche eccezioni a tale principio sono difatti individuate nelle ipotesi in cui l’interveniente possa far valere un interesse direttamente riferibile alla sua posizione, come nel caso in cui la sentenza impugnata gli abbia negato la legittimazione all’intervento o l’abbia condannato alle spese giudiziali (cfr. Cons. Stato sez. IV, 14 aprile 2020, n. 2421; Id., sez. IV, 24 gennaio 2020, n.567; Id., sez. V, 11 luglio 2017, n. 3409; Id., 13 febbraio 2017 n. 614, e, in termini simili si esprime anche la Cassazione che ha riconosciuto la peculiarità del giudizio amministrativo di legittimità con l’ordinanza della Cass. Civ, sez. un, 29 novembre 2019, n. 31266, e la sentenza n. 5992 del 17 aprile 2012).

Viceversa, è ritenuto pienamente ammissibile l’appello promosso dall’interveniente ad opponendum nella misura in cui è titolare di una propria ed autonoma posizione giuridica e non di un semplice interesse di fatto o di una aspettativa giuridica (sul punto Cons. di Stato, sez. VI, 3 giugno 2019, n.3678; Id., sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4121; Id., sez. VI, primo febbraio 2013, n. 639).

 

Il punto di vista dell’Autore

Il tema della legittimazione dell’intervento nel giudizio amministrativo è senza dubbio tra i più discussi oggi in dottrina ed all’interno delle scarne previsioni del codice processuale amministrativo si inseriscono gli orientamenti giurisprudenziali che, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, richiedono una valutazione puntuale della posizione delle parti nelle singole vicende oggetto di giudizio. L’inevitabile risultato delle lacune della normativa è l’elevato numero di interventi in giudizio che ancora oggi vengono dichiarati inammissibili. Peraltro, come già osservato nel commento all’articolo 95 CPA, in un sistema amministrativo che si sta progressivamente allontanando dal solo modello dell’azione di annullamento la giurisprudenza vede sempre più restringersi i margini in cui può far affidamento sulla nozione di controinteressato per l’ammissibilità dell’intervento ad opponendum.

Quanto richiamato deve a maggior ragione ribadirsi per gli interventi nei giudizi di impugnazione dal momento che la scarna formulazione dell’articolo 97, limitandosi a consentire l’intervento di chi ha interesse, non permette di comprendere entro quali limiti i principi di diritto affermati per il giudizio in primo grado possano applicarsi anche a quelli impugnatori, lasciando così ampi margini interpretativi al giudice amministrativo. In tal senso è esemplificativo il recente orientamento giurisprudenziale che, nel silenzio della norma, ha equiparato l’interveniente ad opponendum nel giudizio di impugnazione all’interveniente ad adiuvandum in primo grado.