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Art. 19 - Indagini patrimoniali

1. I soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, procedono, anche a mezzo della guardia di finanza o della polizia giudiziaria, ad indagini sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e sul patrimonio dei soggetti indicati all’articolo 16 nei cui confronti possa essere proposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con o senza divieto od obbligo di soggiorno, nonché, avvalendosi della guardia di finanza o della polizia giudiziaria, ad indagini sull’attività economica facente capo agli stessi soggetti allo scopo anche di individuare le fonti di reddito.

2. I soggetti di cui al comma 1 accertano, in particolare, se dette persone siano titolari di licenze, di autorizzazioni, di concessioni o di abilitazioni all’esercizio di attività imprenditoriali e commerciali, comprese le iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri, se beneficiano di contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concesse o erogate da parte dello Stato, degli enti pubblici o dell’Unione europea.

3. Le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti indicati al comma 1 nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.

4. I soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, possono richiedere, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio nonché alle imprese, società ed enti di ogni tipo informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti dei soggetti di cui ai commi 1, 2 e 3. Possono altresì accedere, senza nuovi o maggiori oneri, al Sistema per l’interscambio di flussi dati (SID) dell’Agenzia delle entrate e richiedere quanto ritenuto utile ai fini delle indagini. Previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedente, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono procedere al sequestro della documentazione di cui al primo periodo con le modalità di cui agli articoli 253, 254, e 255 del codice di procedura penale. (1)

5. Nel corso del procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione iniziato nei confronti delle persone indicate nell’articolo 16, il tribunale, ove necessario, può procedere ad ulteriori indagini oltre quelle già compiute a norma dei commi che precedono.

(1) Comma così modificato dall’ art. 5, comma 2, L. 161/2017 e, successivamente, dall’ art. 24, comma 1, lett. c), DL 113/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 132/2018.

Rassegna di giurisprudenza

Caratteristiche generali delle indagini patrimoniali ed elementi utilizzabili

Il Codice antimafia non contiene puntuali prescrizioni in ordine alle modalità di acquisizione delle notizie necessarie alla formulazione della proposta di applicazione di misura di prevenzione da parte del titolare del relativo potere.

Invero, l’art. 81, comma 1, stabilisce soltanto che presso ogni ufficio della procura della Repubblica è istituito un registro per l’annotazione, coperta da segreto non divulgabile mediante rilascio di alcuna certificazione, dei dati relativi ai soggetti nei cui confronti vengono svolti accertamenti “personali e patrimoniali” da parte delle autorità titolari del potere di proposta; la disposizione prevede dunque la formalizzazione dell’attività di ricerca degli elementi a supporto della domanda di prevenzione, da condurre dopo l’iscrizione, e preceduta soltanto dalla selezione dei soggetti sui quali concentrare l’attenzione investigativa sulla base di segnalazione da parte delle forze dell’ordine, dell’autorità di pubblica sicurezza o dell’individuazione compiuta in via autonoma dai magistrati requirenti.

La successiva fase delle indagini di prevenzione è orientata al reperimento di elementi di fatto, che per espressa indicazione del citato art. 81 attengono alla persona ed al suo patrimonio, dai quali potersi desumere l’effettiva sussistenza della pericolosità ed il suo atteggiarsi concreto, rilevanti ai fini di qualificare il proposto alle luce delle categorie di soggetti pericolosi indicate dalla legge, nonchè la consistenza dei suoi beni, ossia dei requisiti imprescindibili per poter formulare una seria e ragionata proposta di sottoposizione del soggetto alla misura preventiva e poi per poter conseguire l’accoglimento della richiesta.

Nessuna disposizione di legge disciplina tale attività d’indagine, dal che può desumersi che l’ordinamento giuridico conferisce ai titolari dell’azione di prevenzione ampia autonomia operativa e libertà di forme nella raccolta di dati informativi, compresa la possibilità di escutere fonti dichiarative, con gli unici limiti, coessenziali al sistema ed ai principi dello Stato di diritto, del rispetto della persona e delle prescrizioni del codice di procedura penale sulle prove illegali perché acquisite in violazione di espressi divieti imposti dalla legge, secondo la previsione generale di cui all’art. 191 CPP, prove illegali il cui impiego è interdetto per qualsiasi tipo di procedimento, compreso quello finalizzato all’applicazione delle misure di prevenzione.

Pertanto, sebbene possa dirsi opinione ormai prevalente tra gli interpreti che il procedimento di prevenzione ha natura giurisdizionale e rientra nel settore penale, le sue peculiari finalità e la disciplina positiva comportano, da un lato che non può estendersi in via generalizzata alle indagini finalizzate alla formulazione della proposta la stessa regolamentazione che riguarda le indagini preliminari del processo di cognizione, dall’altro che gli atti investigativi compiuti dal PM o dalla PG sono ammissibili e valutabili direttamente dal giudice investito della decisione sulla proposta.

Non si ritiene di poter rinvenire convincente elemento di smentita alla tesi esposta nel testo dell’art. 19, che disciplina le indagini patrimoniali, indicando espressamente come oggetto di attività investigativa siano il tenore di vita, le disponibilità finanziarie, il patrimonio, le fonti di reddito del soggetto attenzionato a fini prevenzionali e prevedendo l’estensione delle investigazioni anche ai congiunti e conviventi del proposto, senza peraltro disporre in modo esclusivo e vincolante che le informazioni possano essere ricavate soltanto da atti e documenti già preesistenti, da acquisire presso uffici giudiziari o altre istituzioni pubbliche, creditizie o imprenditoriali secondo l’elencazione di cui al quarto comma.

In altri termini, la previsione della facoltà di richiedere ai predetti organismi documenti ed il rilascio di relativa copia e persino di procedere al loro sequestro su autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice nel rispetto delle formalità prescritte dal codice di procedura penale, non equivale alla proibizione per gli inquirenti di condurre personalmente o per delega conferita alla polizia giudiziaria attività di assunzione di informazioni da soggetti a conoscenza di fatti rilevanti perché indicativi della pericolosità del proposto, della sua dedizione al crimine e del conseguimento da esso di utilità economiche da sottoporre eventualmente a sequestro e poi a confisca.

Si tratta all’evidenza di attività inquisitoria e segreta, che esclude la partecipazione dell’interessato, – tranne che non vengano compiuti atti che interferiscano con i diritti fondamentali della persona, richiedenti l’assistenza difensiva –, nel cui interesse il dispiegamento del contraddittorio è comunque consentito nel contesto dell’udienza camerale dopo l’avvenuto esercizio dell’azione di prevenzione mediante l’esame degli atti così ottenuti e formati, la possibilità di piena conoscenza del loro contenuto e della valenza dimostrativa ai fini del procedimento e di controdeduzione con indicazione di elementi documentali o dichiarativi a loro confutazione e sollecitazione rivolta al giudice a svolgere ulteriori accertamenti, che potrebbero essere compiuti anche d’ufficio qualora necessari, a norma dell’ultimo comma dell’art. 19 e dell’art. 666 CPP richiamato dall’art. 7, comma 9.

Del resto, è assicurata parità di poteri processuali tra accusa e proposto col riconoscimento, pacifico nella prassi giudiziaria e nell’interpretazione nomofilattica di legittimità, della facoltà per il difensore di condurre indagini difensive ex art. 327–bis CPP, estesa anche alla fase dell’esecuzione penale, sui fatti oggetto della proposta e di chiedere l’acquisizione dei relativi verbali, ovvero l’esame da parte del giudice procedente delle persone già ascoltate.

In tal senso va ricordato che l’art. 7, comma 9 richiama espressamente l’art. 147–bis Disp. att. c.p.p., comma 2, in merito alla facoltà del presidente del collegio di disporre l’esame a distanza dei testimoni, il che rafforza la tesi che rifiuta la circoscrizione dell’istruttoria nel procedimento di prevenzione all’acquisizione di prove precostituite e considera consentito qualsiasi mezzo istruttorio indicato dalle parti, anche se avente natura dichiarativa o di accertamento peritale.

Che l’unico principio da rispettarsi in modo ineludibile nell’istruttoria del procedimento di prevenzione sia costituito dal necessario rispetto del contraddittorio, secondo le previsioni dell’art. 666, comma 5, CPP e dell’art. 111 Cost., è stato di recente confermato anche dall’arresto più recente della giurisprudenza a Sezioni unite, secondo il quale “in tema di confisca di prevenzione, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 2 ter, comma terzo, primo periodo, della legge n. 575 del 1965, dalla legge 24 luglio 2008 n. 125, spetta alla parte pubblica l’onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto, nonchè della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre è riconosciuta al proposto la facoltà di offrire prova contraria” (SU, 4880/2014).

E non è di poco conto che tale affermazione di principio sia corroborata dalla constatazione circa il legittimo ricorso anche a presunzioni per individuare l’origine illecita dei beni, secondo quanto riconosciuto dalla Corte EDU (Sez. 2, 17/06/2014, Cacucci e Sabatelli contro Italia) ed espressamente previsto nella Direttiva del Parlamento Europeo n. 2014/42/UE, approvata il 25/2/2014; rileva piuttosto che la presunzione sia qualificata come relativa per la possibilità di offrire prova contraria, accordata al soggetto destinatario della confisca mediante “la mera allegazione di fatti, situazioni od eventi che, ragionevolmente e plausibilmente, siano atti ad indicare la lecita provenienza dei beni oggetto di richiesta di misura patrimoniale e siano, ovviamente, riscontrabili” (Sez. 1, 27147/2016).

 

Indagini nei confronti di familiari e conviventi

L’art. 19, comma 3, prevede il potere di svolgere speciali indagini nei confronti del coniuge, dei figli e degli altri soggetti che abbiano convissuto nell’ultimo quinquennio con il proposto stesso.

Essa norma trova il suo precedente storico nel terzo comma dell’art. 2–bis L. 575/1965 del cui testo la disposizione sopravvenuta è meramente ricognitiva. In giurisprudenza si è osservato che il legislatore postulava, infatti, che l’indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso facesse in modo che i beni illecitamente ottenuti apparissero formalmente nella disponibilità giuridica delle persone di maggior fiducia, ossia i conviventi, sui quali gravava, pertanto, l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca.

In realtà si era affermato che il requisito della disponibilità diretta o indiretta della res oggetto di intervento in rem dovesse ritenersi presunto senza necessità di altri specifici accertamenti per i beni formalmente intestati al coniuge, ai figli e agli altri conviventi nell’ultimo quinquennio, perché soggetti considerati, nel linguaggio normativo, in termini diversi dagli altri terzi per i quali, al contrario, dovevano risultare elementi di prova circa la disponibilità concreta da parte dell’indiziato.

Con maggiore precisione si è, altresì, ritenuto che in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista dall’art. 2–bis, comma 3, L. 575/1965, l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, operasse diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo, rispetto a tutte le altre persone fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità era legittimamente presunta, senza la necessità di specifici accertamenti, quando risultasse l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, si sarebbero dovuti acquisire specifici elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione.

Contrariamente, nella interpretazione della disposizione non sono mancate decisioni che hanno spiegato come, in caso di beni intestati al terzo, che si assumevano nella disponibilità di persona sottoposta a misura di prevenzione personale (in quanto indiziata di appartenere ad associazione di tipo mafioso) e, come tali, soggetti a confisca ove non se ne fosse dimostrata dall’interessato la legittima provenienza, l’indagine al fine di disporre la misura di prevenzione reale dovesse essere rigorosa.

Ciò specie nelle ipotesi in cui il terzo intestatario fosse un estraneo che non aveva vincoli “lato sensu” di parentela o di convivenza con il proposto nell’ultimo quinquennio. Invero, non è senza significato la distinzione che fa il terzo comma dell’art. 2–bis L. 575/1965 fra persone che hanno vincoli con il proposto, sicché è più accentuato il pericolo della fittizia intestazione innfraquinquennale e più probabile l’effettiva disponibilità da parte del medesimo, e persone diverse dal coniuge, dai figli e dai conviventi.

In tali situazioni la confisca investe (o può investire) beni che in tutto o in parte sono (o possono essere) nella titolarità di soggetto che non è indiziato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso, sicché manca nei suoi confronti la misura di prevenzione personale e non lo si può, quindi, gravare di quella patrimoniale, imputandogliela con metodologia tipica della prova che afferisce al giudizio di pericolosità e, cioè, sulla base di presunzioni connesse a tale giudizio.

Ebbene alla luce di principi siffatti che possono essere richiamati in termini sostanzialmente analoghi anche dopo l’entrata in vigore del Decreto 159/2011 e dell’art. 19, comma 3, si deve annotare che la disposizione da ultimo richiamata non individua, affatto, una presunzione in senso stretto analoga a quella di appartenenza al proposto dei beni intestati a coniuge, figli o conviventi nel quinquennio.

Lo statuto speciale che figura nella norma in esame (art 19, comma 3) è relativo al solo regime particolare delle indagini di cui i terzi anzidetti sono destinatari, in ragione del legame di parentela, coniugio o convivenza che li collega al proposto.

Piuttosto la mancata giustificazione dei redditi o di capacità patrimoniali, può essere valutata e impiegata come indicatore che dia conto, in fatto, unita ad altri elementi dimostrativi, dell’incapacità patrimoniale e dell’impossibilità di produrre reddito da accumulare per determinate forme di investimento, là dove il valore dei beni stessi risulti, comunque, ad esso sproporzionato o non conforme al reddito disponibile di genesi lecita, ma non è sufficiente da sola a legittimare anche l’affermazione che essi effettivamente appartengano a persona diversa, specie se tra questo e i terzi non v’è alcuna comunanza di vita.

Ciò vale vieppiù all’indomani dell’introduzione della fattispecie dei trasferimenti fittizi e del regime specifico di presunzioni trasfuso nell’art. 26.

Diversamente da quanto indicato dall’art. 19, comma 3, pertanto, è il solo art. 26 che istituisce forme di presunzioni relative per i casi espressamente tipizzati, che non risultano suscettibili di applicazione analogica. In realtà si è precisato che il rapporto esistente fra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica.

Deve trattarsi, tuttavia, di una condizione di incapienza patrimoniale del terzo legato da vincolo di parentela o convivenza che rilevi oggettivamente in funzione del giudizio di sproporzione e che sia tale da dimostrare ex se attraverso l’inferenza logica una disponibilità del bene in capo al proposto.

Là dove faccia difetto una situazione obiettiva con connotazioni siffatte non può procedersi al richiamo di meccanismi presuntivi, per dedurre il requisito obiettivo di disponibilità della res in capo all’indiziato e per ritenere, pertanto, fittizia l’intestazione dei beni che risultino nella formale titolarità del parente o del convivente, al più esposto per voluntas legis alle speciali indagini (Sez. 1, 26872/2019).

In materia di sequestro e confisca di prevenzione aventi ad oggetto beni formalmente intestati al coniuge, ai figli e ai conviventi, occorre avere riguardo alla consolidata lettura che la giurisprudenza di legittimità ha fornito del previgente art. 2–bis L. 575/1965, e oggi dell’art. 19, comma 3, dal contenuto sovrapponibile, in materia di indagini patrimoniali. La formulazione di tali disposizioni conduce difatti a ritenere operante una presunzione relativa di disponibilità in capo al preposto dei beni stessi – in assenza di elementi di segno contrario – senza necessità di specifici accertamenti, per contro necessari nell’ipotesi di ritenuta intestazione fittizia a soggetti diversi da quelli contemplati dalla norma appena citata (ex multis, Sez. 5, 8922/2016).

Peraltro, l’attribuzione della titolarità dei cespiti ai familiari suindicati, in particolare quando questi siano sprovvisti di capacità economica, costituisce circostanza di fatto indicativa della fittizietà dell’intestazione, anche oltre i casi e i limiti stabiliti dall’art. 26 (Sez. 5, 45461/2019).

Il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce circostanza di fatto significativa della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica (Sez. 6, 43446/2017).

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, la “disponibilità” dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario; e nei confronti del coniuge, dei figli e dei conviventi siffatta disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti, dal momento che l’art. 2–bis L. 575/1965 considera separatamente dette persone rispetto a tutte le altre, fisiche o giuridiche, della cui interposizione fittizia, invece, devono risultare gli elementi di prova (Sez. 2, 18569/2019).

La giurisprudenza di legittimità ritiene che la nozione di disponibilità indiretta non debba essere limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri, sicché viene in rilievo una gamma di ipotesi diversificate, comprensive anche di «situazioni di intestazione fittizia ad un terzo soggetto, in virtù ad esempio di un contratto simulato o fiduciario» e di «situazioni di mero fatto basate su una posizione di mera soggezione cui soggiace il terzo titolare del bene nei confronti del sottoposto alla misura di sicurezza personale».

Come precisato dalle Sezioni unite (SU, 12621/2017), l’art. 26 introduce una presunzione che «non fa venire meno quella prevista dall’art. 19, comma 3», relativa, quest’ultima, «a determinate figure soggettive (coniuge, figli e coloro che, nell’ultimo quinquennio, hanno convissuto con il proposto) per le quali continua ad essere previsto l’obbligo delle indagini patrimoniali»; invero, «il rapporto esistente fra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica»..

Viene dunque in rilievo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista – già dall’art. 2–bis, comma terzo, L. 575/1965, ora – dall’art. 19, comma 3, l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo, rispetto a tutte le altre persone fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione (Sez. 5, 51756/2018).

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, la possibilità di compiere indagini patrimoniali nei confronti del coniuge e dei figli del proposto non incontra il limite quinquennale di cui all’art. 19, comma 3, che riguarda soltanto i terzi conviventi che non siano legati da rapporto di coniugio o di filiazione (Sez. 1, 18365/2017).

 

Linee guida, circolari e prassi

G. Muntoni (presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma), “Giurisprudenza e prassi operative del tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione”, relazione tenuta per il corso su “Misure di prevenzione patrimoniale: potenzialità e problematiche del contrasto ai patrimoni illeciti” organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, 6 giugno 2019, reperibile al seguente link: https://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2019/2019_06%20–%20Giugno/13%20–%20Misure%20di%20prevenzione/Relazione%20–%20Dott_%20Guglielmo%20Muntoni.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: problematiche organizzative e operative”, nota n. 6815 del 10 novembre 2017, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_16709.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario”, nota n. 5810 dell’8 novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_21020.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, “Quinta lettera di prevenzione”, novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.osservatoriomisurediprevenzione.it/prassi–e–documenti/