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Art. 20 - Sequestro (1)

1. Il tribunale, anche d’ufficio, con decreto motivato, ordina il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, ovvero dispone le misure di cui agli articoli 34 e 34–bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti. Il tribunale, quando dispone il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie, ordina il sequestro dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile, anche al fine di consentire gli adempimenti previsti dall’articolo 104 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. In ogni caso il sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali totalitarie si estende di diritto a tutti i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile. Nel decreto di sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali il tribunale indica in modo specifico i conti correnti e i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile ai quali si estende il sequestro.

2. Prima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34–bis e di fissare l’udienza, il tribunale restituisce gli atti all’organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34–bis.

3. Il sequestro è revocato dal tribunale quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l’indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente o in ogni altro caso in cui è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale. Il tribunale ordina le trascrizioni e le annotazioni consequenziali nei pubblici registri, nei libri sociali e nel registro delle imprese.

4. L’eventuale revoca del provvedimento non preclude l’utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi dell’articolo 19.

5. Il decreto di sequestro e il provvedimento di revoca, anche parziale, del sequestro sono comunicati, anche in via telematica, all’Agenzia di cui all’articolo 110 subito dopo la loro esecuzione.

(1) Articolo così sostituito dall’ art. 5, comma 4, L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

Concetto di disponibilità dei beni

Precise indicazioni, in tema di presunzioni, sono offerte dall’art. 26, comma 2, il quale riproduce testualmente quanto previsto dall’art. 10, comma 3, DL 92/2009, convertito con modificazioni, con L. 125/2009, nella parte in cui aveva introdotto il quattordicesimo comma all’art. 2–ter L. 575/1965, e successive modificazioni.

Secondo le due disposizioni, di identica formulazione letterale, «fino a prova contraria si presumono fittizi: a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, dei coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione».

La disposizione e, più in generale, il tema dell’accertamento della natura fittizia o reale dei trasferimenti e delle intestazioni di beni ai fini dell’applicazione della confisca di prevenzione, hanno costituito oggetto di approfondito esame da parte delle Sezioni unite (SU, 12621/2017).

Questa decisione, innanzitutto, in riferimento alle nozioni di «trasferimenti» e «intestazioni», ha precisato: «La particolare ampiezza della formulazione — che utilizza la dizione congiunta “trasferimenti” e “intestazioni” – sta ad indicare lo sforzo del legislatore di ricomprendervi, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, qualunque atto idoneo a determinare la disponibilità formale del bene in capo ad altri, valorizzando, sul piano interpretativo, la ratio antielusiva della norma».

Con riguardo all’accertamento della fittizietà dell’intestazione o del trasferimento, le Sezioni unite hanno affermato che «l’art. 26, comma 2, lett. a), introduce nel sistema un’ulteriore presunzione, dotata di propria autonomia, che se, da un lato, non fa venire meno quella prevista dall’art. 19, comma 3, – relativa a determinate figure soggettive (coniuge, figli e coloro che, nell’ultimo quinquennio, hanno convissuto con il proposto) per le quali continua ad essere previsto l’obbligo delle indagini patrimoniali –, dall’altro lato, si estende su una più ampia platea di soggetti (l’ascendente, i parenti entro il sesto grado e gli affini entro il quarto), per i quali sono presunte iuris tantum le operazioni intervenute a qualunque titolo, gratuito ovvero oneroso, entro un arco temporale definito nei due anni antecedenti la presentazione della proposta».

Hanno peraltro evidenziato, richiamando precedenti decisioni delle sezioni semplici, che «il rapporto esistente fra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi, costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica».

Con riferimento a tale profilo, hanno anche rilevato che, così come osservato dalla giurisprudenza, fuori del caso previsto dall’art. 26, comma 2, «i rapporti di parentela affinità e convivenza ivi esplicitati», pur non giustificando l’inversione probatoria imposta ex lege dal meccanismo delle presunzioni, «finiranno per costituire uno dei possibili momenti logici utili per pervenire alla possibile affermazione della interposizione senza che operi la presunzione di legge». In questa prospettiva, situazioni concretamente rilevanti ai fini del carattere puramente formale dell’intestazione possono essere costituite sia dalle «relazioni in ambito familiare», sia «dalla eventuale intromissione del proposto nella gestione del bene», sia, ancora, «dalla incapacità del terzo, sotto il profilo economico, di acquisirne la titolarità, specie nell’ipotesi in cui il terzo intestatario non alleghi circostanze idonee a prospettare una diversa configurazione del rapporto, o una diversa provenienza delle risorse necessarie all’acquisto del bene».

La decisione delle Sezioni unite precisa poi che detti elementi, «specie se esaminati unitariamente, contribuiscono a formare la prova necessaria per la individuazione del reale dominus dell’operazione e la conseguente adozione del provvedimento ablativo».

Nella medesima pronuncia si è precisato che le presunzioni di fittizietà non possono estendersi agli atti traslativi compiuti da chi, come erede o terzo avente causa, abbia derivato i propri diritti dal soggetto che è o è stato pericoloso: si osserva, in particolare, che le disposizioni da cui desumere le presunzioni, sono circoscritte, anche nella loro «formulazione letterale, alla relazione che stringe i soggetti ivi indicati al proposto», e, quindi, rivestono «una portata eccezionale come tale non suscettibile di applicazioni analogiche o estensive».

Per concludere si ribadisce che la presunzione di fittizietà dell’intestazione o del trasferimento opera esclusivamente per gli atti compiuti nel biennio antecedente la presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione; per gli atti compiuti in epoca anteriore, invece, il rapporto di parentela o di affinità costituisce un elemento di valutazione significativo, ma da solo non sufficiente per affermare la natura apparente dell’interposizione.

D’altro canto, se non si accedesse a questa conclusione, si priverebbe di utile significato la disciplina dettata dal sistema normativo: il legislatore, infatti, pone espressamente la presunzione di fittizietà – fino a prova contraria – nelle sole ipotesi previste dall’art. 26, comma 2, lett. a) e b), mentre all’art. 17, comma 3, si limita a disporre l’obbligo di svolgimento di indagini nei confronti del coniuge, dei figli, e di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto (oltre che delle società e degli enti di cui il medesimo risulta poter disporre, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente).

Si ribadisce, inoltre, che ulteriori elementi di valutazione apprezzabili ai fini dell’individuazione della natura fittizia dell’intestazione o del trasferimento, che si affiancano a quello integrato dalle relazioni familiari, sono costituiti, così come puntualmente segnalato dalle Sezioni unite, «dalla eventuale intromissione del proposto nella gestione del bene», e dalla incapacità patrimoniale e finanziaria del terzo ad acquisire la titolarità della cosa.

Si aggiunge, infine, che un altro dato valutabile è quello consistente nella dismissione del bene da parte del potenziale proposto in pendenza di un’indagine nei suoi confronti, e a lui nota, per il delitto di cui all’art. 416–bis CP, posto che a questa ordinariamente consegue l’adozione di misure patrimoniali in sede penale e di prevenzione.

D’altra parte, per quanto concerne la possibilità di disporre la confisca dei beni nei confronti dei più stretti famigliari del proposto, deve ricordarsi che la giurisprudenza è da sempre orientata nel ritenere giustificata, in forza del rapporto di coniugio e di filiazione, la presunzione d’intestazione fittizia (da ultimo Sez. 1, 5184/2016, secondo la quale “In materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista dall’art. 2–bis, comma 3, L. 575/1965, l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo, rispetto a tutte le altre persone fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione” (Sez. 1, 12629/2019).

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, la “disponibilità” dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario; e nei confronti del coniuge, dei figli e dei conviventi siffatta disponibilità è presunta, senza necessità di specifici accertamenti, dal momento che l’art. 2–bis L. 575/1965 considera separatamente dette persone rispetto a tutte le altre, fisiche o giuridiche, della cui interposizione fittizia, invece, devono risultare gli elementi di prova (Sez. 2, 18569/2019).

La giurisprudenza di legittimità ritiene che la nozione di disponibilità indiretta non debba essere limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri, sicché viene in rilievo una gamma di ipotesi diversificate, comprensive anche di «situazioni di intestazione fittizia ad un terzo soggetto, in virtù ad esempio di un contratto simulato o fiduciario» e di «situazioni di mero fatto basate su una posizione di mera soggezione cui soggiace il terzo titolare del bene nei confronti del sottoposto alla misura di sicurezza personale».

Come precisato dalle Sezioni unite (SU, 12621/2017), l’art. 26 introduce una presunzione che «non fa venire meno quella prevista dall’art. 19, comma 3», relativa, quest’ultima, «a determinate figure soggettive (coniuge, figli e coloro che, nell’ultimo quinquennio, hanno convissuto con il proposto) per le quali continua ad essere previsto l’obbligo delle indagini patrimoniali»; invero, «il rapporto esistente fra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica»..

Viene dunque in rilievo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini della confisca prevista – già dall’art. 2–bis, comma terzo, L. 575/1965, ora – dall’art. 19, comma 3, l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il coniuge, i figli ed i conviventi di quest’ultimo, rispetto a tutte le altre persone fisiche o giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di risorse economiche proprie del terzo intestatario, mentre, con riferimento alle seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione (Sez. 5, 51756/2018).

In tema di confisca di prevenzione di beni riferibili a sospettato di appartenenza ad associazione di stampo mafioso, il concetto di disponibilità indiretta, di cui all’art. 2–ter L. 575/1965, non può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma va esteso, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri (Sez. 1, 18423/2013).

La simulazione (ex art. 26) e la “disponibilità” sono due differenti istituti giuridici.

Infatti il legislatore ha ben distinto: a) la situazione nella quale la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento risulti essere titolare, anche per interposta persona fisica o giuridica, del bene confiscabile di cui non possa giustificare la legittima provenienza: tale ipotesi, presuppone che il proposto sia il titolare del bene “per interposta persona fisica o giuridica”: quindi, la norma prende in considerazione l’ipotesi che il proposto abbia alienato il bene confiscabile intestandolo, in modo simulato, ad un terzo; b) la situazione nella quale la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo del bene confiscabile di cui non possa giustificare la legittima provenienza: questa ipotesi si differenzia, come si può notare, da quella precedente (ossia dalla simulazione), perché prevede una fattispecie del tutto peculiare (la mera disponibilità del bene) che funge come una sorta di norma di chiusura dell’intero sistema volto a sottrarre i beni a soggetti pericolosi socialmente.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito il concetto di “disponibilità” nei seguenti testuali termini: «in tema di misure di prevenzione patrimoniale, la “disponibilità” dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario».

E’ chiara, quindi, la ratio sottesa alla suddetta norma: il legislatore ha inteso prendere in considerazione proprio le ipotesi più frequenti e, quindi, più pericolose, che si verificano quando il proposto, pur non apparendo mai nei vari passaggi di proprietà dei beni confiscabili, di fatto, li gestisca come un vero e proprio dominus: si tratta, lo si ripete, di una vera e propria norma di chiusura con la quale il legislatore ha inteso evitare un vuoto legislativo attraverso il quale il proposto avrebbe potuto eludere facilmente le rigide disposizioni dettate per la confisca.

Nel solco di quanto appena detto si è anche chiarito che «in tema di confisca di beni intestati a terzi, l’immissione di capitali privi di legittima provenienza da parte del soggetto socialmente pericoloso in direzione di un cespite formalmente di proprietà di un terzo determina la disponibilità sostanziale dello stesso in capo al proposto, utile a giustificare l’ablazione in prevenzione, laddove gli investimenti si rivelino assorbenti in tutto o in gran parte rispetto al valore del bene» (Sez. 2, 31549/2019).

Una volta raggiunta la prova della disponibilità del bene in capo al soggetto indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, divengono irrilevanti i profili della sproporzione reddituale, che in ogni caso dovrebbero concernere la persona del proposto e non più il fittizio intestatario: si tratta cioè di applicare il principio secondo il quale “il valore sproporzionato dei beni – che è solo un indice sintomatico di illecita accumulazione della ricchezza – non rileva, in quanto è stata ritenuta provata la diversa ipotesi dell’immissione di capitali illeciti; l’art. 2–ter, comma 3, L. 575/1965 (nonché l’attuale art. 24) prevede, infatti, “la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” (Sez. 5, 32996/2017).

L’art. 20 ed il successivo art. 24 adottano, con riferimento ai beni suscettibili rispettivamente di sequestro e di confisca, una nozione di disponibilità assolutamente ampia ed aperta a qualsiasi figura giuridica, laddove si riferiscono a beni di cui il proposto “risulti titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo...” (così l’art. 24, ed analogamente l’art. 20 si riferisce a beni di cui il predetto “risulta poter disporre, direttamente o indirettamente ...”), ed è innegabile che il conduttore di un bene concesso in leasing sia nella disponibilità di tale bene.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha già avuto modo di rilevare che in tema di confisca di prevenzione di beni riferibili a sospettato di appartenenza ad associazione di stampo mafioso, il concetto di disponibilità indiretta non può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma va esteso, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri (Sez. 1, 18423/2013) e si è anche rilevato che l’immissione di capitali privi di legittima provenienza da parte del soggetto socialmente pericoloso in direzione di un cespite formalmente ed anche sostanzialmente di proprietà di un terzo determina la disponibilità sostanziale dello stesso in capo al proposto, utile a giustificare l’ablazione in prevenzione, laddove gli investimenti si rivelino assorbenti in tutto o in gran parte rispetto al valore del bene (Sez. 6, 47983/2012).

Del resto, per quanto la formale titolarità del bene concesso in leasing resti al concedente sino all’eventuale esercizio del diritto di opzione all’acquisto, tanto che la giurisprudenza civile ha riconosciuto l’applicabilità al leasing traslativo della disciplina di carattere inderogabile di cui all’art. 1526 CC)– in tema di vendita con riserva della proprietà (Sez. 3, 19732/2011), è innegabile che l’utilizzatore non abbia un mero diritto di godimento del bene ma ne dispone, anche perché questo di fatto viene a rientrare nel suo patrimonio, tanto che lo stesso non solo è legittimato a disporre della propria posizione contrattuale con lo strumento della cessione del contratto, ma può rendere unilateralmente definitiva l’acquisizione del bene con l’esercizio del diritto di opzione all’acquisto, al contrario del locatore finanziario la cui posizione è di fatto subordinata alla volontà dell’utilizzatore in ordine all’esercizio o meno dell’opzione (Sez. 2, 33538/2017).

Non può essere disposta la confisca di un bene utilizzato dal proposto in virtù di un contratto di leasing traslativo, se alla società di leasing, terza proprietaria fino al pagamento dell’ultimo canone locatizio, sia riconoscibile il requisito della buona fede al momento della conclusione del contratto (Sez. 1, 33521/2010).

 

Sproporzione tra patrimonio e reddito dichiarato e attività economica svolta

Ai fini dell’applicabilità della misura della confisca di beni patrimoniali nella disponibilità di persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, è sufficiente che sussistano una sproporzione tra le disponibilità e i redditi denunciati dal proposto, ovvero indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni dei quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di attività illecite, e che il proposto non sia riuscito a dimostrare la legittima provenienza del danaro utilizzato per l’acquisto di tali beni (Sez. 2, 23201/2019).

In materia di misure di prevenzione patrimoniali, l’onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non può essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece il soggetto sottoposto al procedimento di prevenzione indicare gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attività illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla sua capacità reddituale (. Sez. 6, 31751/2015).

 

Beni che sono il frutto o il reimpiego di attività illecite

L’irrilevanza di eventuali ricavi da evasione fiscale (Sez. 6, 4908/2016; SU, 33451/2014) non è limitata ai redditi del proposto, ma riguarda tutti i redditi che concorrono all’accertamento della sproporzione e, dunque, anche quelli del famigliare o del terzo che risulti intestatario fittizio del bene in favore del proposto perché, altrimenti, sarebbero illogicamente poste nel nulla sia la presunzione di interposizione che colpisce i familiari e il coniuge — basata sulla massima di comune esperienza della comunanza di interessi patrimoniali e di redditi nell’ambito dell’unità familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa — , sia la presunzione di interposizione del terzo accertata ex art. 26 (Sez. 1, 12629/2019).  

 

Casistica

Sussiste in capo al presidente della Corte d’appello il potere, ai sensi dell’articolo 22, di adottare provvedimenti cautelari anticipatori e, in specie, il sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione, poiché il correlativo potere cautelare spetta al giudice di secondo grado e il presidente di detto organo è dotato degli speciali poteri anticipatori che la legge già riconosce al presidente del tribunale.

È bene chiarire subito che il giudice di appello è dotato di tutti i poteri cautelari riconosciuti al giudice di primo grado in tema di misure di prevenzione. La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che «ragioni di complessiva tenuta logica del sistema e di coerenza sistematica impongono di ritenere che, se il giudice della prevenzione, investito dal PM, dell’impugnazione del provvedimento di diniego può disporre, per la prima volta, in appello la confisca, in precedenza non applicata, ha altresì il potere di disporre, in tale fase, ove ne ricorrano i presupposti, il sequestro, quale misura urgente volta ad evitare la dispersione dei beni e ad assicurare il conseguimento delle finalità cui è preordinata la confisca» (così, in motivazione, Sez. 1, 43796/2015).

In tale pronuncia si è, infatti, precisato che «in tema di misure di prevenzione, avverso i provvedimenti di sequestro ovvero di confisca adottati per la prima volta dal giudice di appello è ammessa solo l’opposizione innanzi allo stesso giudice, nelle forme dell’incidente di esecuzione».

Del resto, la sostanziale equiparazione dei poteri del giudice di primo e secondo grado, quale si ricava dal complessivo impianto del procedimento di prevenzione e dalla natura totalmente devolutiva della impugnazione, impone di riconoscere la piena applicabilità delle disposizioni dettate dall’articolo 22, per quello che riguarda i provvedimenti di urgenza assunti dal presidente del tribunale in via anticipatoria (comma 1), ovvero in caso di particolare urgenza (comma 2); in entrambi i casi il provvedimento presidenziale ha natura interinale ed è sottoposto alla convalida da parte del collegio, convalida che deve intervenire entro trenta giorni, non risultando, peraltro, il provvedimento presidenziale autonomamente impugnabile proprio perché avente natura interinale e provvisoria.

Perciò l’esistenza di un generale potere cautelare in grado di appello implica che il presidente del collegio di appello possa, analogamente al presidente del collegio di primo grado, disporre il provvedimento in via anticipatoria.

L’art. 22 introduce, in effetti, un rimedio cautelare anticipatorio che non vi è motivo di limitare al primo grado, anche alla luce della natura totalmente devolutiva del giudizio di appello ai sensi dell’art. 10.

Del resto, trattandosi di disposizioni processuali attinenti esclusivamente all’andamento del procedimento e che prevedono comunque l’impugnazione del provvedimento eventualmente lesivo, non è ravvisabile alcun divieto di applicazione analogica.

D’altra parte, lo schema procedimentale tipico previsto dall’articolo 22, il quale attribuisce al presidente del tribunale il potere di disporre in via anticipatoria e d’urgenza il sequestro, prevede necessariamente, entro un termine stabilito a pena di efficacia, la convalida da parte dell’organo collegiale, sicché, anche nel caso in cui il provvedimento sia adottato dal presidente del collegio d’appello, è assicurato il controllo giurisdizionale pieno da parte dell’organo collegiale, pena la perdita di efficacia del provvedimento anticipatorio cui non segua la convalida.

Va, inoltre, sgombrato il campo dalla questione relativa alla carenza di potere, sub specie di carenza di legittimazione, del PG a richiedere il provvedimento cautelare anticipatorio in grado di appello nel corso del giudizio di rinvio derivante dall’accoglimento del ricorso al medesimo proposto avverso il decreto che, all’esito del procedimento di prevenzione, aveva revocato il sequestro disposto dal tribunale.

È, infatti, manifestamente infondata la questione concernente la mancanza di titolarità in capo al PG della proposta di prevenzione poiché, nel caso di specie, la proposta era stata correttamente e tempestivamente avanzata dall’autorità competente, ulteriormente coltivata in appello e in sede di legittimità dal PM competente per dette fasi, sicché non può dubitarsi della legittimazione a richiedere il provvedimento cautelare da parte del PG rappresentante l’accusa nella fase di merito e nel giudizio di rinvio (Sez. 6, 13828/2019).

 

Linee guida, circolari e prassi

G. Muntoni (presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma), “Giurisprudenza e prassi operative del tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione”, relazione tenuta per il corso su “Misure di prevenzione patrimoniale: potenzialità e problematiche del contrasto ai patrimoni illeciti” organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, 6 giugno 2019, reperibile al seguente link: https://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2019/2019_06%20–%20Giugno/13%20–%20Misure%20di%20prevenzione/Relazione%20–%20Dott_%20Guglielmo%20Muntoni.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: problematiche organizzative e operative”, nota n. 6815 del 10 novembre 2017, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_16709.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario”, nota n. 5810 dell’8 novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_21020.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, “Quinta lettera di prevenzione”, novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.osservatoriomisurediprevenzione.it/prassi–e–documenti/