x

x

Art. 23 - Procedimento applicativo

1. Salvo che sia diversamente disposto, al procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I.

2. I terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, nei trenta giorni successivi all’esecuzione del sequestro, sono chiamati dal tribunale ad intervenire nel procedimento con decreto motivato che contiene la fissazione dell’udienza in camera di consiglio.

3. All’udienza gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca. Se non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 24 il tribunale ordina la restituzione dei beni ai proprietari.

4. Il comma 2 si applica anche nei confronti dei terzi che vantano diritti reali o personali di godimento nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro. Se non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 26, per la liquidazione dei relativi diritti si applicano le disposizioni di cui al titolo IV del presente libro. (1)

(1) Comma così sostituito dall’ art. 5, comma 7, L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

Temi procedurali

In tema di misure di prevenzione patrimoniali l’art. 23, comma 1, che ne regola il procedimento applicativo rinvia, in quanto compatibili, alle disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I e, dunque, all’art. 7 che al comma 9 stabilisce “Per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nell’art. 666 del codice di procedura penale”.

II decreto di inammissibilità della richiesta, previsto dall’art. 666, comma 2, CPP per l’ipotesi di manifesta infondatezza della domanda per difetto delle condizioni di legge ovvero di riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi (e tale è l’ipotesi evocata nel provvedimento impugnato) deve essere preceduto dall’acquisizione del parere del PM (“ Se la richiesta ..., il giudice o il presidente del collegio, sentito il PM, la dichiara inammissibile”).

La mancata acquisizione del parere configura una nullità a regime intermedio riconducibile alla previsione di cui all’art. 178, lett. b), CPP per violazione del contraddittorio cartolare, alla cui realizzazione è finalizzata l’audizione di detto organo (Sez. 1, 55051/2017).

La necessità della procura speciale è correlata, nella giurisprudenza di legittimità, alla posizione del terzo interessato alla restituzione della cosa sequestrata o assoggettata a misure di prevenzione patrimoniale (SU, 47239/2014); infatti, le disposizioni espressamente poste dal legislatore del giudizio di prevenzione non possono leggersi in una prospettiva di deroga al principio generale, secondo cui per i soggetti portatori di un interesse meramente civilistico vale la regola posta dall’art. 100 CPP in riferimento alla parte civile, al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, in forza della quale esse stanno in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale, al pari di quanto previsto dall’art. 83 CPC (Sez. 1, 39204/2013).

Senza alcun dubbio detto principio non può essere limitato al solo giudizio di legittimità, in quanto esso appare manifestazione di una impostazione pacificamente estesa anche ai precedenti gradi di giudizio in tutti i casi in cui sia coinvolto un soggetto, quale il terzo interessato, portatore di interessi civilistici (Sez. 5, 4169/2017).

 

Prerogative procedimentali dei terzi interessati

L’art. 23, comma 1, sottopone il procedimento applicativo al rispetto, in quanto compatibili, delle «disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I» ed al comma 3 stabilisce «All’udienza gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca».

Deve dunque concludersi che, allo stato delle disposizioni vigenti, la regolamentazione del rapporto processuale di prevenzione, pur con i necessari adattamenti, condizionati dall’assunzione di una decisione giudiziale non preceduta da un accertamento irrevocabile di responsabilità penale, viene mutuata da quella del processo di esecuzione: rileva in particolare che l’art. 666, comma 5, CPP conferisca al giudice la facoltà di «chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno», mentre «se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio».

Come avvertito dalla più attenta dottrina, favorevole a riconoscere alla parte privata la più ampia facoltà di prova e controprova anche nel procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, la norma offre indicazioni del favore privilegiato accordato dal legislatore per il processo esecutivo alla prova documentale, ma al contempo ammette che si ponga la necessità di allargare la platea dei mezzi in grado di fornire dati conoscitivi rilevanti per la decisione senza al contempo limitarne l’ammissibilità in dipendenza della loro natura non precostituita.

Pertanto, gli elementi deducibili dall’interpretazione testuale dei parametri normativi essenziali contraddicono l’assunto espresso nel provvedimento in esame.

Anche sul piano sistematico le emergenze sono conformi, poiché indicazioni ancor più persuasive e di concludente evidenza si traggono dall’art. 185 Disp. att. c.p.p., che in funzione integrativa della previsione dell’art. 666 citata, sotto la rubrica «assunzione delle prove nel procedimento di esecuzione», prevede «il giudice, nell’assumere le prove a norma dell’art. 666 comma 5 del codice, provvede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l’esame dei testimoni e l’espletamento della perizia», consentendo di superare qualsiasi obiezione sull’inammissibilità di attività istruttoria perché incompatibile con la struttura dell’udienza camerale; a sua volta l’art. 327–bis, comma 2, CPP, riconosce la legittima praticabilità di indagini difensive «per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito» (comma 1), «in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione e per promuovere il giudizio di revisione»“, tanto implicando la facoltà di sottoporre al vaglio critico del giudice i documenti così formati o di chiedere l’esame delle fonti dichiarative individuate e previamente compulsate.

Venendo ora alla considerazione della natura del processo di prevenzione, finalizzato a contenere la pericolosità individuale mediante imposizione di limitazioni della libertà personale ed a colpire l’accumulo di forme di ricchezza illegalmente acquisita mediante la sottrazione ai loro titolari, tenendo conto dell’interpretazione ormai consolidata della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, non è discutibile che si tratti di procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali del processo penale e qualificato come tale dall’intervento decisionale di autorità giudicante terza rispetto alle parti, dalla contestazione di una forma specifica di pericolosità e dalla formulazione di precisa “proposta” nel rispetto dei principi di legalità e tassatività della stessa e delle misure da applicarsi, dal contraddittorio in tutte le fasi procedimentali, dall’inviolabilità del diritto di difesa, dal doppio grado di giurisdizione di merito e dalla possibilità di esperire mezzi d’impugnazione per ottenere la revisione della decisione denunciata come ingiusta o illegittima.

Pur senza voler negare la diversità di struttura e di finalità rispetto al processo penale che connota il procedimento di prevenzione, in quanto, il primo volto ad accertare un determinato fatto–reato per il quale è stata esercitata l’azione penale dal magistrato requirente, il secondo riguardante la pericolosità del soggetto, rivelata da condotte non necessariamente quanto costituenti ex se reati, a seguito dell’assunzione dell’iniziativa di formulare la domanda da parte di soggetti estranei all’ordine giudiziario, perché appartenenti all’apparato amministrativo dello Stato (Corte costituzionale, 275/1996), ciò nonostante, come avvertito dalle Sezioni unite (SU, 13426/2010) in riferimento alla riconosciuta estensione al processo di prevenzione del divieto di utilizzo probatorio delle intercettazioni illegalmente disposte nel corso delle indagini preliminari, l’autonomia dei due procedimenti quanto a decisioni e forme processuali «sta a denotare la reciproca “insensibilità” delle acquisizioni dell’una sede rispetto a quelle dell’altra e, dunque, l’assenza di connotati di pregiudizialità dei relativi moduli di giudizio dei due procedimenti».

In altri termini, l’oggetto dell’accertamento differisce ed impone una «diversa “grammatica probatoria” che deve sostenere i rispettivi giudizi».

Tanto però non legittima la conclusione della sottoposizione del giudizio di prevenzione ad una disciplina – individuata in via interpretativa e in assenza di precisi indici normativi, anzi con previsioni opposte – che in materia di contraddittorio e del diritto alla prova imponga al proposto o al terzo interessato al procedimento limitazioni alle facoltà deduttive legate soltanto alla natura del mezzo istruttorio, con esiti incoerenti con i principi del giusto processo.

In particolare, sul tema del necessario rispetto del contraddittorio, esigenza di matrice costituzionale perché elevata a principio generale di ogni processo dall’art. 111 Cost., sin dal 1993 la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «Il processo di progressiva “giurisdizionalizzazione” del sistema delle misure di prevenzione, favorito dalla costante evoluzione giurisprudenziale, impone, in linea di principio, l’osservanza delle garanzie del diritto di difesa, in tutte le possibili estrinsecazioni» (Sez. 5, 3311/1994).

Il diritto di difesa con l’ampiezza così riconosciuta non può non estendersi anche al settore delle prove ed alla facoltà di “difendersi provando”, indicata dall’art. 6 CEDU quale garanzia perché il processo sia equo, che esplicita come tale facoltà si possa esercitare mediante il diritto di interrogare e fare interrogare i testi che riferiscono circostanze a carico, di ottenere la citazione e l’esame dei testi a discarico e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova che incrementi la base conoscitiva a disposizione del decidente in riferimento ai fatti oggetto della decisione.

Se così è, non pare accettabile che il diritto alla prova sia comprimibile per effetto di divieti applicativi legati alla natura del mezzo di reperimento dei dati di conoscenza che non siano ragionevolmente imposti da disposizione di legge a tutela di altri valori di eguale rilevanza costituzionale.

Con ciò – si ripete – non s’intende negare che, per le già richiamate sue peculiari finalità e per la sua disciplina positiva, non possa operarsi la perfetta assimilazione del processo di prevenzione a quello penale di cognizione sul piano della regolamentazione delle indagini preliminari e della formazione della prova in dibattimento, ma si vuole soltanto affermare che la deroga ai principi del giusto processo non può ricavarsi per effetto di opzioni interpretative non supportate da chiara previsione normativa e che si pongono in contrasto, sia con l’art. 6 CEDU che, in quanto norma interposta in relazione all’art. 117 Cost., rappresenta anche il paradigma di riferimento nella ricostruzione del significato e nella finalità delle disposizioni degli ordinamenti nazionali, sia con i pronunciamenti della giurisprudenza della Corte EDU e di quella costituzionale in materia.

Al riguardo, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la riferibilità delle disposizioni di cui l’art. 6 CEDU sul giusto processo anche al procedimento di prevenzione italiano e ha osservato che «l’ammissibilità delle prove dipende essenzialmente dalle norme del diritto nazionale e spetta in linea di principio ai giudici interni, in particolare ai tribunali, di interpretare tale legislazione.

Il ruolo del giudice di legittimità è limitato alla verifica della compatibilità con la CEDU degli effetti di tale interpretazione» ed escluso l’iniquità del procedimento di prevenzione, come delineato dalla legislazione nazionale anche mediante il ricorso a presunzioni – istituto ritenuto compatibile con le norme convenzionali (Corte EDU, sez. 2, sentenza del 17/06/2014, Cacucci e Sabatelli c. Italia) ed espressamente previsto nella Direttiva del Parlamento Europeo n. 2014/42/UE, approvata il 25/2/2014 –, per la sufficiente garanzia di effettività del contraddittorio e del diritto di difesa che assicura, a ragione dell’essere il proposto rappresentato da un avvocato di fiducia; del riconoscimento della facoltà di partecipare alla procedura e presentare memorie ed i mezzi di prova necessari per tutelare i suoi interessi in contraddittorio con la parte pubblica dinanzi a tre organi di giudizio successivi; e dell’obbligo per i giudici italiani della prevenzione di basare la loro decisione, non su meri sospetti, ma sull’accertamento e sulla valutazione oggettiva dei fatti rappresentati dalle parti (tra le più recenti: Corte EDU, Sez. 2, sentenza del 26/7/2011, Pozzi e altri contro Italia; Sez. 2, sentenza del 17/5/2011, Capitani e Campanella c. Italia; Sez. 2, sentenza del 26/7/2011, Paleari c. Italia).

Su posizioni analoghe anche le Sezioni unite (SU, 4880/2015), che hanno ribadito l’inviolabilità del contraddittorio nel giudizio di prevenzione, in quanto «in tema di confisca di prevenzione, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 2–ter, comma 3, primo periodo, L. 575/1965, dalla L. 125/2008, spetta alla parte pubblica l’onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto, nonché della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre è riconosciuta al proposto la facoltà di offrire prova contraria».

E proprio in riferimento ad un sistema processuale che ammette come legittimo anche il ricorso alla prova presuntiva dalla valenza relativa per la possibilità di offrire prova contraria, accordata al soggetto destinatario della confisca mediante «la mera allegazione di fatti, situazioni od eventi che, ragionevolmente e plausibilmente, siano atti ad indicare la lecita provenienza dei beni oggetto di richiesta di misura patrimoniale e siano, ovviamente, riscontrabili» (SU, 4880/2015), la legalità dello statuto probatorio non può che postulare l’estensione delle facoltà deduttive della parte privata anche all’indicazione di qualsiasi controprova pertinente ed alla richiesta della sua ammissione, non costituendo sufficiente garanzia di parità tra le parti e di corretta ed efficace esplicazione del contraddittorio, la mera prospettazione di fatti favorevoli quando non si accompagni anche all’individuazione del mezzo per poter far entrare quei fatti nel patrimonio conoscitivo del decidente ed alla possibilità di ottenerne l’assunzione.

Resta da verificare a questo punto entro quali limiti la mancata ammissione da parte del giudice di merito di controprova richiesta dai terzi nel processo prevenzionale possa essere dedotta nel giudizio di legittimità.

È noto l’orientamento meno recente, ma riaffermato in verità in modo meramente ripetitivo, senza un’illustrazione puntuale delle ragioni giustificatrici ed un raffronto con le garanzie del giusto processo e senza considerare la necessità di adottare un’interpretazione adeguatrice delle norme processuali, secondo il quale, nei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio – come è per quelli di prevenzione, di sorveglianza e di esecuzione – non sono applicabili le norme sulla mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606, comma 1, lett. d, CPP) e sul diritto dell’imputato all’ammissione della prova a discarico sui fatti oggetto di prova a carico, poiché, a norma dell’art. 495, comma 2, CPP, il diritto all’ammissione alla prova a discarico è previsto soltanto per il giudizio dibattimentale.

Tale affermazione di principio, pur ricevendo innegabile alimento dalla previsione testuale dell’art. 606 e dal raccordo sistematico tra la tassatività dei vizi rappresentabili nel giudizio di cassazione ed il regime di deducibilità della controprova, stabilito dall’art. 495 per il solo processo di cognizione, non può essere contraddetta in linea generale.

Ciò nonostante, in riferimento alla specifica condizione processuale del terzo partecipe del processo di prevenzione – gravato ai sensi dell’art. 2–ter L. 575/1965 dell’onere di controdedurre in ordine alla proposta applicativa, esito di complesse indagini patrimoniali e non, per non dovere soggiacere agli effetti pregiudizievoli in termini di privazione definitiva della proprietà dei beni del regime presuntivo, superabile soltanto mediante prova contraria, di fittizietà del trasferimento e delle intestazioni di beni, effettuate a titolo gratuito, fiduciario o comunque anche oneroso in suo favore nei termini temporali stabiliti –, è direttamente la legge ordinaria, mediante le disposizioni dei citati artt. 2–ter e 23 – a prevedere ed esigere non soltanto un generico potere di sollecitazione al giudice per approfondimenti istruttori su temi fattuali rilevanti, ma l’assunzione di iniziative volte alla formulazione di richieste probatorie, aventi ad oggetto strumenti conoscitivi “utili” ai fini della decisione sulla confisca. Il diniego di tali mezzi, se non supportato da alcuna motivazione, oppure da motivazione incongrua ed irragionevole perché elusiva delle norme positive generali quali l’art. 666 CPP e di quelle specificamente riguardanti la posizione del terzo, sostanzia dunque il vizio di violazione di legge deducibile quale motivo di ricorso per cassazione.

Tale soluzione appare frutto dell’analisi testuale delle disposizioni e dell’interpretazione della disciplina sul ricorso per cassazione che la conforma alle previsioni convenzionali dell’art. 6 CEDU, laddove stabilisce a favore dei soggetti terzi un nucleo di garanzie minime, inclusivo della facoltà di dedurre mezzi di prova (Corte EDU, Sez. 2, sentenza del 5/1/2010, Bongiorno ed altri c. Italia), e rende effettivo ed accessibile il alla prova anche attraverso la possibilità di revisione da parte del giudice di legittimità della decisione che lo abbia compresso.

Del resto, anche nella recentissima pronuncia SU, 27620/2016, si è ripetuto che «I principi contenuti nella CEDU, come definiti nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione – convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne».

Va quindi formulato il seguente principio di diritto: “Il terzo interessato chiamato a partecipare al procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, compresa la confisca con effetti ablatori definitivi del diritto di proprietà e destinatario della presunzione relativa di fittizia intestazione di beni in realtà riferibili al proposto, può dedurre col ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge in caso il provvedimento impugnato non offra alcuna motivazione al rigetto delle istanze istruttorie, o la motivazione sia in contrasto con la disciplina positiva e con i principi del contraddittorio e del diritto alla prova ed alla controprova, come stabiliti dagli artt. 2– ter L. 575/1965 e 23 e dall’art. 6 CEDU, che costituisce il parametro d’interpretazione delle norme dei singoli ordinamenti statuali».

In definitiva il panorama degli interventi esegetici come sopra riassunti ed il riferimento nelle disposizioni positive che presiedono al processo di prevenzione alla possibilità da parte del giudice di ammettere testimonianze da assumere all’udienza camerale o a distanza, da intendersi come riferite a prove sia disposte d’ufficio sia richieste dalle parti, compreso il proposto e gli eventuali terzi, avvalora la conclusione dell’insussistenza di alcuna preclusione all’ammissibilità della prova per testi e dell’assenza di ostacoli normativi o logici alla sua introduzione in riferimento ad uno specifico oggetto, ossia ai fatti di cui s’intende offrire dimostrazione, quand’anche riguardanti flussi finanziari.

Non s’ignora che nella prassi giudiziaria l’istruttoria ha natura prevalentemente cartolare con assegnazione di principale rilievo alle informative di polizia, ai documenti acquisiti in base ad indagini patrimoniali, alle sentenze emesse in altri procedimenti ed ai verbali di prove in questi formati.

Ciò non esclude, tuttavia, che possa farsi ricorso, anche, a prove dichiarative.

Deve, perciò, pervenirsi alla formulazione del seguente principio di diritto «nel procedimento di prevenzione, né la sua natura speciale rispetto al processo penale, né esigenze di speditezza nella trattazione e di più agevole consultazione degli atti, consentono di ritenere vietate le prove dichiarative, specie se queste costituiscano l’unico strumento a disposizione del proposto o dei terzi per superare un giudizio presuntivo e quindi per avvalersi del diritto di difesa rispetto alla contestazione di pericolosità o di illecita accumulazione di ricchezza; e neppure è consentito subordinarne l’ingresso nel processo di prevenzione secondo una sorta di gerarchia delle prove che orienta le scelte decisionali all’ammissione degli atti già costituiti e solo in via residuale anche delle testimonianze o di altre prove diverse a condizione che i primi vi offrano almeno un parziale riscontro» (Sez. 1, 49180/2016).

Nel procedimento di prevenzione, la violazione del diritto del titolare di un diritto personale di godimento a partecipare al giudizio per l’applicazione di misure patrimoniali sul bene, previsto dall’art. 23, comma 4, non determina una invalidità della confisca eventualmente disposta, ma legittima il medesimo soggetto a proporre incidente di esecuzione per far valere le stesse ragioni che avrebbe potuto prospettare prima dell’adozione del provvedimento di ablazione (Sez. 6, 37657/2015).

In tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto (Sez. 5, 12374/2018).

Il terzo che partecipa al procedimento di prevenzione, perché destinatario della presunzione relativa di fittizia intestazione di beni in realtà riferibili al proposto, può, ex artt. 2–ter L. 575/1965, 23 D. Lgs. 159/2011 e 6 CEDU, fornire qualsiasi prova contraria a tale presunzione, anche di natura testimoniale, deducendo col ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge se il provvedimento impugnato non contenga motivazione circa il rigetto delle sue istanze istruttorie. Da questo, tuttavia, non consegue l’ammissione incondizionata della prova in ogni caso e a ogni condizione, per cui pure della prova dichiarativa vanno preliminarmente vagliate la pertinenza e congruità al thema decidendum (Sez. 6, 42743/2017).

La violazione del diritto del titolare di un diritto personale di godimento a partecipare al giudizio per l’applicazione di misure patrimoniali sul bene, previsto dall’art. 23, comma 4, non determina una invalidità della confisca eventualmente disposta, ma legittima il medesimo soggetto a proporre incidente di esecuzione per far valere le stesse ragioni che avrebbe potuto prospettare prima dell’adozione del provvedimento di ablazione (Sez. 6, 37657/2015).

Nei procedimenti in camera di consiglio, quali quello di prevenzione, di regola non sono applicabili le norme sulla mancata assunzione di una prova decisiva e sul diritto dell’imputato all’ammissione di prova a discarico sui fatti oggetto di prova a carico poiché, a norma dell’art. 495, comma 2, CPP, il diritto di ammissione della prova a discarico è previsto soltanto per il giudizio dibattimentale, anche se si è ritenuto che in tema di confisca di prevenzione il terzo chiamato a partecipare al procedimento, perché destinatario della presunzione relativa di fittizia intestazione di beni in realtà riferibili al proposto, ha comunque il diritto, ai sensi dell’art. 2–ter L. 575/1965, 23 D. Lgs. 159/2011 e 6 CEDU, di fornire qualsiasi prova contraria a detta presunzione, anche di natura testimoniale, potendo dedurre col ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge nel caso in cui il provvedimento impugnato non offra alcuna motivazione in ordine al rigetto delle sue istanze istruttorie.

Pur essendo pienamente utilizzabili nel procedimento di prevenzione anche le prove non formatesi nel contraddittorio perché rese ad una parte processuale, peraltro, è necessario che l’altra parte abbia la possibilità di ottenere la convocazione e l’esame dei testi nella fase del giudizio, secondo i principi desumibili anche dall’art. 6 CEDU, e tuttavia tale diritto si esplica pienamente nel giudizio di primo grado, mentre nel giudizio di appello non può che esplicarsi nei limiti derivanti dai principi generali posti in materia di impugnazione.

Tra questi, va ricordata la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, in virtù della quale la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello è da ritenersi un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (SU, 12602/2015), salvo il caso di prove nuove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, in presenza delle quali la rinnovazione è sottoposta ai soli limiti previsti dall’art. 495 comma 1 CPP, dovendosi, peraltro, ritenere prova “sopravvenuta o scoperta dopo la sentenza di primo grado”, di cui all’art. 603, comma 2, CPP, solo quella che sopraggiunge autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività d’indagine, o che viene reperita dopo l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento successiva alla decisione (Sez. 2, 33538/2017).

Nel procedimento di prevenzione, è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi dal soggetto presunto interponente, che assuma l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva ed esclusiva dei beni in capo al terzo intestatario, in quanto la legittimazione all’impugnazione spetta solo a quest’ultimo, quale unico soggetto avente, in ipotesi, diritto alla restituzione del bene (Sez. 5, 8922/2016).

Nel procedimento di prevenzione patrimoniale, la posizione del terzo intestatario di beni raggiunti dal sospetto di derivazione dall’azione illecita del proposto è posizione «autonoma» sul piano dell’esercizio dei diritti e delle facoltà processuali. Il terzo proprietario o comproprietario dei beni sequestrati è infatti chiamato ad intervenire ai “sensi dell’art. 23, comma 2, e tale norma – di esclusiva applicazione nel procedimento di prevenzione patrimoniale – consente al terzo l’esercizio del diritto di difesa già durante il primo grado di giudizio.

Lì dove il terzo – inciso dalla decisione in un suo diritto – non sia stato chiamato ad intervenire resta titolare della facoltà di proporre incidente di esecuzione avverso il provvedimento definitivo. Ora, da tale assetto deriva che anche nell’esercizio della generale facoltà di impugnazione di cui all’art. 10 la posizione del terzo va mantenuta autonoma rispetto a quella del destinatario del provvedimento di prevenzione personale, dovendosi differenziare gli ambiti di esercizio del potere di critica avverso la decisione di primo grado.

È evidentemente illogico ritenere che il terzo, titolare del potere di impugnazione del provvedimento di primo grado (ai sensi del combinato disposto degli artt. 10 e 27), ove tale potere non eserciti o lo eserciti in violazione delle norme che prevedono termini decadenziali, possa recuperare le facoltà di critica nei confronti del provvedimento di confisca in modo surrettizio, attraverso l’intervento che risulta evidentemente inammissibile (Sez. 2, 37495/2019).

Chi ha partecipato o è stato posto in condizioni di partecipare, ricevendone gli avvisi, ad un procedimento instaurato in tema di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, ha l’onere di svolgere in esso tutte le proprie deduzioni e di chiedere, se del caso, al giudice l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla proposta di confisca avanzata dall’accusa.

Così dispone, proprio a favore degli interessati (e quindi anche dei proprietari di quei beni che si ritengono a loro fittiziamente intestati dal destinatario della misura), l’art. 23.

Al terzo interessato va anche comunicato l’avviso della pronuncia del provvedimento di confisca del bene a lui intestato come dispongono l’attuale art. 27.

Così che il terzo proprietario vede salvaguardati i suoi diritti di difesa sia dalla possibilità di partecipare al processo di primo grado, sia dalla comunicazione della decisione sfavorevole. Se egli però non interpone appello alla decisione sfavorevole dimostra di non avere interesse alla sua modifica e pertanto non gli viene notificato l’avvio della fase di gravame a cui, per atti concludenti, si è mostrato estraneo (Sez. 5, 7290/2016).

L’art. 23, comma 1, nel disciplinare il procedimento applicativo di misure di prevenzione patrimoniali, dispone che a queste si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I, e tra queste, pertanto, anche il comma 2 dell’art. 7, che prescrive che della fissazione dell’udienza deve essere dato avviso alle parti e “alle altre persone interessate”, ed il successivo comma 7 dello stesso articolo espressamente indica la disposizione del comma 2 tra quelle che “sono previste a pena di nullità”: è evidente, pertanto, che un mero decreto di acquisizione documentale emesso nel procedimento di prevenzione non può essere ritenuto un equipollente dell’omessa citazione del titolare di un diritto reale (Sez. 2, 33538/2017).

In tema di misure di prevenzione patrimoniale, nel caso di confisca dell’intero capitale sociale di una società e di beni formalmente intestati alla stessa, legittimati a costituirsi in giudizio, ai sensi dell’art. 23, comma 2, e a proporre impugnazione sono solo le persone fisiche titolari dei diritti nascenti dalle quote sociali e non, invece, la persona giuridica in quanto tale (Sez. 1, 42238/2017).

 

Linee guida, circolari e prassi

G. Muntoni (presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma), “Giurisprudenza e prassi operative del tribunale di Roma, sezione misure di prevenzione”, relazione tenuta per il corso su “Misure di prevenzione patrimoniale: potenzialità e problematiche del contrasto ai patrimoni illeciti” organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, 6 giugno 2019, reperibile al seguente link: https://www.fondazioneforensefirenze.it/uploads/fff/files/2019/2019_06%20–%20Giugno/13%20–%20Misure%20di%20prevenzione/Relazione%20–%20Dott_%20Guglielmo%20Muntoni.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: problematiche organizzative e operative”, nota n. 6815 del 10 novembre 2017, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_16709.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario”, nota n. 5810 dell’8 novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_21020.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, “Quinta lettera di prevenzione”, novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.osservatoriomisurediprevenzione.it/prassi–e–documenti/