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Art. 6 - Tipologia delle misure e loro presupposti

1. Alle persone indicate nell’articolo 4, quando siano pericolose per la sicurezza pubblica, può essere applicata, nei modi stabiliti negli articoli seguenti, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

2. Salvi i casi di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), alla sorveglianza speciale può essere aggiunto, ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più regioni. (2)

3. Nei casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

3–bis. Ai fini della tutela della sicurezza pubblica, gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale possono essere disposti, con il consenso dell’interessato ed accertata la disponibilità dei relativi dispositivi, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275–bis del codice di procedura penale. (1)

(1) Comma aggiunto dall’ art. 15, comma 1, lett. b), DL 14/2017, convertito, con modificazioni, dalla L. 48/2017.

(2) Comma così sostituito dall’ art. 2, comma 2, L. 161/2017.

Rassegna di giurisprudenza

Temi generali

…Le misure di prevenzione non sono sanzioni di natura sostanzialmente penale e non rientrano quindi nel concetto di “materia penale” formulato dalla giurisprudenza della Corte EDU

Le misure di prevenzione non rientrano, neppure secondo il prisma interpretativo offerto dalla giurisprudenza della Corte EDU, nel novero delle sanzioni di natura sostanzialmente penale, secondo i noti criteri di Engel, affermati costantemente a partire dalla pronuncia Engel c. Paesi Bassi del 8/6/1976.

La giurisprudenza ha affermato già in un recente passato, condivisibilmente, che non è applicabile, ad esempio, il principio del “ne bis in idem” – tipico del confronto tra sanzioni di natura formalmente o sostanzialmente penali – alle misure di prevenzione, nemmeno in considerazione di quanto affermato nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, poiché tali misure non hanno natura neppur solo sostanzialmente penale, alla luce della elaborazione della giurisprudenza della stessa Corte EDU, la quale ne sottolinea la funzione di provvedimenti diretti ad impedire la commissione di atti criminali e non a sanzionare la realizzazione di questi ultimi (Sez. 2, 26235/2015, che richiama le sentenze della Corte EDU, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia e 22 febbraio 1989, Ciulla c. Italia).

Nello stesso senso di rilevare la attuale, perdurante natura preventiva – e non sanzionatoria, neppure “sostanzialmente”, penale – si sono espresse, altresì, Sez. 2, 30938/2015, nonché le Sezioni unite, con la sentenza SU, 4880/2015, che ha ribadito la assimilazione alle misure di sicurezza delle misure di prevenzione.

Quanto ai profili di lesione dei principi legati alla sfera familiare e personale, deve sottolinearsene l’infondatezza. Invero, deve evidenziarsi come non siano certo i legami familiari ad essere individuati dal legislatore tra i presupposti applicativi del giudizio di pericolosità alla base delle misure di prevenzione.

Piuttosto, stando agli attuali canoni interpretativi della disciplina vigente, il giudizio di pericolosità cd. specifica non si fonda su meri sospetti a carico del proposto, quale indiziato di appartenenza ad un’associazione mafiosa, né su una situazione di mera contiguità ideologica o di “vicinanza” (anche familiare) al gruppo criminale, ma richiede una condotta concreta che, sebbene non riconducibile alla partecipazione, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi (Sez. 6, 22825/2018).

Per questo, nessuna fondatezza possono avere le questioni di illegittimità costituzionale dedotte in relazione alla disciplina vigente (in tal senso, la citata pronuncia Sez. 6, 22825/2018, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, L. 575/1965, nonché 3 e 5 L. 1423/1956 per contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione all’art., 2, Prot. 4 CEDU, come interpretato dalla Grande Camera della Corte EDU con la sentenza del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, e dell’art. 2–ter L. 575/1965 per contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 1, Protocollo 1 CEDU, con riferimento, tra l’altro, alla fattispecie di pericolosità dell’indiziato di appartenenza ad un’associazione mafiosa).

Invero, anche la pronuncia della sentenza De Tommaso da parte della Corte EDU, pur innegabile nelle sue ricadute di sistema – che hanno condotto recentemente la Corte costituzionale anche alla pronuncia di illegittimità di una parte della disciplina sulla pericolosità generica prevista dal D. Lgs. 159/2011 (sentenze 24/2019 e 25/2019) – non muta il generale, già espresso, convincimento di infondatezza delle obiezioni di incompatibilità costituzionale dell’intero sistema normativo previsto in materia di misure di prevenzione, per contrasto con gli artt. 49 CDFUE e 6 e 7 CEDU, tenuto conto del fatto che il giudizio di pericolosità, in un’ottica costituzionalmente orientata, si fonda sull’oggettiva valutazione di fatti sintomatici collegati ad elementi certi e non su meri sospetti, senza alcuna inversione dell’onere della prova a carico del proposto, essendo incentrato sul meccanismo delle presunzioni in presenza di indizi, i quali devono essere comunque provati dalla pubblica accusa, rimanendo a carico dell’interessato soltanto un onere di allegazione per smentirne l’efficacia probatoria (Sez. 5, 18303/2019).

 

…Applicabilità delle misure di prevenzione ai detenuti in espiazione di pena

La misura di prevenzione della “sorveglianza speciale della pubblica sicurezza”, prevista dall’art. 3 L. 1423/1956 (ora D. Lgs. 159/2011), è applicabile anche nei confronti di persona detenuta in espiazione di pena (SU, 6/1993). Le Sezioni unite, nell’affermare tale principio e dopo aver rilevato l’incompatibilità del momento esecutivo della misura di prevenzione con lo stato di detenzione, hanno stabilito che la misura potesse avere inizio solo quando lo stato di detenzione fosse cessato; ferma restando la possibilità per il soggetto di chiedere la revoca della misura per l’eventuale venir meno della sua pericolosità in virtù dell’espiazione e dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena.

Dal nuovo indirizzo giurisprudenziale discendeva la conseguenza che la misura di prevenzione poteva essere messa in esecuzione anche a distanza di tempo rispetto alla sua deliberazione, senza alcun approfondimento in ordine alla persistente pericolosità della persona ad essa sottoposta.

Al riguardo, la Corte costituzionale con la sentenza 291/2013, ha dichiarato la «illegittimità costituzionale dell’art. 12 L. 1423/1956 [ora art 15 D. Lgs. 159/2011], nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura».

La giurisprudenza di legittimità successiva alla pronuncia della Corte costituzionale, a fronte della descritta evoluzione in materia del diritto vivente, come segnalato nell’ordinanza di rimessione, non ha fornito un univoco indirizzo interpretativo.

Secondo un primo orientamento interpretativo, sostenuto dalla Sez. 1, 6878/2015, nell’ipotesi di sottoposto a misura di prevenzione ai sensi della L. 1423/1956 ovvero D. Lgs. 159/2011, il quale, successivamente all’adozione della misura, sia assoggettato a misura cautelare personale ovvero alla espiazione di pena detentiva per un apprezzabile periodo temporale potenzialmente idoneo ad incidere sullo stato di pericolosità in precedenza delibato, la misura stessa deve considerarsi sospesa nella sua efficacia fino a quando il giudice della prevenzione non ne valuti nuovamente l’attualità alla luce di quanto desumibile in favore del sottoposto dalla esperienza di carcerazione patita; con la conseguenza che, fino a quando tale nuova valutazione non venga effettuata dal giudice della prevenzione, anche alla luce del comportamento tenuto nel corso dell’esecuzione della pena, non può considerarsi sussistente il reato di cui all’art. 75, comma 2, dal momento che tale illecito consiste nell’inadempimento ad obblighi e prescrizioni la cui esecuzione è sospesa. In sintesi, la valutazione di attualità della pericolosità sociale del destinatario della misura in questione, compiuta dal giudice della prevenzione al termine del periodo di differimento di esecuzione della misura stessa, determinato da detenzione di durata tale da incidere su tale stato, costituisce presupposto di sussistenza per tale persona dei reati previsti dall’art. 75.

Un contrapposto orientamento, sostenuto dalla Sez. 1, 2790/2017, ritiene che la mancata rivalutazione della pericolosità non determina una sospensione ex lege della misura di prevenzione, con la conseguenza che «allorquando all’esito della detenzione stessa emergano profili o dati di fatto specifici, potenzialmente idonei ad incidere sullo stato di pericolosità sociale precedentemente delibato in senso positivo», il nuovo esame della pericolosità sociale del destinatario della misura di prevenzione è rimesso alla competenza funzionale «del giudice della misura stessa», ma non può affermarsi che la mancanza di tale rivalutazione equivalga «ad automatica inesistenza (originaria o sopravvenuta) del titolo genetico o che tenga luogo d’una sua sospensione ex lege». Il presupposto di pericolosità sociale, condizione strutturale essenziale della misura, che trae genesi dal titolo originario, continua ad esistere, perché adottato nel concorso delle condizioni legittimanti ed all’esito della verifica giurisdizionale e ciò finché il giudice funzionalmente competente non provveda ad operare una rivalutazione di segno contrario».

Tale orientamento ermeneutico trova supporto normativo nella disposizione dell’art. 10, che prevede la immediata esecutività dei provvedimenti che applicano le misure di prevenzione e che non sono sospesi neanche in caso di loro impugnazione. In passato, Sez. 2, 12915/2015, aveva invece effettuato un distinguo, ribadendo che quando l’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa per lo stato detentivo dell’interessato, «unica interpretazione costituzionalmente orientata è quella di considerare la sospensione dell’esecuzione della misura come destinata a risolversi solo a seguito della rivalutazione da parte del giudice, non dell’esecuzione, bensì dal medesimo giudice che ha applicato la misura, ovvero il tribunale competente a norma degli artt. 5 e ss.».

Tale pronuncia opera però una netta distinzione tra l’ipotesi in cui lo stato detentivo sia determinato dall’espiazione pena, e quella determinata dalla applicazione di una misura cautelare. Infatti, mentre la detenzione per espiazione di pena di chi sia sottoposto a misura di prevenzione personale incrementa la possibilità, favorita dal trattamento rieducativo individualizzato “che intervengano modifiche nell’atteggiamento del soggetto nei confronti di valori della convivenza civile”, la sottoposizione a misura cautelare personale, sia essa detentiva o non detentiva, non consente di ritenere superata o attenuata la presunzione di attualità della pericolosità sociale emessa in sede di applicazione, ma si pone, in realtà, come indiretta conferma della valutazione stessa, avuto riguardo alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari riferibili anche alla personalità dell’indagato e al concreto rischio di commissione di gravi reati».

Secondo tale pronuncia, quindi, non occorre alcuna rivalutazione della pericolosità sociale nell’ipotesi in cui la sospensione sia stata determinata dall’applicazione di misura cautelare, la quale, a differenza della detenzione in espiazione pena, non è un trattamento specificamente finalizzato al reinserimento sociale.

Secondo una posizione che può essere definita intermedia, assunta da Sez. 1, 11619/2018, la valutazione della persistente pericolosità sociale può essere oggetto di una valutazione incidentale e quindi la perdurante efficacia della sottoposizione alla misura di prevenzione dopo un periodo di detenzione, può essere oggetto della valutazione del giudice di merito che procede in ordine alla violazione degli obblighi inerenti detta misura.

Linea interpretativa questa, che sembra essere quella alla quale si è rifatto il giudice della sentenza impugnata. Ritengono le Sezioni unite che debba essere condiviso il primo orientamento interpretativo.

La Corte costituzionale, nel pronunciare la sentenza 291/2013, ha rilevato che, nella materia delle misure di sicurezza, la verifica della persistenza della pericolosità sociale è imposta dall’art. art. 679 CPP secondo cui «quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata ... ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti». In detta materia, pertanto, la valutazione della pericolosità sociale deve essere effettuata due volte: in un primo momento dal giudice della cognizione, che deve verificarne la sussistenza al momento della pronuncia della sentenza; successivamente, dal magistrato di sorveglianza, che deve verificarne l’attualità quando la misura, già disposta, deve avere inizio.

Valutata l’affinità tra gli istituti delle misure di scurezza e delle misure di prevenzione, species di un unico genus di strumenti finalizzati a recuperare all’ordinato vivere civile soggetti che manifestano pericolosità sociale, la Corte con la dichiarazione di incostituzionalità ha inteso armonizzare le due discipline. Invero il decorso di un rilevante lasso di tempo, tra la applicazione della misura e la sua esecuzione, sospesa per l’espiazione di una pena, «incrementa la possibilità che intervengano modifiche nell’atteggiamento del soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile».

Infatti, considerata la funzione rieducativa assegnata dalla nostra Costituzione alla pena, «se è vero, in effetti, che non può darsi per scontato a priori l’esito positivo di detto trattamento, per quanto lungo esso sia, meno ancora può giustificarsi, sul fronte opposto, una presunzione – sia pure solo iuris tantum – di persistenza della pericolosità malgrado il trattamento, che equivale alla negazione della sua stessa funzione». In sintesi la Corte costituzionale ha inteso esprimere un monito: se presunzione vi deve essere, dopo l’espiazione di una pena essa deve essere intesa come avvenuta risocializzazione del condannato, dal che la necessità di una rinnovata valutazione della sua pericolosità sociale nella prospettiva della esecuzione della misura di sicurezza.

Antecedentemente alla pronuncia della Corte, il “diritto vivente” aveva preso atto della necessità di dare una risposta costituzionalmente compatibile alla problematica dell’applicazione delle misure di prevenzione dopo un periodo di detenzione. SU, 10281/2008 ebbero modo di affermare, dopo aver premesso che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta, che «dovendosi distinguere tra momento deliberativo e momento esecutivo della misura di prevenzione e attenendo la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto unicamente alla esecuzione della misura stessa, questa può avere inizio solo quando tale stato venga a cessare, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena».

Successivamente alla declaratoria di incostituzionalità la svalutazione della presunzione di pericolosità sociale attestata nel provvedimento genetico è stata costante, come prima già ricordato, e come ribadito da SU, 111/2018, che recependo il monito della Corte costituzionale sull’importanza della valutazione del «singolo caso» ai fini dell’accertamento della pericolosità sociale, ha affermato che anche «ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto».

Tale accertamento, dunque, costituisce un presupposto legittimante l’applicazione delle misure di prevenzione personale per tutte le categorie previste dall’art. 4, ivi compresi gli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose.

L’esigenza di una valutazione della attualità della pericolosità sociale della persona per la applicazione a suo carico della misura di prevenzione è stata peraltro più volte ribadita dalla Corte EDU che ha affermato la necessità di accertare che i requisiti che giustificano l’iniziale applicazione della misura permangono anche durante la sua esecuzione.

Al riguardo, in passato, con la sentenza del 22/02/1994, Raimondo c. Italia, la Grande Camera della Corte EDU aveva ritenuto compatibili le misure di prevenzione con i principi comunitari, in ragione della minaccia alla società democratica rappresentata dalla mafia; quindi la misura della sorveglianza speciale era necessaria «per il mantenimento dell’ordine pubblico» e «per la prevenzione del crimine».

Pertanto aveva riconosciuto la legittimità di misure tese ad impedire il compimento di nuovi reati, piuttosto che a sanzionare quelli già compiuti. In successive pronunce, però, la Corte di Strasburgo ha ribadito la necessità che i requisiti che giustificano l’iniziale applicazione della misura debbano permanere anche durante la sua esecuzione.

Nella sentenza del 6/04/2000, Labita c. Italia (§ 195), la Grande Camera della Corte EDU ha accertato la violazione dell’art. 2, Prot. 4, CEDU, valutando che «la sorveglianza speciale applicata nei confronti di Labita è stata decisa il 10 maggio 1993, quando esistevano effettivamente indizi riguardo la sua partecipazione alla mafia, ma è stata applicata solo il 19 novembre 1994, ossia dopo il proscioglimento, pronunciato dal Tribunale di Trapani».

Pertanto anche da tale pronuncia si desume come la Corte EDU pretenda che per l’applicazione delle misure di prevenzione, oltre all’accertamento di elementi concreti e non meri sospetti, anche che la valutazione della pericolosità sociale dell’interessato sia «attuale». La codificazione dell’evoluzione del diritto vivente si è completata con la L. 161/2017, che con l’art. 4 ha introdotto nel corpo dell’art. 14, i commi 2–bis e 2–ter.

Con il comma 2–ter viene previsto che l’esecuzione della sorveglianza speciale resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena, aggiungendo che la verifica della pericolosità avviene ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione protrattasi per almeno due anni. Il tribunale competente deve, ai fini del decidere, assumere le necessarie informazioni presso l’amministrazione penitenziaria e l’autorità di pubblica sicurezza.

Se la pericolosità sociale è cessata, il tribunale emette decreto con cui revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione; se, invece, persiste, il tribunale ordina l’esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all’interessato.

La riforma, pertanto, nel recepire l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, secondo cui la sorveglianza speciale può essere deliberata anche nei confronti di soggetto ristretto in carcere, avalla l’interpretazione delle disposizioni in materia secondo cui la detenzione di lunga durata determina una sospensione dell’esecuzione della misura che non cessa con la fine della detenzione, ma permane fino a quando il tribunale competente non accerti la persistenza delle pericolosità dell’interessato.

La norma inoltre positivizza il concetto di «consistente lasso di tempo» tra deliberazione della misura e sua applicazione, che la legge determina in due anni. Il comma 2–bis prevede, anche, che l’esecuzione della sorveglianza speciale resti sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto alla misura della custodia cautelare. Ma in tale caso, il termine di durata della misura di prevenzione continua a decorrere dal giorno nel quale è cessata la misura cautelare, con redazione di verbale di sottoposizione agli obblighi.

Le nuove norme, nel dare attuazione al contenuto della sentenza della Corte costituzionale 291/2013, completano quindi il disegno normativo, sciogliendo i residui dubbi interpretativi posti dalla giurisprudenza. 11. Alla luce di quanto fin qui esposto possono trarsi le seguenti considerazioni.

L’art. 15, nel disciplinare il rapporto tra stato di detenzione (per espiazione pena) ed esecuzione di una misura di prevenzione personale, alla luce dell’intervento additivo della Corte costituzionale 291/2013, prevede che in caso di detenzione di lunga durata, lo stato di sospensione della misura non cessi all’atto della fine dell’esecuzione della pena, ma permanga fino a quando il giudice competente non verifichi nuovamente la pericolosità sociale della persona sottoposta alla misura e quest’ultima non gli sia stata notificata.

Pertanto, in tali ipotesi, la nuova verifica da parte del giudice competente, attestante la pericolosità della persona, costituisce una condizione di efficacia della misura di prevenzione.

In difetto di tale accertamento, non sussiste il reato di cui all’art. 75, comma 2, in quanto non avendo efficacia il provvedimento genetico della misura di prevenzione, non può configurarsi il fatto penalmente rilevante della sua violazione. Tale interpretazione trova ora sostegno normativo nel nuovo art. 14, comma 2–ter, introdotto dalla L. 161/2017. La disposizione prevede che, dopo la cessazione dello stato di detenzione per espiazione di pena, la verifica della pericolosità avviene ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione che si è protratta per almeno due anni, attraverso un procedimento, nel corso del quale sono assunte le necessarie informazioni.

Si valorizza in tal modo l’esigenza di un accertamento dell’attualità della pericolosità sociale, necessario presupposto sul piano costituzionale e convenzionale, dell’applicazione di una misura di prevenzione.

A tale prospettiva interpretativa, fornisce continuità la recente pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui, l’accertamento della “attualità” della pericolosità è necessario persino per coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso (SU, 111/2018).

In considerazione di quanto detto va affermato il seguente principio di diritto: “Nei confronti di un soggetto destinatario di una misura di sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza di una rivalutazione dell’attualità e persistenza della sua pericolosità sociale ad opera del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura, non è configurabile il reato di reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 (SU, 51407/2018).

 

…Fase constatativa e fase prognostica del giudizio di prevenzione

La scissione del giudizio di prevenzione in due fasi, quella constatativa fondata sull’apprezzamento di fatti, e quella prognostica in senso stretto, è patrimonio comune sul piano interpretativo, nel senso che la condizione di pericolosità di un soggetto in un dato tempo è il frutto di un’operazione che non si basa sulla prognosi di reiterazione di qualsivoglia condotta illecita, ma postula il precedente inquadramento in una delle categorie di pericolosità da ritenersi tipizzanti perché determinano l’esclusione dal settore in esame di condotte che, pur indicative di manifestazioni di pericolosità soggettiva, risultano estranee all’operata selezione normativa e al perimetro descrittivo di cui all’art. 1 (Sez. 1, 40279/2018).

In tema di misure di prevenzione, l’attribuzione al proposto della condizione di “pericolosità” richiede il preliminare e attuale inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate negli artt. 1 e 4, che descrivono sia la pericolosità generica, che quella specifica, cui può seguire la “fase prognostica in senso stretto”, ossia la valutazione delle probabili future condotte della persona in chiave di offesa ai beni tutelati (in motivazione, la Corte ha affermato che il giudizio di attualità della pericolosità sociale non si basa esclusivamente sull’ordinaria prognosi di probabile e concreta reiterabilità di qualsivoglia condotta illecita, come previsto in via generale dall’art. 203 CP, ma presuppone la precedente inscrizione del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore, richiedendo, pertanto, l’accertamento di tale specifica inclinazione del soggetto) (Sez. 1, 54119/2017).

 

…Potere del giudice della prevenzione di riqualificazione della proposta

Nel procedimento di prevenzione, l’AG può operare una diversa qualificazione giuridica della pericolosità del proposto, trattandosi di un potere generale che spetta al giudice procedente che, se esercitato previa interlocuzione delle parti sulle questioni dedotte o deducibili collegate alla proposta, non comporta alcuna violazione (Sez. 6, 3446/2017).

 

Sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno

L’irrogazione della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno costituisce la concretizzazione dell’esercizio di un potere di valutazione autonoma del giudice della prevenzione – che prescinde dallo stesso impulso processuale iniziale, pur indispensabile – e che risulta fondato su una verifica della pericolosità sociale del prevenuto di competenza esclusiva dell’autorità che opera in piena autonomia – col solo limite ovviamente della legge e dell’obbligo motivazionale, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, dai quali non si può prescindere in considerazione della diretta incidenza che tali prescrizioni possono avere sulla libertà personale; autonomia che è dimostrata dai fatto che tale verifica non risulta condizionata nemmeno dalle emergenze di altri procedimenti penali (Sez. 5, 46180/2019).

L’irrogazione della misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno costituisce concretizzazione dell’esercizio del potere di valutazione autonoma del giudice della prevenzione che prescinde dall’impulso processuale da parte del PM, anche se in materia di prevenzione vige il divieto di iniziativa di ufficio del giudice della prevenzione.

Tale divieto riguarda solo il potere di impulso, ma una volta promosso il procedimento da parte del soggetto legittimato, l’applicazione della misura rientra nelle prerogative dell’AG (Sez. 6, 539/2019).

La presentazione all’autorità di pubblica sicurezza costituisce «una prescrizione», che può essere imposta, in base all’art. 8, comma 6, alla persona assoggettata alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, e che è penalmente presidiata in funzione dell’effettività della tutela preventiva assicurata dalla misura (SU, 32923/2014).

 

Linee guida, circolari e prassi

Procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, “Nuova disciplina delle misure di prevenzione: problematiche organizzative e operative”, nota n. 6815 del 10 novembre 2017, reperibile al seguente link: http://www.procura.bologna.giustizia.it/allegatinews/A_16709.pdf

Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino, “Quinta lettera di prevenzione”, novembre 2018, reperibile al seguente link: http://www.osservatoriomisurediprevenzione.it/prassi–e–documenti/