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Art. 603 - Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale

1. Quando una parte, nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’articolo 585 comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove, il giudice se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

2. Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’articolo 495 comma 1.

3. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria.

3-bis. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

4. (abrogato).

5. Il giudice provvede con ordinanza, nel contraddittorio delle parti.

6. Alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, disposta a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a dieci giorni.

Rassegna giurisprudenziale

Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (art. 603)

È rilevabile d’ufficio nel giudizio per Cassazione, ai sensi dell’art. 609, comma 2, l’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale da parte del giudice di appello che abbia riformato la sentenza assolutoria resa in primo grado e condannato l’imputato - anche ai soli effetti civili - sulla base di un diverso apprezzamento della prova dichiarativa decisiva, poiché la regola processuale posta dall’art. 603, comma 3 bis, configura una garanzia fondamentale dell’ordinamento, la cui violazione qualifica la sentenza come emessa al di fuori dei casi consentiti dalla legge (fattispecie nella quale la corte di appello, a seguito di impugnazione proposta dal procuratore generale, riformava la sentenza di primo grado, che aveva assolto l’imputato dal reato di estorsione, riconoscendolo responsabile per il diverso reato di truffa, senza procedere alla rinnovazione della testimonianza della persona offesa, sulle cui dichiarazioni aveva basato la motivazione della condanna. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello competente) (Sez. 2, 23931/2022).

Risulta affetta da violazione di legge la sentenza di appello che, a fronte della richiesta dell'imputato di rinnovazione istruttoria, si limiti a rilevare una decadenza di parte dalla prova, senza dare adeguata motivazione del mancato esercizio ad opera del giudice dei poteri istruttori d'ufficio ex art. 603, comma 3, atteso che - in deroga al principio dispositivo, desumibile dall'art. 190 c.p.p. - il giudice ha il dovere di acquisire, anche d'ufficio, i mezzi di prova indispensabili per la decisione (Sez. 5, 24084/2022).

La riforma, in appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa, oggetto di discordante valutazione, sia divenuta impossibile per decesso, irreperibilità o infermità del dichiarante. Nondimeno la motivazione della sentenza che si fondi sulla prova già acquisita, deve essere rafforzata sulla base di elementi ulteriori - idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio - che il giudice ha l'onere di ricercare e acquisire anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603 (SU, 11586/2022).

Alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si può ricorrere solo quando il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia, di per sé, oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (D’altra parte, spiega la Corte in sentenza, alla rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello si può ricorrere solo quando il giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, ritenga di ammettere l’integrazione probatoria richiesta sull’assunto che l’incombente istruttorio possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione alternativa degli accadimenti criminosi) (Sez. 1, 25118/2021).

Nel giudizio di appello, è ammissibile la richiesta di rinnovazione del dibattimento per disporre perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e volere dell'imputato, anche nel caso in cui la decisione di primo grado sul punto non abbia formato oggetto di specifico e tempestivo motivo di gravame; infatti, l'accertamento dell'idoneità intellettiva e volitiva dell'imputato non necessita di richiesta di parte, potendo essere compiuto anche d'ufficio dal giudice di merito, allorquando vi siano elementi per dubitare dell'imputabilità (Sez. 5, 1372/2022).

La previsione del comma 3-bis dell’art. 603, introdotto dalla L. 103/2017, si riferisce all’ipotesi che venga ribaltato, in appello, un giudizio assolutorio, e non anche all’ipotesi che venga confermata in appello l’assoluzione pronunciata in primo grado. L’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria va visto infatti in stretta correlazione con il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, necessario per condannare e non già per assolvere (Sez. 5, 32911/2021).

È fondamentale che siano gli stessi giudici di appello-persone fisiche che devono decidere circa il ribaltamento a raccogliere la prova testimoniale ritenuta decisiva, per assecondare quell’esigenza di diretta interlocuzione con il propalante e di immediata percezione del contegno verbale - e non - del medesimo che è alla base della scelta esegetica di pretendere la nuova raccolta della prova in appello. Attribuire, di contro, alla già avvenuta escussione del dichiarante da parte di altri giudici di appello, quando detto contributo sia decisivo per il ribaltamento, una valenza satisfattiva delle esigenze di acquisizione diretta significherebbe neutralizzare del tutto, dietro un’interpretazione formalistica, la portata del principio (Sez. 5, 3007/2021).

L’omessa rinnovazione della prova peritale acquisita in forma dichiarativa da parte del giudice di appello che proceda, sulla base di un diverso apprezzamento della stessa, nella vigenza dell’art. 603, co. 3-bis,  alla riforma della sentenza di assoluzione, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio della sentenza, denunciabile in sede di giudizio di legittimità a norma dell’art. 606, co. 1, lett. c); mentre la pronuncia di riforma adottata sulla base della rivalutazione della relazione del perito, acquisita in forma puramente cartolare, è sindacabile per vizio di motivazione ex art. 606, co. 1, lett. e), sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da potere determinare una diversa conclusione del processo (Sez. 5, 3007/2021).

Ai fini della rinnovazione dell’istruttoria in appello ex art 603, comma 3-bis, per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa devono intendersi non solo quelli concernenti l’attendibilità dei dichiaranti, ma altresì tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, posto che il loro contenuto passa comunque attraverso la percezione soggettiva del propalante, onde il giudice del merito è inevitabilmente chiamato a “depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, in modo da pervenire ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, 3007/2021).

La dichiarazione resa dal perito nel corso del dibattimento costituisce una prova dichiarativa. Di conseguenza, ove risulti decisiva, il giudice di appello ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa. Ove, nel giudizio di primo grado, della relazione peritale sia stata data la sola lettura senza esame del perito, il giudice di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame del perito. Le dichiarazioni rese dal consulente tecnico oralmente vanno ritenute prove dichiarative, sicché, ove siano poste a fondamento dal giudice di primo grado della sentenza di assoluzione, il giudice di appello – nel caso di riforma della suddetta sentenza sulla base di un diverso apprezzamento delle medesime – ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione dibattimentale tramite l’esame del consulente (SU, 14426/2019).

Mentre nelle ipotesi di cui ai commi 1 (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove) e 3 (rinnovazione “ex officio”) dell’art. 603 è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta nel caso del comma terzo) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al comma secondo, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (Sez. 2, 55166/2018).

L’art. 603 comma 3-bis va interpretato nel senso che l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è riferito esclusivamente alle prove dichiarative assunte in contraddittorio tra le parti (Corte di appello di Milano, Sez. 2, ordinanza del 20.2.2018).

Nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo gradoTuttavia, il giudice di appello (previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603) è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado (SU, 14800/2018).

È affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533, comma 1, la sentenza di appello che, su impugnazione del PM, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni (SU, 18620/2017).

L’affermazione di responsabilità dell’imputato pronunciata dal giudice di appello, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive non rinnovate, integra di per sé un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all’art. 533, comma 1. In tal caso, qualora il ricorrente abbia ammissibilmente impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza effettuare uno specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), CEDU, la Corte di Cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata (SU, 27620/2016).

Assunta come dato normativo di riferimento la previsione contenuta nell’art.6, § 3, lett. d) CEDU, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU (nel cui ambito la decisione guida è costituita dalla sentenza Dan c. Moldavia del 5/11/2011) costituente parametro interpretativo delle norme processuali interne (SU, 27620/2016, Dasgupta), la giurisprudenza di legittimità ha progressivamente affermato l’orientamento secondo cui il giudice di appello non può pervenire a condanna in riforma della sentenza assolutoria di primo grado basandosi esclusivamente, o in modo determinante, su una diversa valutazione delle fonti dichiarative delle quali non abbia proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603, comma 3, a una rinnovata assunzione di tali fontiLe Sezioni Unite hanno inoltre puntualizzato che gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ai fini delle statuizioni civili, sull’appello proposto dalla parte civile. Tali principi sono stati poi ulteriormente ribaditi dalle Sezioni Unite (SU, 18620/2017), che li hanno ritenuti applicabili anche nel caso in cui il giudizio di primo grado sia stato celebrato secondo il rito abbreviato, ravvisando il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio», di cui all’art. 533, comma 1, nella sentenza di appello che, su impugnazione del PM, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni. In relazione a tale orientamento occorre però mettere a fuoco il concetto di «prova decisiva». La sentenza Dasgupta delle Sezioni Unite puntualizza che «devono ritenersi prove dichiarative decisive quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio di appello, nell’alternativa proscioglimento-condanna» e che sono «parimenti decisive quelle prove dichiarative che, ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, ai fini dell’esito di condanna». Sempre secondo le Sezioni Unite, non potrebbe invece ritenersi «decisivo» un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che, in sé considerato, non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado e si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell’affermazione della responsabilità (Sez. 6, 47722/2015).

Neppure può ravvisarsi la necessità della rinnovazione della istruzione dibattimentale qualora della prova dichiarativa non si discuta il contenuto probatorio, ma la sua qualificazione giuridica, come nel caso di dichiarazioni ritenute dal primo giudice come necessitanti di riscontri ex art. 192, commi 3 e 4, e inquadrabili dall’appellante in una ipotesi di testimonianza pura (Sez. 3, 44006/2015).

Per contro, non rileva, ai fini della esclusione della doverosità della riassunzione della prova dichiarativa, che il contenuto di essa, come raccolto in primo grado, non presenti «ambiguità» o non necessiti di «chiarimenti» o «integrazioni», proprio in quanto una simile valutazione compiuta dal giudice di appello si fonderebbe non su un apprezzamento diretto della fonte dichiarativa ma sul resoconto documentale di quanto registrato in primo grado, e così verrebbe a riprodursi il vizio di un apprezzamento meramente cartolare degli elementi di prova su cui il giudice di appello è chiamato dall’appellante a trarre il convincimento di un esito di condanna. Tale disciplina anteriore all’intervento legislativo, elaborata dall’orientamento interpretativo illustrato, attinente alla ammissibilità di un ribaltamento della sentenza assolutoria basata sulla rivalutazione di prove dichiarative decisive non oggetto di rinnovata assunzione da parte del giudice di appello, non ha subito una radicale modifica ad opera della L. 103/2017. La nuova disciplina, per vero circoscritta all’impugnazione del PM e non riferibile all’impugnazione della parte civile, impone al giudice di secondo grado (con il ricorso al presente d’obbligo) la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel caso di appello del PM contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa. Deve peraltro ritenersi che il legislatore si sia implicitamente riferito a prove decisive, sia perché la relazione illustrativa dichiara espressamente l’intento di conformare il nostro ordinamento processuale alla CEDU, così come interpretata dalla Corte EDU, sia perché il criterio ermeneutico del «legislatore consapevole» induce a presumere che la norma sia stata dettata nel solco dell’orientamento giurisprudenziale segnato dalla doppia recente pronuncia delle Sezioni Unite. Per altro verso, la tesi che l’obbligo di rinnovazione operi già in sede di emissione dei provvedimenti istruttori e debba estendersi a tutte le prove dichiarative assunte in primo grado o, perlomeno, a tutte quelle poste a sostegno della decisione di primo grado e oggetto dell’appello della pubblica accusa, a prescindere dal carattere decisivo della prova e dalla struttura motivazionale della sentenza di secondo grado, non appare logica e persuasiva. Essa, inoltre, si pone in linea di collisione con i principi di ragionevolezza e buona amministrazione (poiché vorrebbe imporre la rinnovazione di prove del tutto inutili ai fini della decisione) e con lo stesso principio di eguaglianza fra le parti processuali: infatti la giustificazione che presiede alla rinnovazione delle prove in caso di appello del PM avverso sentenza assolutoria di primo grado affonda le sue radici nell’esigenza di rafforzamento della sentenza di condanna, oltre ogni ragionevole dubbio, e non può quindi riguardare prove ininfluenti in tal prospettiva  (la ricostruzione sistematica si deve a Sez. F, 44301/2018).

Il giudice di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, non può basarsi sulla mera rivalutazione delle perizie e delle consulenze in atti ma deve procedere al riascolto degli autori dei predetti elaborati già sentiti nel dibattimento di primo grado, altrimenti determinandosi una violazione del principio del giusto processo ai sensi dell’art. 6 CEDU (Corte EDU, sentenza Dan c. Moldavia del 5 luglio 2011) (Sez. 4, 6366/2017, Sez. 2, 34843/2015).

In senso contrario: in caso di riforma in appello della sentenza di assoluzione, non sussiste l’obbligo per il giudice di procedere alla rinnovazione dibattimentale della dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico, non trattandosi di una prova dichiarativa decisiva assimilabile a quella del testimone (Sez. 3, 57863/2017).

La questione è stata conseguentemente rimessa alle Sezioni unite nei seguenti termini: “Se, in caso di ribaltamento della pronuncia assolutoria di primo grado, il giudice d’appello abbia l’obbligo di rinnovare le dichiarazioni rese dai periti e dai consulenti tecnici, ritenute decisive e valutate difformemente rispetto al giudice di primo grado” (Sez. 2, 41737/2018). Le Sezioni unite, in esito all’udienza del 18 gennaio 2019, hanno affermato il seguente principio di diritto: Il giudice di appello è tenuto a rinnovare l’istruzione dibattimentale procedendo all’esame del perito (o del consulente tecnico) se questi sia stato già esaminato e la sua dichiarazione sia ritenuta decisiva. Allo stato è stata diffusa solo l’informazione provvisoria.

Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa, ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale in forza dei poteri officiosi che gli competono ai sensi dell’art. 603, comma 3, il cui esercizio prescinde da una corrispondente richiesta, in tal senso avanzata dalla parte civile nell’atto di appello, ai sensi dell’art. 581, comma 1, lett. c), trovando, piuttosto, la sua giustificazione in un’assoluta necessità probatoria; con la conseguenza che l’appello che non contenga un’espressa richiesta di rinnovazione dell’istruttoria non è per ciò solo inammissibile (Sez. 5, 12811/2019).

Nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, fondata su una diversa valutazione della concludenza delle dichiarazioni ritenute decisive, l’impossibilità di procedere alla necessaria rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa - ad esempio per irreperibilità, infermità o decesso del soggetto da esaminare - preclude il ribaltamento del giudizio assolutorio ex actis, fermo restando il dovere del giudice di accertare sia la effettiva sussistenza della causa preclusiva alla nuova audizione, sia che la sottrazione all’esame non dipenda né dalla volontà di favorire l’imputato, né da condotte illecite di terzi, essendo in tali casi legittimo fondare il proprio convincimento sulle precedenti dichiarazioni assunte (Sez. 2, 12362/2019).

La rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (SU, 12602/2016).

L’istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all’articolo 603 costituisce un’eccezione alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d’ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (SU, 12602/2016) sussistendo tale evenienza unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, 20095/2013).

Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell’istituto, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 6, 11907/2014).

Si è anche ritenuto che il giudice di legittimità può sindacare la correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento entro l’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire (Sez. 4, 47095/2009) (ricognizione sistematica fatta da Sez. 2, 44243/2018).

Il giudice d’appello ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento quando la richiesta della parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, non esercitato non per inerzia colpevole, ma per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, e quando infine la sua ammissione sia stata irragionevolmente negata dal giudice di primo grado, o quando il giudice di primo grado aveva ritenuto superflue le prove già ammesse in relazione ad una pronuncia di assoluzione ex art. 129 non condivisa dal giudice di appello che ha riformato la sentenza con la condanna dell’imputato, senza previa escussione dei testi della difesa (Sez. 3, 9277/2019).

Alla stregua del chiaro disposto dell’art. 603, commi 1 e 2, l’assunzione di nuove prove in appello è subordinata alla valutazione del giudicante di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, salvo che non si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, nel quale caso il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’art. 495, comma 1. L’accertamento in ordine all’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione “di non essere in grado di decidere allo stato degli atti” è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile nella sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. F, 39618/2018).

La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603, comma 2 è doverosa in caso di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito da richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti; diversamente, nell’ipotesi contemplata dall’art. 603, comma 1 la rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell’ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività (Sez. 2, 41775/2018).

Mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dall’acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta alla base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 2, 41775/2018).

Il rigetto della rinnovazione è censurabile in sede di legittimità qualora si dimostri l’esistenza nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, 1256/2014).

L’esame non assunto in primo grado può essere ammesso in appello solo ove ritenuto necessario sulla base di specifiche esigenze, che è onere della parte instante indicare e documentare (Sez. 2, 37883/2017).

Sono prove nuove sopravvenute quelle che sopraggiungono autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività d’indagine, o che vengono reperite dopo l’espletamento di un’opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento successiva alla decisione. Sono invece prove nuove non sopravvenute quelle già conosciute o conoscibili all’epoca del dibattimento di primo grado (Sez. 3, 47963/2016).

Solo in ipotesi di deduzione, in appello, della violazione dell’art. 495, comma 2, il giudice deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’art. 190 (per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte), mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado, trattandosi di provvedimento incidente sul diritto alla prova contraria, garantito all’imputato dall’art. 495, comma 2, in conformità all’art. 6 § 3, lett. d) della CEDU e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e attualmente anche dall’art. 111, comma 3 Cost. (Sez. 4, 44113/2018).

In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mentre nelle ipotesi di cui ai commi 1 (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove) e 3 (rinnovazione “ex officio”) dell’art. 603 è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta nel caso del comma 3) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell’ipotesi di cui al comma 2 del citato art. 603, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (Sez. 3, 13888/2017).

La disposizione di cui all’art. 603, comma 4, prevede un’ipotesi speciale, in quanto “obbligata”, di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale basata sul presupposto che l’imputato contumace in primo grado, provi in appello la riconducibilità della sua mancata comparizione a caso fortuito o forza maggiore o alla mancata incolpevole conoscenza del decreto di citazioneDetta prova però non può essere desunta dalla circostanza che la notificazione dell’atto sia avvenuta mediante consegna al difensore (nella specie d’ufficio). Pertanto, ove non sussistano gli estremi per invocare il diritto alla prova, ex art. 603, comma 4, la relativa richiesta deve essere considerata una ordinaria richiesta di rinnovazione, soggetta alla valutazione discrezionale del giudice di appello sulla base del criterio della presunzione di completezza dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 6, 39917/2018).

Il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non condiziona il giudice di secondo grado in ordine alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, essendo questi sempre chiamato a valutare in modo autonomo la sussistenza di ipotesi che la rendano necessaria (Sez. 6, 14916/2010).

In senso contrario: L’ imputato condannato in contumacia, che sia stato restituito nel termine per impugnare la sentenza di primo grado per non aver avuto effettiva conoscenza del giudizio a suo carico a causa della mancata conoscenza incolpevole della citazione a giudizio, ha diritto di ottenere in appello la rinnovazione della istruzione dibattimentale, trattandosi dell’unica interpretazione degli artt. 175 e 603 conforme agli artt. 24 e 111 Cost., nonché all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 25 novembre 2008 nel caso Cat Berro c. Italia (Sez. F, 35984/2015 e, più di recente, Sez. 2, 51041/2016).

È infondata la censura di illegittimità del rigetto della richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruttoria in appello con la sentenza impugnata, e non con ordinanza immediatamente pronunciata nel corso del giudizio ai sensi dell’art. 603, comma 5. La lettura di detta norma, la quale prevede che il giudice provveda con ordinanza nel contraddittorio delle parti, rende evidente come la stessa sia riferita ai commi precedenti, tutti relativi all’effettiva disposizione della rinnovazione, e non al caso in cui la richiesta di rinnovazione sia rigettata (Sez. 5, 16102/2017).