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Art. 448 - Provvedimenti del giudice

1. Nell’udienza prevista dall’articolo 447, nell’udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice, se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta prevista dall’articolo 444, comma 1, pronuncia immediatamente sentenza. Nel caso di dissenso da parte del pubblico ministero o di rigetto della richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può rinnovare la richiesta e il giudice, se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza. La richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice. Nello stesso modo il giudice provvede dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione quando ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero o il rigetto della richiesta.

2. In caso di dissenso, il pubblico ministero può proporre appello; negli altri casi la sentenza è inappellabile.

2-bis. Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

3. Quando la sentenza è pronunciata nel giudizio di impugnazione, il giudice decide sull’azione civile a norma dell’articolo 578.

Rassegna giurisprudenziale

Provvedimenti del giudice (art. 448)

In tema di patteggiamento, il giudice, ratificando l'accordo intervenuto tra l'imputato ed il pubblico ministero, non può alterare i contenuti della richiesta e subordinare il beneficio della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165, comma primo, c.p. rimasto del tutto estraneo alla pattuizione, anche quando si tratta di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo (Sez. 3, 44369/2021).

In caso di patteggiamento per violazioni sostanziali alla normativa urbanistica e antisismica, pur in difetto di uno specifico accordo fra le parti, il giudice ha l'obbligo di disporre l'ordine di demolizione delle opere abusive previsto dall'art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di statuizione obbligatoria, priva di contenuto discrezionale, consequenziale alla sentenza di condanna o ad altra alla stessa equiparata, e pertanto sottratta alla disponibilità delle parti (Sez. 3, 44369/2021).

In tema di patteggiamento, il giudice non può alterare il contenuto dell’accordo intervenuto tra le parti, subordinando il beneficio della sospensione condizionale dell’esecuzione della pena all’adempimento di un obbligo rimasto del tutto estraneo alla pattuizione (Sez. 5, 33864/2021).

La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non può contenere statuizioni concernenti l'azione civile di risarcimento, siano esse di quantificazione del danno o di assegnazione di una provvisionale, con la conseguenza che deve ritenersi illegittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile (Sez. 3, 16624/2020).

In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ex art. 448 c. 2 bis c.p.p., l'erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi, in diritto, che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 4, 17152/2020).

In tema di patteggiamento, la doglianza relativa alla mancata motivazione circa la confisca del denaro può essere oggetto di ricorso per cassazione, anche se la sentenza sia stata emessa dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis,  ad opera dell’art. 1, comma 50, della l. 103/2017, in vigore dal 3 agosto 2017, riguardando un aspetto della decisione estraneo all’accordo sull’applicazione della pena (Sez. 5, 17978/2020).

La sentenza con la quale il giudice, ai sensi dell’art. 448, comma 1, ultima parte, applica all’imputato la pena da lui richiesta a seguito di dibattimento celebrato in conseguenza del dissenso del PM, non può prescindere dalla valutazione degli elementi di giudizio propri della cognizione piena, quasi che quel giudizio si sia svolto al solo fine di apprezzare la congruità della pena proposta dall’imputato o la fondatezza delle ragioni del dissenso (Sez. 4, 699/1997).

La sentenza con la quale il giudice, ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, applica, all’esito del dibattimento, la pena richiesta dall’imputato – in quanto fondata su una “piena cognitio” – manifesta connotazioni diverse rispetto a quella pronunciata a norma dell’art. 444, comportando un giudizio di responsabilità, che non è invece implicato dalla sentenza di patteggiamento emessa prima del dibattimento.

Tuttavia, poiché l’imputato ha comunque formulato tempestivamente la sua domanda per la pena concordata e, solo in conseguenza del dissenso del PM, il processo non è stato definito che al termine del dibattimento, tale sentenza va accomunata per il resto a quella emessa a norma dell’art. 444, con la conseguenza che l’imputato ha diritto al trattamento premiale previsto dall’art. 445, comma 1, e quindi anche all’esonero dalle spese processuali, dalle pene accessorie e dalle misure di sicurezza: questa verrà quindi applicata solo nel caso in cui il giudice ritenga, motivatamente, di dover pronunciare una sentenza di condanna (Sez. 1, 37611/2015).

Le sentenze pronunziate dal giudice, ai sensi dell’art. 448, comma 1, dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, quando ritiene ingiustificato il dissenso del PM o il rigetto della richiesta da parte sua o di altro giudice, sono inappellabili (ad esclusione ovviamente dell’appello del pubblico ministero nell’unico caso espressamente previsto). Ciò sul condivisibile rilievo della assoluta identità degli effetti di tutte le sentenze di applicazione della pena che risulta anche dal rinvio implicito dell’art. 448 all’art. 445 ed è confermata espressamente dall’art. 445, comma 1-bis (SU, 36804/2005).

In tema di patteggiamento, se la sentenza dispone una misura di sicurezza, sulla quale non è intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa - che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e una pertinente motivazione che non ripete quella tipica della sentenza di "patteggiamento", ed è inappellabile, alla luce del disposto dell'art. 448, comma 2, - è impugnabile, per coerenza dello sviluppo del ragionamento giuridico non disgiunto da esigenze di tenuta del sistema secondo postulati di unitarietà e completezza, con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex art. 606, comma 1. In caso di applicazione della misura di sicurezza personale dell' espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista dall'art. 86, primo comma, DPR 309/1990 per i reati ivi indicati, il giudice di merito deve quindi effettuare, anche con la sentenza di "patteggiamento", in virtù della statuizione contenuta nella sentenza n. 58 del 1995 della Corte costituzionale, un previo e motivato accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale dello straniero (Sez. 3, 30289/2021).

Il PM che dissente dalla richiesta di applicazione della pena apre le porte ad un processo il cui esito non è scontato, né vincolato, quanto ai criteri di giudizio sulla colpevolezza, alla iniziale richiesta dell’imputato, il quale non può essere pregiudicato da una scelta processuale che non gli appartiene e che tuttavia potrebbe risolversi a suo favore. Il processo ormai è lì, è un fatto storicamente avvenuto, che impone al giudice di misurarsi con le prove raccolte e con la presunzione di innocenza dell’imputato facendo ricorso a tutta la pienezza della sua “cognitio”, non più limitata alla ratifica di un negozio processuale. Non si tratta più ormai di stabilire se sussiste l’evidente innocenza dell’imputato; si tratta di stabilire solo se egli è innocente. Se lo è (o se comunque ne sussiste il ragionevole dubbio) venga assolto; altrimenti sia condannato alla pena da lui inizialmente richiesta, se ritenuta congrua, o a quella ritenuta diversamente tale dal giudice (Sez. 3, 7951/2017).

A seguito delle modifiche apportate al codice di rito dalla L. 103/2017, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti è ammesso ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, alla erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza, nessuno dei quali dedotto dal ricorrente; al di fuori dei predetti casi, la Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso con procedura semplificata e non partecipata in base al combinato disposto dello stesso art. 448, comma 2-bis e dell’art. 610, comma 5-bis seconda parte, previsione che si colloca in rapporto di specialità rispetto a quella di cui alla prima parte dell’art. 610, comma 5-bis che dispone, invece, la trattazione in forma partecipata dei ricorsi che investono la motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 6, 37269/2018).

Alla luce di quanto statuito dall'articolo 448 co. 2 bis, il vizio nella espressione del consenso dell’imputato alla soluzione concordata non si identifica con le ragioni che hanno indotto il ricorrente a concordare sull'applicazione della pena non assurgendo, le motivazioni personali, a fattori capaci di invalidare la prestazione della volontà (Sez. 1, 35620/2021).

A seguito della introduzione della previsione di cui all’art. 448 comma 2 bis, è ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione contro la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell'accordo delle parti (fattispecie nella quale la Corte, in applicazione del menzionato principio di diritto, enunciato dalle sezioni unite con la sentenza 21368/2019, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla misura della libertà vigilata, non facente parte dell’accordo intercorso tra le parti, disponendo la trasmissione degli atti al tribunale competente per il giudizio sul punto) (Sez. 2, 11170/2021).

A seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 448, comma 2-bis, è ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione avverso la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti (SU, 21368/2020).

A seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 448, comma 2-bis, è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione di pena avente ad oggetto l’applicazione o l’omessa applicazione di sanzioni aministrative accessorie ai sensi dell’art. 606 (SU, 21369/2020).

In tema di patteggiamento, anche dopo l'introduzione dell'art. 448, comma 2-bis, ad opera dell'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, è ammissibile il ricorso per cassazione avente ad oggetto la mancata, o meramente apparente, motivazione circa l'applicazione della confisca, essendo la stessa un'ipotesi di illegalità della misura di sicurezza, rilevante come violazione di legge ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Sez. 3, 19668/2022).

Avverso la sentenza che applichi la pena nella misura patteggiata tra le parti, non è ammissibile proporre motivi concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegaleLa richiesta di applicazione della pena e l’adesione alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice che ne ha accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, sicché la parte che vi ha dato origine, o vi ha aderito e che ha così rinunciato a far valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in sede di ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della pena, in contrasto con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali sono addivenute (Sez. 6, 35288/2018).

È inammissibile, e va dichiarato de plano, il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di patteggiamento, con il quale si deduca l’omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 (Sez. 2, 4727/2018).

L’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato. Resta, pertanto, preclusa ogni successiva doglianza al riguardo (Sez. 7, 36698/2018).

L’art. 448, comma 2-bis, come introdotto dall’art. 1, comma 50 della L. 103/2017, osta al ricorso per cassazione da parte del PM avverso la sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell’art. 86 del DPR 309/1990, non potendosi equiparare, ai fini della proponibilità della impugnazione, la illegalità della misura di sicurezza alla violazione dell’obbligo di statuire riguardo ad essa. Ciò non significa che debbano ritenersi esauriti i rimedi all’omissione da parte del giudice del “patteggiamento” riguardante la statuizione sulla misura di sicurezza personale, posto che in tal caso il PM potrà adire il magistrato di sorveglianza – funzionalmente competente in materia di misure di prevenzione personali – che, svolto l’accertamento sulla pericolosità del condannato, adotterà i provvedimenti conseguenti (Sez. 6, 13833/2019).

È ammissibile, ai sensi dell'art. 606, il ricorso per cassazione avverso una sentenza di applicazione concordata della pena, con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell'accordo tra le parti (SU, informazione provvisoria in esito all'udienza camerale del 26 settembre 2019).

L’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129).

In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 129 deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citataNel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a valutare se sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le stesse preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi. Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129, senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio (Sez. 7, 36678/2018).

In tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b); nondimeno, l’errore sul nomen iuris deve essere manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne ammette la deducibilità nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le  volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (SU, 5838/2014).

L’inammissibilità dell’impugnazione della sentenza che applica la pena su richiesta non viene meno per la sua eventuale provenienza dal PG, il quale - pur non essendo partecipe dell’accordo ed essendo titolare, a mente dell’art. 570, di un autonomo potere di impugnazione - non può far valere per il solo PM una sorta di “ripensamento”, che non è consentito all’imputato e non può essere oggetto di discriminazione tra le parti del negozio processuale (Sez. 6, 28427/2013).

L’ordinanza del GIP che rigetti la richiesta di applicazione della pena, ex art. 444, essendo un provvedimento non definitivo (in quanto la richiesta può essere riproposta e la pena concordata può essere applicata anche nel giudizio ordinario), è ricorribile per cassazione solo congiuntamente alla sentenza che definisce il giudizio (Sez. 7, 10329/2017).

È configurabile l’interesse dell’imputato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento emessa “de plano”, anziché previa fissazione di udienza, anche nel caso di applicazione della pena nei termini esattamente indicati dalle parti, solo qualora quest’ultimo rappresenti uno specifico interesse al contraddittorio davanti al giudice di merito al fine di argomentare le proprie richieste di proscioglimento ai sensi dell’art. 129Interesse che non può identificarsi con quello a richiedere l’applicazione dell’art. 131-bis Cod. pen., il quale configura una causa di non punibilità e non di estinzione del reato ed è dunque estraneo all’ambito di operatività del citato art. 129 del codice di rito. Men che meno tale interesse può essere individuato nell’astratta possibilità di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, istituto incompatibile con la scelta del rito alternativo, come si desume agevolmente dal secondo comma dell’art. 464-bis (Sez. 7, 7346/2018).