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Art. 125 - Forme dei provvedimenti del giudice

1. La legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza, dell’ordinanza o del decreto.

2. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano.

3. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità. I decreti sono motivati, a pena di nullità, nei casi in cui la motivazione è espressamente prescritta dalla legge.

4. Il giudice delibera in camera di consiglio senza la presenza dell’ausiliario designato ad assisterlo e delle parti. La deliberazione è segreta.

5. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l’indicazione del dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato presso la cancelleria dell’ufficio.

6. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati senza l’osservanza di particolari formalità e, quando non è stabilito altrimenti, anche oralmente.

Rassegna giurisprudenziale

Forme dei provvedimenti del giudice (art. 125)

La sentenza mancante di una delle pagine che la compongono è nulla, per difetto di motivazione, quando, a fronte di detta incompletezza materiale, la motivazione non sia idonea a rendere conto dell’iter della decisione (Sez. 4, 16826/2022).

Il vizio di abnormità degli atti processuali ricorre nelle ipotesi in cui l’atto adottato dal PM sia in grado di assumere carattere decisorio e si caratterizzi per l’ingerenza nell’ambito delle attribuzioni del giudice (Fattispecie nella quale il PM, dopo la conclusione delle indagini, aveva emesso un provvedimento sulla richiesta di restituzione di un bene ancora sottoposto a sequestro probatorio, correttamente presentata dalla parte al giudice competente per il dibattimento il quale, ritenendo di non poter decidere in assenza della materiale disponibilità degli atti del fascicolo processuale, non ancora trasmesso, inviava la richiesta al PM. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha disposto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, disponendo la trasmissione degli atti al giudice competente per l’ulteriore corso) (Sez. 2, 38122/2021).

Il contenuto decisorio di una ordinanza è espresso dal provvedimento nella sua integralità, così che eventuali anomalie riscontrabili nel dispositivo ovvero incoerenze tra dispositivo e motivazione possono essere risolte attraverso la considerazione anche della motivazione, che può così evidenziare la non conformità del dispositivo, per errore materiale, rispetto al contenuto della decisione assunta e quindi giustificare la correzione dell'errore materiale (Sez. 1, 37324/2021).

Ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 111, comma 6, Cost. e 125 comma 3, l’apparato giustificativo costituisce l’essenza indefettibile del provvedimento giurisdizionale (Sez. 5, 32683/2018).

Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. L’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo. In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 3, 23206/2018).

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato - va ricordato - non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata (Sez. 4, 35688/2018).

Ricorre il vizio della mancanza, della contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 5, 32667/2018).

L’indicazione non dei contenuti esplicativi della sentenza appellata, ma delle sole fonti di prova utilizzate nella stessa, rende necessario basarsi esclusivamente sulla lettura della decisione di primo grado per la valutazione delle questioni poste con l’appello; e tanto non consente di stabilire, neppure in forma parziale o implicita, il minimale rapporto dialettico fra i motivi di appello e la sentenza di secondo grado, occorrente perché quest’ultima possa dirsi motivata sinergicamente con il contributo argomentativo dei giudici di primo grado (Sez. 5, 33861/2018).

Non è violato il diritto all’equo processo sotto il profilo della adeguatezza della motivazione dei provvedimenti nel caso in cui il giudice di ultimo grado decida di non procedere a un rinvio pregiudiziale d’interpretazione alla CGUE, richiamando nell’ordinanza unicamente le norme rilevanti, senza una motivazione dettagliata, qualora non si pongano importanti questioni giuridiche (Corte EDU, Sez. 3, Ilkay Baydar c. Olanda, decisione del 24 aprile 2018).

L’articolo 6 § 1 CEDU obbliga le giurisdizioni interne a motivare le decisioni con le quali rigettano l’istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE, specialmente quando la legge consente tale rifiuto solo in via d’eccezione (Corte EDU, Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio, decisione del 20 settembre 2011).

L’obbligo di rinvio pregiudiziale alla CGUE non è assoluto, in quanto le giurisdizioni nazionali non sono tenute a rinviare quando constatano che la questione non è rilevante o che la disposizione comunitaria pertinente è già stata oggetto di interpretazione da parte della CGUE o, infine, quando l’applicazione corretta del diritto comunitario è così evidente da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio (CGUE, sentenza S.r.l. CILFIT e Lanificio di Gavardo S.p.a. c. Ministero della Salute (C-283/81); CGUE, sentenza György Katz c. István Roland Sós (C-404/07); CGUE, sentenza VB Pénzügyi Lízing Zrt. c. Ference Schneider (C-137/08); CGUE, sentenza Lucio Cesare Aquino c. Belgische Staat (C-3/16)).

In presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va pacificamente ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 2, 46974/2016).

In tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (Sez. 3, 11456/2019).

La questione relativa alla riforma della sentenza assolutoria, in assenza di elementi ulteriori e sopravvenuti, è stata notoriamente risolta dalle Sezioni Unite con la nota sentenza Dasgupta, che ha definitivamente imposto, per l’ipotesi di riforma della sentenza di assoluzione, il superamento della semplice motivazione rafforzata, in relazione alle prove dichiarative, chiarendo che “La previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d) CEDU, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del PM avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado” (SU, 27620/2016).

In tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la necessità di una “autonoma valutazione” delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all’art. 292, comma 1, lett. c), dalla L. 47/2015, impone al giudice di esplicitare le valutazioni sottese all’adozione della misura, mentre gli elementi fattuali possono essere trascritti così come indicati nella richiesta del PM e senza alcuna aggiunta, costituendo il dato oggettivo posto alla base della richiesta. Non vi sono schemi rigidi l’osservanza dei quali consente di ritenere soddisfatto il requisito dell’autonoma valutazione, essendo il giudice libero di adottare le formule più opportune a giustificare la decisione (Sez. 6, 36061/2018).

In tema di motivazione dei provvedimenti cautelari reali la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), è osservata anche quando il giudice ripercorra, motivando “per relationem”, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del PM, purché dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui egli li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura (Sez. 2, 35659/2018).

Avverso le ordinanze emesse nella procedura di riesame delle misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 325, soltanto per violazione di legge; è preclusa ogni censura relativa ai vizi della motivazione, salvi i casi della motivazione assolutamente mancante  che si risolve in una violazione di legge per la mancata osservanza dell’obbligo stabilito dall’art. 125  e della motivazione apparente, tale cioè da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi, inidonei, a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può essere dedotto il vizio della illogicità manifesta della motivazione, che può essere denunciato, in sede di legittimità, soltanto mediante lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) (Sez. 3, 34164/2018).

L’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (cioè la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena, ove la richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi, ossia che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 (Sez. 4, 29201/2018).

Il rigetto della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita, ritenendo corretto anche derivarlo dalla disamina della personalità dell’imputato, emergente dalla dettagliata descrizione delle condotte criminose dallo stesso tenute, dalla gravità dei fatti (Sez. 7, 36569/2018).

La verifica che il giudice dell’esecuzione è tenuto a compiere in presenza di un’istanza volta a ottenere il riconoscimento della continuazione in executivis deve prendere in considerazione tutti quegli elementi esteriori che possono risultare significativi al fine di individuare i tratti dell’iniziale disegno criminoso (Sez. 1, 37366/2018).

In tema di misure di prevenzione, i poteri della Corte di Cassazione sono limitati al solo vizio di violazione di legge, rimanendo esclusa la deducibilità dei vizi della motivazione: a meno che non sia denunciato il difetto assoluto dell’apparato giustificativo ovvero la sua natura meramente apparente, è sindacabile la sola mancanza del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere il percorso logico seguito dal giudice. In tali casi, infatti, non è la congruità logica delle singole affermazioni probatorie ad essere valutata, quanto la mancata osservanza del generale obbligo di motivazione, imposto dall’art. 125, comma 3. Va, inoltre, precisato che la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento ricorre anche quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, 33477/2018).