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Art. 371 - Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero

1. Gli uffici diversi del pubblico ministero che procedono a indagini collegate, si coordinano tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime. A tali fini provvedono allo scambio di atti e di informazioni nonché alla comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria. Possono altresì procedere, congiuntamente, al compimento di specifici atti.

2. Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate:

a) se i procedimenti sono connessi a norma dell’articolo 12;

b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza;

c) se la prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte.

3. Salvo quanto disposto dall’articolo 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza.

Rassegna giurisprudenziale

Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero (art. 371)

L’incompatibilità a testimoniare in capo a coloro che ricoprono contestualmente la veste di imputati e persone offese di reati reciproci, non sussiste in relazione a quei reati che, seppur formalmente tali - nel senso, cioè, di essere stati commessi “da più persone in danno reciproco le une delle altre”, così come recita l’art. 371 comma 2 lett. b) - siano tuttavia stati consumati in contesti spaziali e temporali del tutto distinti ed estranei e perciò non riconducibili alla previsione della disposizione codicistica testé citata. Invero, se così non fosse, si lascerebbe spazio alla possibilità di denunce strumentalmente finalizzate a creare situazioni di incompatibilità a testimoniare, così venendo inammissibilmente ad incidere sul corretto esercizio della giurisdizione penale, laddove la negazione ai soggetti che versano nella descritta situazione di “reciprocità” della piena capacità di testimoniare deve ritenersi costituzionalmente legittima unicamente se il presupposto dell’incompatibilità sia ancorato ad un elemento oggettivo, come tale non soggettivamente determinabile a piacimento: dunque, soltanto se i reati siano stati commessi reciprocamente nel medesimo contesto causale, di spazio e tempo, dovendosi per l’effetto escludere, nel solco di una interpretazione costituzionalmente orientata, le ipotesi il cui il vincolo della reciprocità sia determinato dal comportamento di uno dei soggetti coinvolti (Fattispecie nella quale l’imputata veniva assolta dai reati di tentata estorsione e molestie per l’asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni della parte civile, indagata per i reati di stalking e violenza privata commessi in anni precedenti. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello) (Sez. 2, 23778/2021).

Gli accordi” o “protocolli” operativi intercorsi tra più uffici di Procura, non espressamente previsti dal legislatore, possono costituire una forma di coordinamento investigativo tra più uffici del PM, a norma dell’art. 371, allo scopo di assicurare un più efficace svolgimento delle indagini, ed anche, eventualmente, di prevenire e risolvere consensualmente «contrasti», ma non assumono alcun significato ai fini della rilevabilità della “incompetenza” di una Procura della Repubblica, o della validità degli atti compiuti dalla stessa. In questo senso depongono una pluralità di indici normativi. Non solo la disciplina sui contrasti tra PM o sulla richiesta di trasmissione degli atti a un diverso PM formulata da indagati, persone offese e loro difensori (artt. 54, 54-bis, 54-ter e 54-quater) non opera alcun riferimento al coordinamento investigativo come criterio rilevante per l’individuazione, in via autoritativa, dell’ufficio cui spetta di procedere. Soprattutto, la conseguenza procedimentale espressamente prevista per l’ipotesi in cui non risulta effettivo il coordinamento delle indagini, e sempre che le investigazioni si riferiscano alle specifiche fattispecie di reato indicate dal legislatore, è quella della avocazione, istituto la cui operatività è rimessa alle esclusive determinazioni del PG presso la corte d’appello, a norma dell’art. 372, comma 1-bis (o, nei casi di cui all’art. 371- bis, del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo), rispetto al quale resta del tutto estraneo il giudice, e che, di per sé, non incide sulla validità ed efficacia degli atti già compiuti (Sez. 6, 9989/2018).

Il rapporto di connessione probatoria di cui all’art. 371, comma secondo, lett. b) è ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in relazione ad una molteplicità di illeciti penali e non quando semplicemente la prova dei reati connessi discenda dalla medesima fonte (Sez. 5, 10445/2011).