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Art. 697 - Estradizione e poteri del Ministro della giustizia

1. Salvo che sia diversamente stabilito, la consegna a uno Stato estero di una persona per l’esecuzione di una sentenza straniera di condanna a pena detentiva o di altro provvedimento restrittivo della libertà personale può aver luogo soltanto mediante estradizione.

1-bis. Il Ministro della giustizia non dà corso alla domanda di estradizione quando questa può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.

1-ter. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis, quando un accordo internazionale prevede il potere di rifiutare l’estradizione di un cittadino senza regolarne l’esercizio, il Ministro della giustizia rifiuta l’estradizione tenendo conto della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell’interessato.

1-quater. Il Ministro della giustizia concede l’estradizione della persona che ha prestato il consenso a norma dell’articolo 701, comma 2, sempre che non sussistano le ragioni ostative di cui all’articolo 705, comma 2.

1-quinquies. La decisione di non dare corso alla domanda di estradizione è comunicata dal Ministro della giustizia allo Stato estero e all’autorità giudiziaria.

2. Nel concorso di più domande di estradizione, il Ministro della giustizia ne stabilisce l’ordine di precedenza. A tal fine egli tiene conto di tutte le circostanze del caso e in particolare della data di ricezione delle domande, della gravità e del luogo di commissione del reato o dei reati, della nazionalità e della residenza della persona richiesta e della possibilità di una riestradizione dallo Stato richiedente a un altro Stato.

Rassegna giurisprudenziale

Estradizione e poteri del Ministro della Giustizia (art. 697)

Come hanno efficacemente spiegato sia la Corte del Lussemburgo (CGUE, Grande Sezione, sentenza del 3 maggio 2007, C-303/05) sia la Corte di Strasburgo (Corte EDU, decisione del  6/06/1976, X c. Paesi Bassi;  Corte EDU, decisione del 6/03/1991, Polley c. Belgio, Corte EDU, decisione del 18/01/1996, Bakhtiar c. Svizzera), la collaborazione giudiziaria rispettivamente nella forma tanto del MAE quanto dell’estradizione si pone al di fuori del perimento del principio di legalità di cui all’art. 7 della CEDU, in quanto l’arresto e la consegna, azioni in cui si traduce l’esecuzione di tali procedure, non hanno carattere “punitivo”.

Il giudice incaricato di dar corso alla collaborazione giudiziaria deve infatti verificare che sussistano tutti gli elementi necessari al fine di consegnare una persona che si trova nell’ambito della sua giurisdizione, senza addentrarsi nel merito del procedimento penale, tranne che agli effetti della procedura stessa, astenendosi dal valutare le prove e dal pronunciare un qualsiasi giudizio di colpevolezza (Sez. 6, 14941/2018).

Ai fini dell’estradizione verso gli Stati Uniti d’America, l’AG italiana non è tenuta a valutare autonomamente la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma deve soltanto accertare che nella relazione sommaria dei fatti, allegata alla domanda di estradizione, a norma dell’art. X, par. 3, lett. b) , del Trattato bilaterale del 13 ottobre 1983, risultino evocate le ragioni per le quali appare probabile, nella prospettiva processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato oggetto dell’estradizione (Sez. 6, 42777/2014).

Il principio di doppia incriminazione, in base al quale è necessario che il fatto per cui si domanda l’estradizione costituisca un illecito penale tanto nello Stato richiedente quanto nello Stato richiesto, non comporta che tale fatto, oltre che previsto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera, risulti punibile “in concreto” in entrambi gli Stati, perché la norma di cui all’art. 13, comma 2, Cod. pen. impone soltanto la garanzia del controllo di “compatibilità” dei due ordinamenti statali.

Quindi ai fini della doppia incriminabilità rileva soltanto che la condotta come descritta nella domanda estradizionale costituisca una fattispecie di reato secondo l’ordinamento italiano (Sez. 14941/2018).

Eventuali prove di innocenza, non conosciute dall’AG dello Stato richiedente e sottoposte per la prima volta alla cognizione del giudice italiano, sono rilevanti purché risultino manifeste ed incontrovertibili (Sez. 6, 16287/2011).

L’emissione di una sentenza favorevole all’estradizione per l’estero non è esclusa dalla possibilità che all’estradando venga irrogata una pena detentiva a vita, purché l’ordinamento dello Stato richiesto preveda istituti che consentano di pervenire, in sede giudiziaria o amministrativa, ad una liberazione anticipata o ad una commutazione della pena, ove ricorrano ragioni umanitarie o progressi del condannato nel percorso rieducativo (Sez. 6, 5747/2014).

La Corte EDU, relativamente all’estradizione richiesta alla Spagna dagli Stati Uniti d’America di una imputata per un reato per il quale era prevista la pena massima della reclusione a vita, ha ritenuto insussistente la dedotta violazione dell’art. 3 CEDU, in quanto, a fronte dell’astratta possibilità della irrogazione di una siffatta pena, andava considerato che il sistema statunitense, attraverso le “U.S. Federal Sentencing Guidelines”, determina come in concreto per ogni reato debba essere applicata la pena.

Determinazione che, come rilevato dalla stessa Corte EDU, risulta tutt’altro che non vincolante, posto che costituisce motivo di impugnazione la violazione nel sentencing delle suddette linee-guida. Orbene, la Corte EDU ha escluso la concretezza del rischio di un trattamento in violazione dell’art. 3 CEDU, sul rilievo che la ricorrente non aveva dimostrato che, sulla base delle Linee-Guida, la prospettiva della pena a vita non fosse soltanto teorica (Corte EDU, López Elorza c. Spagna del 12/12/2017).

I medesimi principi sono stati affermati in altre pronunce della stessa Corte EDU (sempre con riferimento ad estradizioni processuali richieste dagli Stati Uniti nelle quali era stata prospettata la possibilità dell’inflizione della pena a vita.

In tali casi, la Corte EDU ha rimarcato l’esistenza nel sistema statunitense, oltre alle circostanze di mitigazione e di aggravamento della pena di cui si è detto, anche di “pre-trial factors”, quali gli accordi di cooperazione con il governo che possono comportare una riduzione della pena, e di benefici premiali successivi alla condanna, che possono determinare la riduzione e la commutazione della pena se il condannato fornisce collaborazione con la giustizia (Corte EDU, sentenza Calovskis c. Lettonia, 24/07/2014; Corte EDU, decisione Findikoglu c. Germania del 7/06/2016).

Ancorché l’ordinamento giudiziario statunitense ignori gli istituti del cumulo giuridico e del cumulo materiale temperato delle pene, tale regime di per sé non determina una violazione dell’art. 3 CEDU. In tal senso si è pronunciata la Corte EDU, in un caso relativo ad un’estradizione concessa dall’Italia agli Stati Uniti d’America (Corte EDU, Schuchter c. ITALIA, 11/10/2011), in quanto, anche a fronte del possibile ricorso del giudice di tale Stato ad un calcolo della pena in forma sequenziale, si sarebbe in presenza di una pena molto lunga, equivalente in pratica ad una reclusione a vita, di per sé non vietata dalla CEDU.

La Corte EDU ha inoltre affermato, sempre con riferimento alle modalità di calcolo della pena nell’ordinamento statunitense, che i sistemi penali variano notevolmente tra Stati e che spesso esistono differenze legittime e ragionevoli in merito alla durata delle condanne inflitte anche per reati simili (Corte EDU, sentenza Calovskis c. Lettonia, 24/07/2014, § 141), derivanti dalle grandi differenze nelle condizioni civili, politiche, economiche, sociali e culturali nei paesi di tutto il mondo, che hanno determinato la costruzione dei sistemi di giustizia penale su principi e approcci diversi.

In linea di principio, gli Stati sovrani decidono il modo migliore per affrontare i problemi che sorgono nei rispettivi territori, sempre a condizione che le risposte rimangano nella gamma di approcci ritenuti accettabili dagli Stati democratici. Le soluzioni applicate in uno Stato potrebbero non essere adatte ad un altro, con la conseguenza che una sentenza non può essere considerata sproporzionata semplicemente perché è più severa della condanna che verrebbe imposta in un altro Stato (Sez. 6, 14913/2018).

Non può divenire causa ostativa ad una pronuncia favorevole alla estradizione l’entità della pena prevista nell’ordinamento dello Stato richiedente per il reato oggetto di consegna, perché il regime sanzionatorio è riservato – fatta eccezione per il solo caso in cui sia prevista la pena capitale – alle diverse e autonome valutazioni dei due ordinamenti, reciprocamente insindacabili e irrilevanti ai fini dell’estradizione, salvo che vi sia motivo di ritenere che l’estradando possa essere sottoposto ad atti, pene o trattamenti indicati dall’art. 698, comma 1 (Sez. 6, 15927/2013).

Nei rapporti di estradizione regolati dalla relativa convenzione europea, l’avvenuta prescrizione della pena, che appunto costituisce causa ostativa all’accoglimento della richiesta di estradizione, deve essere accertata in virtù della clausola del trattamento di miglior favore nei confronti dell’imputato tra le legislazioni nazionali a confronto (Sez. 2, 37895/2010).

Non è consentito rifiutare l’esecuzione del MAE emesso dall’AG di uno Stato membro che ha notificato la propria intenzione di recedere dall’UE (nella specie Regno Unito).

Il diritto dello Stato emittente di ottenere l’esecuzione, sulla base dei principi della fiducia e del reciproco riconoscimento, cessa solo al momento del suo effettivo recesso dall’Unione. Resta in ogni caso intatta la facoltà dello Stato destinatario della richiesta di esecuzione di rifiutarla ove ricorrano le ragioni legittimanti (nel caso di specie la possibilità che l’estradando sia sottoposto a trattamenti disumani o degradanti) (CGUE, Sez. 1, 19 settembre 2018, C-327/18 PPU-RO).