x

x

Art. 201 - Segreto di ufficio

1. Salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria, i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti.

2. Si applicano le disposizioni dell’articolo 200 commi 2 e 3.

Rassegna giurisprudenziale

Segreto d’ufficio (art. 201)

Premessa esplicativa

Il segreto d’ufficio consiste nell’obbligo, posto a carico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di non rivelare fatti, notizie e informazioni che abbiano conosciute in conseguenza dell’esercizio delle loro funzioni. Quest’obbligo è tutelato penalmente dalla previsione contenuta nell’art. 326 Cod. pen. che punisce la rivelazione e l’utilizzazione dei segreti d’ufficio. Si richiamano per il resto le argomentazioni esposte a proposito del segreto professionale.

L’art. 256, comma 1 prevede che coloro i quali possono far valere il segreto professionale o di ufficio a norma degli artt. 200 e 201 hanno l’obbligo di «consegnare immediatamente» all’AG gli atti, documenti, informazioni e programmi informatici dalla stessa richiesti, «salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione».

La disposizione, quindi, da un punto di vista letterale, non fa alcun cenno all’obbligo dell’autorità procedente di informare i soggetti indicati dagli artt. 200 e 201 della facoltà di avvalersi del segreto professionale o di ufficio, ma si limita a prevedere che dette persone possono avvalersi di tale prerogativa.

La medesima statuizione, inoltre, pone un vincolo procedimentale per l’opposizione del segreto, chiedendo una dichiarazione «per iscritto», del tutto inusuale per l’esercizio di una facoltà di cui debba darsi formale avviso all’interessato.

Sembra perciò ragionevole ritenere che l’esecuzione di una perquisizione e sequestro nei confronti di una delle persone indicate dagli artt. 200 e 201, non debba essere preceduta dall’avvertimento della facoltà di opporre il segreto professionale o di ufficio, e possa perciò essere eseguita nelle forme ordinarie, senza ulteriori limitazioni, fino alla opposizione «per iscritto» del limite.

Né tale conclusione può trovare diversa soluzione in relazione al giornalista professionista rispetto agli altri titolari di segreto professionale o di ufficio: l’art. 256, comma 1, prevede l’applicabilità della disciplina da esso delineata con riferimento a tutte le «persone indicate negli artt. 200 e 201», senza operare alcun distinguo; i giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale, in quanto espressamente citati dall’art. 200, rientrano senza dubbio tra quelle «persone».

Nel senso della non necessità del preventivo avvertimento da parte dell’autorità che procede si è già più volte orientata la giurisprudenza con riferimento al segreto di Stato e al segreto professionale in generale.

Secondo diverse decisioni, infatti, in assenza di formale opposizione del segreto d’ufficio o professionale alla richiesta di esibizione di documentazione ai sensi dell’art. 256, comma 1, nulla impedisce all’AG procedente di emanare un normale decreto di sequestro della documentazione in questione sulla base della norma generale di cui all’art. 253, comma 1, e non dell’art. 256, comma 2, la cui operatività è espressamente fondata nel presupposto cui vi sia stata una formale opposizione del segreto, della cui fondatezza l’AG procedente abbia motivo di dubitare.

Del resto, anche con riferimento all’assunzione di una testimonianza, si ritiene che l’eventuale esistenza del segreto professionale in ordine a quanto conosciuto dal testimone per ragione del proprio ministero, ufficio o professione non può essere rilevata direttamente dal giudice, ma deve essere eccepita dallo stesso soggetto chiamato a deporre, nell’ipotesi in cui egli venga a trovarsi in una delle situazioni individuate dall’art. 200 (Sez. 6, 9989/2018).