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Art. 491 - Questioni preliminari

1. Le questioni concernenti la competenza per territorio o per connessione, le nullità indicate nell’articolo 181 commi 2 e 3, la costituzione di parte civile, la citazione o l’intervento del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e l’intervento degli enti e delle associazioni previsti dall’articolo 91 sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente.

2. La disposizione del comma 1 si applica anche alle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento e la riunione o la separazione dei giudizi, salvo che la possibilità di proporle sorga soltanto nel corso del dibattimento.

3. Le questioni preliminari sono discusse dal pubblico ministero e da un difensore per ogni parte privata. La discussione deve essere contenuta nei limiti di tempo strettamente necessari alla illustrazione delle questioni. Non sono ammesse repliche.

4. Il giudice provvede in merito agli atti che devono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento ovvero eliminati da esso.

5. Sulle questioni preliminari il giudice decide con ordinanza.

Rassegna giurisprudenziale

Questioni preliminari (art. 491)

La nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, poiché implica una lesione del diritto di difesa, è inquadrabile tra le nullità "generali a regime intermedio" e può essere pertanto eccepita anche oltre il termine di cui all'art. 491 c.p.p., ovvero fino alla deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 3, 44363/2021).

La norma di cui all’art. 491, la quale prescrive che sulle questioni preliminari il giudice decide immediatamente con ordinanza, non è sanzionata da nullità, cosicché ove il giudice del dibattimento decida la questione preliminare insieme al merito, l’imputato non può dolersene, oltre tutto perché nessun danno deriva alla sua posizione e perché comunque nel sistema della legge l’ordinanza che risolve questioni preliminari è impugnabile solo con la sentenza che definisce il dibattimento (Sez. 4, 10375/2018).

La giurisprudenza di legittimità, in relazione al disposto di cui all’art. 491, comma 1, ha da tempo chiarito che la norma stabilisce che le questioni concernenti la competenza territoriale sono precluse se non siano state proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento relativo alla costituzione delle parti (Sez. 4, 36021/2018).

L’eccezione di incompetenza territoriale, ritualmente prospettata dalle parti nel termine di cui all’art. 491, comma 1 e respinta dal giudice, può essere riproposta con i motivi di impugnazione senza però introdurre argomentazioni ulteriori e diverse da quelle originarie; ne consegue che, in sede di legittimità, sono insindacabili gli aspetti relativi alla competenza territoriale non ritualmente sottoposti dalla parte entro i termini dell’art. 491, neanche se questi siano collegati a sopravvenienze istruttorie e potrebbero giustificare, in astratto, uno spostamento della competenza, in ossequio al principio della perpetuatio iurisdictionis (Sez. 2, 4876/2017).

Per effetto del principio della perpetuatio iurisdictionis, la competenza va determinata con criterio ex ante, sulla scorta degli elementi disponibili al momento delle cadenze normativamente prefissate per la proponibilità dell’eccezione, sicché non hanno rilievo né eventi processuali, né acquisizioni di elementi di conoscenza in epoca successiva alla consumazione dei limiti temporali per dedurre la stessa.

Né questa disciplina, che limita la rilevabilità delle questioni di competenza per territorio, si pone in contrasto con la garanzia del giudice naturale, poiché costituisce enunciato più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale quello secondo cui il legislatore è arbitro, nella sua discrezionalità, di limitare la rilevanza del criterio di ripartizione della giurisdizione a vantaggio dell’ordine e speditezza del processo, senza che a causa di ciò sia intaccato il principio della naturalità precostituita del giudice (Sez. 6, 49538/2016).

L’incompetenza del tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’art. 491 comma 1, come richiamato dall’art. 23 comma 2; né, a tal fine, rileva il disposto di cui all’art. 48 del D.Lgs. 274/2000, il quale non deroga al regime della non rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza per materia del tribunale a favore del giudice di pace, limitandosi a stabilire che il giudice, qualora debba dichiarare l’incompetenza per materia a favore del giudice di pace, la dichiara con sentenza e trasmettendo gli atti al PM e non direttamente al giudice di pace (Sez. 7, 38195/2018).

Sebbene l’art. 48 del D. Lgs. 274/2000 affermi che la competenza del giudice di pace debba essere dichiarata in ogni stato e grado del processo, bisogna ugualmente ritenere che questa norma deroghi alla regola generale della rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza per materia sicché la relativa questione deve essere eccepita entro il termine stabilito dall’art. 491 comma 1 (Sez. 5, 4673/2017).

La speciale competenza stabilita dall’art. 11, comma 3 per i procedimenti connessi a quello riguardante magistrati ha natura di competenza per territorio ed è, pertanto, rilevabile, ai sensi dell’art. 21 comma 2, prima della conclusione della udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1 (Sez. 5, 33146/2018).

Nel procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza, mancando l’udienza preliminare, le eventuali questioni di competenza vanno proposte, a pena di decadenza, solo in apertura di udienza; ciò in applicazione della norma di carattere generale dettata dall’art. 21, comma 2, secondo cui l’incompetenza per territorio è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1 (Sez. 1, 16545/2018).

La nullità derivante dal mancato rispetto dei termini deve essere qualificata come relativa, con la conseguenza che la stessa deve essere eccepita ai sensi dell’art. 491 dopo la costituzione delle parti nel giudizio di primo grado (Sez. 6, 46789/2017).

In senso contrario: la nullità derivante dal mancato rispetto dei termini deve considerarsi di ordine generale di tipo intermedio (Sez. 5, 16732/2018).

Ogni eccezione relativa al mancato rispetto del termine a comparire deve essere sollevata, trattandosi di nullità generale a carattere intermedio, nella fase prevista dall’art. 491, subito dopo il compimento per la prima volta delle formalità di accertamento della costituzione delle parti (Sez. 7, 36600/2018).

La giurisprudenza di legittimità è divisa sulla natura della nullità del decreto di citazione a giudizio prevista dall’art. 552, comma 3, perché non preceduto dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari ovvero per mancanza dell’invito all’indagato a presentarsi a rendere l’interrogatorio richiesto nel termine di cui all’art. 415-bis, comma 3.

Secondo un primo orientamento, trattasi di nullità relativa che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491, subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 5, 34515/2014). Secondo altro orientamento, oggi maggioritario, l’inosservanza è riconducibile alle nullità di ordine di generale di cui all’art. 178, lett. c), a cosiddetto “regime intermedio”, sicché può essere dedotta, ai sensi dell’art. 180, prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 6, 2382/2017).

Qualora il decreto che dispone il giudizio destinato all’imputato venga per errore notificato presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio validamente eletto, sussiste una nullità non assoluta, ma a regime intermedio, come tale deducibile a pena di decadenza nei termini previsti dall’art. 491, in quanto l’atto deve ritenersi comunque giunto a conoscenza dell’interessato (Sez. 4, 29311/2018).

La notificazione eseguita a norma dell’art. 157 comma 8-bis, presso il difensore di fiducia, qualora l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni, è affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 comma 1, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 (SU, 19602/2008).

Non può essere tuttavia considerata sanata soltanto in conseguenza della mancata allegazione di circostanze impeditive della conoscenza dell’atto da parte dell’imputato (SU, 58120/2017).

L’incompletezza ovvero la enunciazione imprecisa e non chiara dei fatti e delle norme violate da cui sia caratterizzato il decreto di citazione in primo grado dà luogo a una nullità relativa che risulta sanata laddove non venga eccepita entro il termine di cui all’art. 491 (Sez. 2, 16056/2018).

Le questioni preliminari relative alla costituzione di parte civile devono essere poste, ai sensi dell’art. 491, subito dopo che sia stato compiuto, per la prima volta, l’accertamento della regolare costituzione delle parti e devono essere decise immediatamente, con la conseguenza che qualora la prima udienza  compiuto il predetto accertamento  si concluda senza che sia stata sollevata la questione, la proposizione di quest’ultima deve ritenersi preclusa nelle successive udienze, né l’ammissione della costituzione di parte civile può essere in seguito contestata in sede di impugnazione, ai sensi dell’art. 491 (Sez. 2, 31777/2018).

Ai sensi dell’art. 491 comma 2, le questioni circa la formazione del fascicolo del dibattimento vanno poste tra quelle preliminari e sono successivamente precluse.

Una volta chiusa l’istruttoria dibattimentale, in assenza di questioni relative a quanto confluito nel fascicolo del dibattimento durante l’istruttoria stessa, d’altro canto, ogni ulteriore questione, tenuto conto della normativa che consente accordi delle parti sull’acquisizione nel fascicolo di atti ulteriori rispetto a quelli previsti nel comma 1 dell’art. 431, non può essere più sollevata (Sez. 5, 15624/2015).

L’inutilizzabilità di atti erroneamente inseriti nel fascicolo del dibattimento non è automatica, ma consegue alla tempestiva eccezione di parte (Sez. 3, 24410/2011).

Il consenso delle parti all’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti in quello del PM, ovvero della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva, può formarsi tacitamente mediante una manifestazione di volontà espressa dì chi propone e l’assenza di opposizione della controparte, qualora il complessivo comportamento processuale di quest’ultima sia incompatibile con una volontà contraria (Sez. 3, 1727/2015).

L’art. 491, comma 2, laddove prevede che le questioni riguardanti la formazione del fascicolo per il dibattimento sono precluse se non proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti, riguarda l’estromissione dal fascicolo ex art. 431 di atti che siano stati erroneamente inseriti nel fascicolo per il dibattimento e non di atti che dovevano essere raccolti nel fascicolo e che invece non siano stati in esso inseriti (Sez. 2, 27413/2017).

La dichiarazione di ricusazione può esser proposta  nel corso del giudizio  fino a che non sia scaduto il termine previsto dall’art. 491, comma 1, ovvero subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti. Si deve infatti escludere che il difensore possa attendere l’esito della procedura di astensione, prima di presentare la dichiarazione di ricusazione (Sez. 2, 34265/2018).

Quando il procedimento è già nella fase dibattimentale, ma non sia decorso il termine per la proposizione delle questioni preliminari, la presentazione della dichiarazione di ricusazione può essere effettuata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, anche se questo sia stato più volte fissato e sia stato rinviato prima del completamento delle formalità di apertura, ma dopo quelle relative all’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 6, 2354/1997).

Ed ulteriormente: la dichiarazione di ricusazione fondata su causa già nota può essere presentata nel giudizio, secondo la previsione dell’art. 38 comma 1, sino alla scadenza del termine per la proposizione delle questioni preliminari e quindi sino al momento immediatamente successivo al compimento per la prima volta dell’accertamento della costituzione delle parti, sicché non è sufficiente, perché possa dirsi ammissibile, che la dichiarazione sia proposta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492.

Difatti, una volta affermata l’autonomia della fase relativa alla deduzione e decisione delle questioni preliminari (e proprio per questo), non vi è ragione di ritenere che la sua durata rimanga in qualche modo “sospesa” in caso di rinvio dell’udienza senza che si sia proceduto alla dichiarazione di apertura del dibattimento e senza una espressa riserva in tal senso.

In altri termini, compiuta per la prima volta la costituzione delle parti, queste hanno l’onere a pena di decadenza di introdurre l’incidente sulle questioni preliminari (e conseguentemente anche sulla ricusazione del giudice) in ogni caso e dunque anche qualora, senza aprire il dibattimento, venga poi disposto il rinvio dell’udienza.

Va peraltro sottolineato che la sequenza tracciata dagli artt. 484 e 491 si fonda evidentemente sul presupposto che l’accertamento per la prima volta sulla costituzione delle parti richiamato dalla seconda disposizione menzionata abbia avuto esito positivo, poiché, in caso contrario, alla parte nei cui confronti non si sia regolarmente costituito il rapporto processuale verrebbe ingiustificatamente e definitivamente pretermesso l’accesso all’incidente sulle questioni preliminari  (Sez. 2, 1126/2018).

In tema di estradizione passiva, l’intervento dello Stato richiedente è consentito, salvo diversa regolamentazione contenuta nelle convenzioni internazionali, sino a quando non siano compiuti gli adempimenti relativi al controllo della regolare costituzione delle parti nel procedimento camerale davanti alla Corte di appello competente a conoscere della domanda di consegna (Sez. 6, 14237/2017).