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Art. 493 - Richieste di prova

1. Il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato nell’ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l’ammissione delle prove.

2. È ammessa l’acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall’articolo 468 quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente.

3. Le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva.

4. Il presidente impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari.

Rassegna giurisprudenziale

Richieste di prova (art. 493)

Il termine di sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, entro il quale va depositata la lista dei testimoni da escutere, ex art. 468 comma 1, ha natura perentoria. Né potrebbe essere altrimenti, perché altrimenti non avrebbe senso alcuno la previsione che il deposito entro il suddetto termine debba avvenire “a pena di inammissibilità” della prova.

Tuttavia non necessariamente il mancato rispetto di tale termine perentorio determina il risultato invocato dal ricorrente, vale a dire l’inutilizzabilità della prova testimoniale indicata nella lista depositata fuori termine, che, come nel caso in esame, sia stata comunque assunta in dibattimento. Ed invero, attraverso una serie di arresti, la giurisprudenza di legittimità ha operato nel senso di consentire, in presenza di certe condizioni, il recupero delle prove dirette non tempestivamente richieste.

Si è, così, affermato che l’ammissione di prove non tempestivamente indicate dalle parti nelle apposite liste, non comporta alcuna nullità, né le prove in questione, dopo essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili, posto che l’art. 507 consente al giudice di assumere d’ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 191.

Principio ribadito in altra condivisibile decisione, in cui si è sottolineato come l’ammissione di una prova testimoniale non tempestivamente indicata dalla parte nell’apposita lista testimoniale non comporta alcuna nullità, né la prova in questione, dopo essere stata assunta, può essere considerata inutilizzabile, considerato che rientra nei poteri del giudice acquisire prove anche d’ufficio, come previsto dall’art. 507.

La strada maestra da seguire per recuperare le prove dirette di cui non è stata tempestivamente chiesta l’ammissione, va, dunque, individuata nell’esercizio dei poteri di integrazione istruttoria previsti dall’art. 507. Il potere del giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 può, infatti, essere esercitato anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale ai sensi dell’art. 468, comma 1, poiché il requisito della “novità” non è limitato ai soli mezzi di prova che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali.

Tanto premesso, non può negarsi che l’inammissibilità ex art. 468 comma 1 della prova diretta tardivamente richiesta ne determina, nel caso in cui venga comunque assunta in dibattimento, l’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 comma 1, trattandosi di prove acquisite in violazione della previsione di cui all’art. 468 comma 1 che consente l’ingresso nel dibattimento delle prove dirette in esso contemplate solo attraverso il tempestivo deposito della relativa lista.

Come è stato osservato, infatti, la tardiva deduzione determina l’inammissibilità della prova rilevabile d’ufficio ed insanabile, perché non sono consentite prove a sorpresa (salvo il disposto dell’art. 493 comma 2), avendo ciascuna parte il diritto di conoscere tempestivamente i fatti che la controparte intende provare. Sicché, una volta decorso inutilmente il menzionato termine di sette giorni liberi, la prova non oggetto di rituale e tempestiva deduzione, può essere introdotta nel giudizio o nella forma subordinata della “prova contraria” o d’ufficio, ai sensi dell’art. 507 (Sez. 5, 32017/2018).

La deposizione di un testimone esaminato in sostituzione di altro indicato nella lista di cui all’art. 468 è utilizzabile, se l’esame è ritualmente condotto e la testimonianza pertinente alle circostanze indicate nella lista stessa (Sez. 2, 36791/2006).

Rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito la valutazione delle circostanze addotte dalle parti processuali per dimostrare di non avere potuto indicare tempestivamente le prove nella lista, valutando la situazione di impossibilità che consente, secondo l’art. 493, comma 2, l’acquisizione di prove non indicate nella lista prevista dall’art. 468, potendo tale situazione ricorrere anche in presenza di un contesto di difficile esercizio della facoltà riconosciuta alle parti dall’art. 468 (Sez. 2, 21014/2018).

Il diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, riconosciuto all’imputato dall’art. 495, comma 2, incontra limiti precisi nell’ordinamento processuale indicati agli artt. 188, 189, 190, in base ai quali, il giudice deve valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta dalla parte, onde escludere le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti.

Pertanto, il diritto alla prova contraria garantito all’imputato può essere, con adeguata motivazione, negato dal giudice solo quando le prove richieste siano manifestamente superflue o irrilevanti. Ne consegue che il giudice dell’appello, innanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495, comma 2, deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri previsti dall’art. 190 e non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dall’art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado (Sez. 4, 24726/2018).

In tema di ammissibilità della richiesta di prova testimoniale, la costituzione di parte civile al dibattimento oltre il termine previsto per la presentazione delle liste ex art. 468 comma 1 non può privare la parte civile stessa del diritto di chiedere prove, ai sensi dell’art. 493, comma 2, ferma restando la facoltà della controparte di articolare prove contrarie (Sez. 3, 49644/2015).

Le richieste di acquisizione di prove documentali, a differenza delle richieste che concernono le prove dichiarative, possono essere avanzate anche in un momento successivo a quello fissato dall’art. 493, che disciplina l’esposizione introduttiva e le richieste di prova avanzate dalle parti; va quindi esclusa la preclusione alla esibizione di documenti, ed all’ammissione di essi da parte del giudice, in un momento successivo a quello fissato dalla norma suddetta, essendo tale preclusione esplicitamente limitata alle prove che devono essere indicate nelle liste di cui all’art. 468; in caso di esibizione di documenti successiva all’esposizione introduttiva, al fine di assicurare l’esercizio del diritto alla prova di una parte e alla difesa all’altra, deve essere garantito il diritto di esaminare i documenti di cui si chieda l’acquisizione come prescritto dall’art. 495, comma 3 (Sez. 2, 14970/2018).

Il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti (Sez. 4, 13769/2018).

Nessuna lesione del diritto di difesa è ipotizzabile allorché taluni atti di indagine, dei quali non è stata dimostrata l’inutilizzabilità patologica, siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento, ai sensi dell’art. 493, comma 3, per il solo fatto che il consenso alla loro acquisizione concordata sia stato dato dal difensore d’ufficio (Sez. 4, 16091/2018).

Il consenso all’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero può essere validamente prestato anche dal difensore dell’imputato, nell’ambito delle sue funzioni di partecipazione alla definizione delle prove (Sez. 4, 35585/2017).

Può essere anche tacito il consenso del difensore alla richiesta del PM di acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel suo fascicolo (Sez. 2, 8564/2018).

L’acquisizione di atti del fascicolo del PM senza il consenso della difesa rende la prova inutilizzabile ai sensi dell’art. 191 comma 2 e tale inutilizzabilità, in quanto rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, è rilevabile anche in sede di legittimità, tanto più nel caso in cui la prova stessa sia stata decisiva ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato (Sez. 2, 114/2018).

L’efficacia dell’accordo acquisitivo ex art. 493 comma 3 trova il solo limite, sul piano della utilizzabilità degli atti che ne sono stati oggetto, nella ricorrenza di ipotesi di inutilizzabilità patologica (Sez. 6, 48949/2016).

Il giudice di appello ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento quando la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, che non sia stato esercitato o per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o perché la ammissione della prova, ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado, sia stata irragionevolmente negata da quel giudice; in tutti gli altri casi la rinnovazione del dibattimento è rimessa al potere del giudice, la cui discrezionalità è vincolata dalla impossibilità di una decisione allo stato degli atti, ma che è tenuto a dar conto delle ragioni del rifiuto quanto meno in modo indiretto, dimostrando in positivo la sufficiente consistenza e la assorbente concludenza delle prove già acquisite (Sez. 5, 36092/2018).