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Art. 495 - Provvedimenti del giudice in ordine alla prova

1. Il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza all’ammissione delle prove a norma degli articoli 190, comma 1, e 190-bis. Quando è stata ammessa l’acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti, il giudice provvede in ordine alla richiesta di nuova assunzione della stessa prova solo dopo l’acquisizione della documentazione relativa alla prova dell’altro procedimento.

2. L’imputato ha diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico ministero in ordine alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico.

3. Prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l’ammissione.

4. Nel corso dell’istruzione dibattimentale, il giudice decide con ordinanza sulle eccezioni proposte dalle parti in ordine alla ammissibilità delle prove. Il giudice, sentite le parti, può revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse.

4-bis. Nel corso dell’istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunziare, con il consenso dell’altra parte, all’assunzione delle prove ammesse a sua richiesta.

Rassegna giurisprudenziale

Provvedimenti del giudice in ordine alla prova (art. 495)

Lista delle prove richieste

L'obbligo di motivazione non può essere eluso dal giudice che intenda ridurre la lista testimoniale, tanto più quando l'esercizio di siffatto potere si ponga in una fase processuale - quale il momento dell'adozione del provvedimento ammissivo della prova - caratterizzata dalla normale verginità conoscitiva dell'organo giudicante rispetto alla regiudicanda e, pertanto, regolata dal restrittivo canone di cui all'art. 190, comma 1, richiamato dall'art. 495, comma 1 . in base al quale, stante il diritto delle parti alla prova, il giudice può non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che manifestamente risultino superflue o irrilevanti (Sez. 5, 8433/2022).

Deve riconoscersi natura processuale al termine stabilito dall’art. 468 per la presentazione della lista contenente l’indicazione dei testi, periti, consulenti e persone di cui all’art. 210La previsione a pena di inammissibilità del termine di sette giorni prima della data dell’udienza ha una specifica funzione all’interno del processo, in quanto è volta ad assicurare una leale discovery: ne discende che anche per tale termine opera la sospensione prevista dall’art. 1 L. 742/1969 nel periodo feriale (Sez. 3, 28371/2013).

Il termine di presentazione della lista dei testimoni per il dibattimento va riferito alla prima udienza di trattazione e non anche alle successive udienze di rinvio; ne consegue che, soltanto nella ipotesi in cui il dibattimento sia stato rinviato a “nuovo ruolo”, la parte riacquista il diritto di presentare la predetta lista, in quanto il termine decorre nuovamente (Sez. 5, 41129/2001).

La parte riacquista il diritto di presentare la lista pure nel caso di rinvio a udienza fissa, disposto prima dell’apertura del dibattimento (Sez. 6, 7352/2010).

L’ammissione di prove non tempestivamente indicate dalle parti nelle apposite liste non comporta alcuna nullità e inoltre le prove in questione, dopo essere state assunte, non possono certo essere considerate inutilizzabili, posto che l’articolo 507 consente al giudice di assumere d’ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, atteso che – comunque – non sussiste, in tal caso, un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall’articolo 191 (Sez. 5, 20973/2015).

L’eventuale irregolarità della lista testi non induce la nullità dell’ordinanza ammissiva, né della sentenza che sull’esito di tale prova abbia fondato la decisione, perché le prove non sono assunte in violazione a un divieto di legge, ma solo  eventualmente  a una formalità di tipo modale (Sez. 1, 19511/2010).

 

Diritto alla prova contraria

La revoca dell'ordinanza ammissiva dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità produce una nullità di ordine generale a regime intermedio, integrando una violazione del diritto della parte di "difendersi provando", stabilito dall'art. 495 comma 2, corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6 co. 3 lett. d) della CEDU, al quale si richiama l'art. 111 co. 2 della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti (Precisa la Corte, al fine di dichiarare infondato il motivo di impugnazione, che detta nullità doveva essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182 co. comma 2 c.p.p., con la conseguenza che, in assenza di eccezioni, essa è da considerare sanata in quanto la norma prevede una eccezione alla regola della deducibilità con riferimento ai casi in cui la parte assista al compimento dell'atto nullo) (Sez. 1, 23191/2022).

È viziata da nullità relativa l'ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, integrando una violazione del diritto della parte di "difendersi provando", stabilito dal comma secondo dell'art. 495, corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6, comma 3, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l'art. 111, comma secondo, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti. Ne consegue che una siffatta nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182 comma 2, con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata. Infatti, il disposto dell'art. 180, secondo cui la nullità di ordine generale verificatasi nel corso del giudizio è deducibile dalla parte, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo, trova un limite nel disposto dell'art. 182 comma 2, il quale prevede una eccezione a detta regola di deducibilità, con riferimento al caso in cui la parte assista al compimento dell'atto nullo. Per tale ipotesi è sancito che la parte, se non può eccepire la nullità prima del compimento dell'atto stesso, deve farlo immediatamente dopo (Sez. 3, 12388/2020).

L’art. 468 prevede la facoltà di depositare la lista contenente l’indicazione dei testi e le relative circostanze che devono corroborare la linea difensiva. Peraltro la parte ha la facoltà, a prescindere dalla lista, di indicare testi a prova contraria in relazione alle circostanze indicate nelle altre liste. L’art. 495 stabilisce altresì che l’imputato ha diritto all’ammissione di prove indicate a discarico sui fatti oggetto delle prove a carico. Ciò significa dunque che, a prescindere dal tempestivo deposito della lista e dalla indicazione della prova diretta, l’imputato ha diritto alla prova contraria. Ma a tal fine non è sufficiente la generica indicazione in lista di prove a discarico, occorrendo invece che in sede di richiesta venga specificamente dedotto che si tratta di prova contraria sui fatti oggetto delle prove a carico, in ordine alle quali viene esercitato lo specifico diritto all’ammissione, quale primaria espressione del diritto di difesa (Sez. 6, 26048/2016).

 

Prova decisiva e sua mancata assunzione

La mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495 comma 2, sicché il motivo non può essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 4, 32620/2017).

Deve ritenersi prova decisiva, secondo la previsione dell’art. 606 lett. d) quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 4, 6783/2014).

Il diritto dell’imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi trova un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art. 495 (Sez. 5, 39764/2017).

 

Prova documentale

Le richieste di acquisizione di prove documentali, a differenza delle richieste che concernono le prove dichiarative, possono essere avanzate anche in un momento successivo a quello fissato dall’art. 493, che disciplina l’esposizione introduttiva e le richieste di prova avanzate dalle parti; va quindi esclusa la preclusione alla esibizione di documenti, ed all’ammissione di essi da parte del giudice, in un momento successivo a quello fissato dalla norma suddetta, essendo tale preclusione esplicitamente limitata alle prove che devono essere indicate nelle liste di cui all’art. 468; in caso di esibizione di documenti successiva all’esposizione introduttiva, al fine di assicurare l’esercizio del diritto alla prova di una parte e alla difesa all’altra, deve essere garantito il diritto di esaminare i documenti di cui si chieda l’acquisizione come prescritto dall’art. 495, comma 3 (Sez. 5, 23004/2017).

Allorché il provvedimento sulla prova venga adottato a seguito dell’acquisizione di prove documentali e dichiarative, non può non confluire nella relativa valutazione altresì un giudizio sulla eventuale superfluità delle altre prove richieste, alla luce proprio del materiale probatorio acquisito.

In un caso del genere, è dunque corretto non ammettere subito la prova divenuta superflua mentre, al contrario, sarebbe irragionevole adottare dapprima il provvedimento di ammissione della prova secondo i canoni prescritti dagli artt. artt. 468 e 495, comma 1, per poi procedere in un momento immediatamente successivo alla revoca in ossequio alla disposizione di cui all’art. 495, comma 4 (Sez. 2, 37164/2018).

Non può dubitarsi del fatto che la relazione del curatore fallimentare, diretta al giudice delegato, possa essere acquisita al dibattimento ai sensi dell’art. 234. Ciò in quanto essa si configura come prova documentale (Sez. 5, 12338/2017).

La relazione del curatore fallimentare può pacificamente fare riferimento a notizie e informazioni che il curatore abbia appreso personalmente dalle persone che lo stesso ha avuto modo di ascoltare e le cui parole ha verbalizzato (Sez. 5, 27898/2016). L’acquisizione di tali notizie e informazioni deve essere comunque seguita, qualora l’imputato ne abbia fatto richiesta, dalla citazione del dichiarante e dalla sua escussione in contraddittorio, posto che, nel caso contrario, essa deve ritenersi illegittima (Sez. 3, 37241/2013).

È legittimo l’inserimento nel fascicolo del dibattimento, come documenti ai sensi dell’art. 234, dei verbali delle dichiarazioni raccolte dal giudice delegato nella procedura fallimentare (Sez. 5, 27898/2016).

La registrazione fonografica di un colloquio telefonico ad opera di uno dei partecipi al colloquio medesimo è prova documentale rappresentativa di un fatto storicamente avvenuto, pienamente utilizzabile nel procedimento a carico dell’altro soggetto che ha preso parte alla conversazione, previa valutazione della sua mera affidabilità (SU, 36747/2003).

Sono acquisibili al processo penale degli atti di procedure amministrative ispettive o di vigilanza (Sez. 6, 10996/2010).

 

Elementi di prova acquisiti oltre la scadenza dei termini delle indagini preliminari

La sanzione dell’inutilizzabilità per le acquisizioni tardive riguarda solo gli atti di indagine del PM e non gli elementi di prova acquisibili indipendentemente da qualsivoglia impulso della pubblica accusa (Sez. 5, 15844/2013).

 

Perizia

La perizia non rientra nella categoria della “prova decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego non è censurabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (Sez. 2, 52517/2016).

Alla richiesta di procedere ad accertamento peritale, formulata da taluna delle parti o da esse congiuntamente, non corrisponde alcun obbligo, in capo al giudicante, di procedere, in tali forme, al relativo accertamento tecnico. Il giudice, infatti, è sempre chiamato ad apprezzare la necessità dell’approfondimento richiesto in rapporto alle particolari competenze tecniche, scientifiche o artistiche implicate dal processo valutativo da svolgere.

Ne consegue che anche in presenza di una richiesta di parte, egli può ritenere del tutto legittimamente che sia superfluo procedervi, in specie quando l’accertamento non presenti profili di particolare complessità, non implichi valutazioni su profili controversi o ragionevolmente controvertibili ovvero si sostanzi, comunque, in mere attività di qualificazione giuridica di fatti o situazioni, rientranti nell’ambito delle ordinarie competenze del giudice.

Ne consegue che quando il giudice, motivatamente, ritenga non necessario, in considerazione del tipo di accertamento richiesto o anche per la già avvenuta acquisizione di un adeguato compendio probatorio, idoneo a dimostrare gli elementi di fatto oggetto della richiesta verifica tecnica, l’istanza di perizia possa essere legittimamente disattesa (Sez. 3, 42065/2016).

 

Esame dell’imputato

L’esame dell’imputato, disciplinato dagli artt. 495 e 503, è un mezzo istruttorio atipico che opera come mezzo di difesa, quando è dall’imputato medesimo richiesto, e come mezzo di prova, quando è dedotto dalla controparte (Sez. 5, 12358/2018).

 

Atti assunti in forma consensuale

Gli atti contenuti nel fascicolo del PM ed acquisiti, sull’accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all’art. 514, salvo che detti atti siano affetti da inutilizzabilità cosiddetta “patologica” qual è quella derivante da una loro assunzione contra legem (Sez. 6, 48949/2016).

Sono improponibili, riguardo all’acquisizione consensuali di atti al fascicolo del dibattimento, questioni connesse ad asseriti vizi del consenso, trattandosi di attività processuale alla quale non si applicano le categorie di annullabilità stabilite per i rapporti negoziali (Sez. 1, 17182/2018).

In linea di principio le dichiarazioni rese dalle parti alla PG in assenza delle garanzie previste dall’art. 63 sono inutilizzabili ai fini della decisione. Vi è tuttavia da osservare che siffatta inutilizzabilità, laddove il contenuto di tali dichiarazioni sia stato consacrato in un verbale che sia, ancorché erroneamente, confluito fra gli atti del dibattimento, non opera automaticamente a consegue alla formulazione di tempestiva eccezione di parte.

Infatti, posto che la legge consente, sull’accordo delle parti, la acquisizione al fascicolo del dibattimento, anche di atti ulteriori rispetto a quelli elencati nella enumerazione di cui al comma 1 dell’art. 431, e segnatamente di altri atti contenuti nel fascicolo del PM ovvero della documentazione relativa alle attività di cui agli artt. 391-bis e ss., deve ritenersi che, per converso, sia onere della parte che vi abbia interesse quello di sollecitare l’espunzione dal fascicolo del dibattimento degli atti ad esso estranei, dovendosi, in caso, contrario ritenere la intervenuta acquiescenza a tale inserimento (Sez. 3, 52830/2016).

Nessuna lesione del diritto di difesa è ipotizzabile allorché taluni atti di indagine, dei quali non è stata dimostrata l’inutilizzabilità patologica, siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento, ai sensi dell’art. 493, comma 3, per il solo fatto che il consenso alla loro acquisizione concordata sia stato dato dal difensore d’ufficio (Sez. 4, 16091/2018).

Il consenso all’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero può essere validamente prestato anche dal difensore dell’imputato, nell’ambito delle sue funzioni di partecipazione alla definizione delle prove (Sez. 4, 35585/2017).

Può essere anche tacito il consenso del difensore alla richiesta del PM di acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel suo fascicolo (Sez. 2, 8564/2018).

La relazione di servizio della PG, cui può equipararsi la comunicazione di notizia di reato, non è atto irripetibile e come tale non può essere acquisita al fascicolo del dibattimento senza il consenso, sia pure tacito, delle parti (Sez. 6, 23305/2015).

L’acquisizione di atti del fascicolo del PM senza il consenso della difesa rende la prova inutilizzabile ai sensi dell’art. 191 comma 2 e tale inutilizzabilità, in quanto rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, è rilevabile anche in sede di legittimità, tanto più nel caso in cui la prova stessa sia stata decisiva ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato (Sez. 2, 114/2018).

L’efficacia dell’accordo acquisitivo ex art. 493 comma 3 trova il solo limite, sul piano della utilizzabilità degli atti che ne sono stati oggetto, nella ricorrenza di ipotesi di inutilizzabilità patologica (Sez. 6, 48949/2016).

 

Revoca di prove già ammesse

La revoca dell'ordinanza ammissiva dei testi della difesa sia dell'imputato che della parte civile, in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, come richiesto dall'art. 495, comma 4, c.p.p., produce una nullità di ordine generale a regime intermedio (Sez. 4, 27587/2022).

Il giudice, ai sensi dell'art. 495, comma 4, può revocare una prova testimoniale già ammessa sia quando essa, rispetto al materiale probatorio già assunto nel contraddittorio tra le parti, non appaia più decisiva, sia quando non sia più utile, perché incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo; ciò nondimeno, la revoca dell'ordinanza ammissiva va espressamente motivata, in quanto il difetto di motivazione sul necessario requisito della superfluità della prova determina una nullità di ordine generale a regime intermedio. La superfluità della prova, tuttavia, deve risultare non solo dalla motivazione dell'ordinanza di revoca, ma anche dalla motivazione della sentenza che, a sua volta, non può che fondarsi sulla sintesi delle evidenze probatorie in cui si innesta anche la prova testimoniale revocata (Sez. 5, 22279/2022).

È affetta da nullità l’ordinanza con la quale il giudice dispone la revoca dell’ammissione di un testimone a discarico dell’imputato, omettendo di attivare il previo contraddittorio sul punto, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”: tale nullità – di ordine generale a regime relativo – deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente ai sensi dell’art. 182 comma 2 e, in caso contrario, deve ritenersi sanata (Sez. 5, 50505/2018).

La revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa produce una nullità di ordine generale soltanto quando sia resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova. Nondimeno la indicata invalidità, ove effettivamente verificatasi, deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata. (Sez. 6, 53823/2017).

È viziata da nullità relativa l’ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dal comma secondo dell’art. 495, corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall’art. 6 comma 3 lett. d) CEDU, al quale si richiama l’art. 111 comma 2 Cost. in tema di contraddittorio tra le parti (Sez. 6, 53823/2017).

Il potere del giudice di revocare, perché superflue, prove già ammesse è nel corso del dibattimento più ampio di quello esercitabile all’inizio del dibattimento circa l’esclusione delle prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti e la valutazione sulla mancata ammissione di una prova decisiva si risolve – se il giudice ha indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa – in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto (Sez. 3, 13095/2017).

Nel dedurre la violazione del diritto di difesa, per la revoca dell’ammissione delle prove dedotte, il ricorrente deve non solo precisare le prove che l’imputato non ha potuto fare assumere, ma anche le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel concreto contesto processuale, perché il diritto dell’imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi, ha un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue e irrilevanti, ex art. 495 (Sez. 5, 10425/2015).

La mancata assunzione dei testi in precedenza ammessi genera una nullità che rimane sanata qualora non venga eccepita immediatamente dopo l’adozione dell’ordinanza di revoca delle prove ovvero, in caso di revoca implicita, a seguito della chiusura del dibattimento e dell’invito rivolto dal giudice alle parti di procedere alla discussione finale.

Si tratta infatti di una nullità alla cui produzione la parte assiste, anche e per l’appunto nel caso in cui il giudice non abbia adottato un formale e motivato provvedimento di revoca delle prove, rimanendo tale revoca implicita nella dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale, a seguito della quale si instaura il contraddittorio con le parti sulla eventuale mancata assunzione di una prova in precedenza ammessa e non espressamente revocata.

Conseguentemente la deduzione della suddetta nullità solo con il gravame di merito deve ritenersi tardiva (Sez. 5, 12350/2018).

Si veda anche, per la sua pertinenza al tema appena trattato, la seguente massima: La parte su cui grava l’onere di eccepire, ex art. 182 comma 2, la nullità di un atto al quale assiste è solo il difensore  ovvero il PM , in nessun caso l’indagato o l’imputato né altra parte privata, in quanto l’ordinamento processuale privilegia la difesa tecnica rispetto all’autodifesa, che non è mai consentita in via esclusiva, ma solo in forme che si affiancano all’imprescindibile apporto di un esperto di diritto abilitato alla professione legale (Sez. 5, 36084/2018).

In senso contrario alle decisioni precedenti: ai sensi dell’art. 495 comma 4, il giudice ha il potere di revocare con ordinanza l’ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse e non vi è neppure un obbligo di motivazione esplicita dei motivi della revoca (Sez. 2, 23405/2017).

 

Rinuncia alla prova ammessa

Quando una parte rinuncia all’esame di un proprio testimone, le altre hanno diritto a procedervi solo se questo era inserito nella loro lista testimoniale, valendo altrimenti la loro richiesta come mera sollecitazione all’esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 507 (Sez. 5, 39764/2017).

Nel caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507, è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria, la cui istanza di ammissione integra a tutti gli effetti una richiesta ai sensi dell’art. 495, comma 2 (Sez. 5, 28597/2017).

 

Prova integrativa

Il giudice ha il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 507 anche con riferimento a prove che la parte pubblica avrebbe potuto richiedere e non ha richiesto, in quanto la sua funzione nel caso in cui il PM abbia omesso di inserire nella lista le prove che poi si è ritenuto necessario acquisire soccorre all’obbligatorietà e alla legalità dell’azione penale, correlata com’è alla verifica della correttezza dell’esercizio dei poteri del PM e al controllo che detto esercizio non sia solo apparente.

Il potere del tribunale di controllare la completezza del compendio probatorio e di accrescerlo, ove quello raccolto su proposta delle parti sia ritenuto insufficiente, è in linea con la scelta di assegnare al giudice una penetrante e diffusa funzione di controllo dell’esercizio dell’azione penale e del suo sviluppo nel corso della intera progressione processuale. I poteri correlati a tale funzione si rinvengono in tutto il tessuto codicistico, dalla conclusione delle indagini al giudizio di appello.

Tale ampiezza e diffusione dei poteri di interventi del giudice sulla “prova” è il logico correlato della obbligatorietà dell’azione penale, la cui indisponibilità manifesta la natura “pubblica” del processo, ed il suo asservimento alla tutela di interessi ultraindividuali, non delegabili alle parti. In materia le Sezioni Unite (SU, 41281/2006) hanno chiarito che un sistema caratterizzato dall’obbligatorietà dell’azione penale «impone una costante verifica dell’esercizio dei poteri di iniziativa del pubblico ministero, e quindi anche delle sue carenze od omissioni [...]

E ciò spiega anche la differenza con quanto avviene nei sistemi accusatori di common law - nei quali le deroghe al principio dispositivo sono inesistenti (o assolutamente eccezionali) - essendo, questa disciplina processuale, ricollegata alla disponibilità dell’azione penale da parte del pubblico ministero che può rinunziare ad essa, di fatto, anche con la mancata richiesta di ammissione delle prove».

Tale diffuso e pervasivo potere di intervento del giudice, che ha l’onere di controllare la completezza compendio probatorio (e di accrescerlo, ove necessario) non contrasta con la natura “accusatoria” del rito, tenuto conto del fatto che le fonti sovralegislative, e segnatamente la Costituzione e la CEDU, non inibiscono in alcun modo il potere integrativo del giudice, né la sua funzione di controllo sulla progressione processuale, che potrebbe patire iniqui sbilanciamenti a causa dell’inerzia delle parti.

Le garanzie previste dalla Costituzione e dalla CEDU garantiscono infatti il contraddittorio nella “formazione” della prova, ma non inibiscono i poteri di controllo del giudice sulla completezza del compendio di elementi su cui deve fondarsi la decisione.

Tali Carte si limitano a garantire che la responsabilità sia valutata sulla base di prove sottoposte al controllo critico delle parti, limitando al minimo l’utilizzabilità delle prove raccolte unilateralmente e non sottoposte alla verifica del contraddittorio.

Nessun accenno si rinviene invece alla inibizione del controllo giudiziale sulla progressione processuale e sulla completezza del compendio probatorio, ovvero della funzione che costituisce il naturale correlato della natura pubblica dell’accertamento penale e, non come ritenuto dal ricorrente una illegittima distorsione del modello accusatorio (Sez. 2. 42538/2017).

All’ammissione di una nuova prova, ai sensi dell’articolo 507, il giudice non può non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie.

Pertanto, l’istanza di ammissione di queste ultime, che non può essere avanzata se non dopo la decisione di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova una volta esaurita l’attività probatoria già autorizzata, integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, quindi, rituale richiesta a norma dell’articolo 495 comma 2 (Sez. 5, 20973/2015).

 

Rinnovazione della prova nel secondo grado

Al giudice di appello compete l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento quando la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, che non sia stato esercitato o per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o perché l’ammissione della prova, ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado, sia stata irragionevolmente negata da quel giudice (Sez. 2, 37164/2018).

La rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (SU, 12602/2016).

Il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, 7680/2017).

Nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente (Sez. 5, 35012/2015).